EMERGENZA AMBIENTE E PANDEMIA, DIFFICILE EQUAZIONE DA RISOLVERE
Il 28 novembre il Parlamento dell’Ue ha proclamato l’esistenza di «un’emergenza globale»: quella del cambiamento climatico. Pochi mesi dopo è giunta la pandemia da Covid-19 e la prospettiva è mutata radicalmente: due emergenze globali potrebbero infatti essere troppe per una sola umanità (e certamente per l’Ue di oggi).
Si impone quindi un’analisi circa la possibile relazione tra questi due fenomeni, partendo da un primo quesito: esiste una connessione tra cambiamento climatico e pandemie? Sono numerosi gli studi che lo affermano. In sintesi, l’emigrazione di specie selvatiche derivante dalla contrazione dei rispettivi habitat – anche per effetto del cambiamento climatico – accresce la probabilità di salto di agenti patogeni verso specie mai incontratesi prima, fino ad arrivare all’uomo (esempio si legga «The 2019 report of The Lancet Countdown on health and climate change»). Dunque, il contrasto al cambiamento climatico entra a pieno titolo anche nelle azioni volte prevenire i rischi di nuove pandemie.
Invertiamo ora il ragionamento: che effetti può avere l’emergenza da Covid-19 sul contrasto al cambiamento climatico? Possiamo ravvisare due principali rischi di fondo:
1) L’impatto tragico ed immediato della pandemia globale e la temporanea riduzione di inquinamento legata alla contrazione delle attività economiche può oscurare la percezione dell’urgenza climatica;
2) Un’umanità afflitta e concentrata nel riparare i danni economici e sociali della pandemia potrebbe non trovare più le risorse economiche e mentali per affrontare i cospicui investimenti e le inevitabili rinunce necessarie alla sfida ambientale.
Insomma, con la crisi da Covid19 che morde, l’emergenza climatica potrebbe passare in secondo piano. Se ciò avvenisse, sarebbe un azzardo. Lo Special Report 2018 sul «Global Warming» dell’Ipcc (Onu) pone a 15-20 anni la probabilità di aumento di 1,5 gradi della temperatura media del pianeta. La Terra brucia! Adesso.
Significativa, al riguardo, è la lezione che ci consegna la storia dell’attuale pandemia. Questa infatti non nasce dal nulla e non giunge inattesa. La natura ha fatto diverse prove generali prima di sferrare l’attacco decisivo. Tra il 1980 e il 2013 ci sono state circa 12mila epidemie che hanno colpito 44 milioni di persone. Il rischio di pandemie planetarie è entrato in numerosi studi internazionali ma è sempre rimasto fuori dalle politiche economiche globali.
Perché abbiamo ignorato queste analisi e al manifestarsi della pandemia da Covid-19 non ne abbiamo riconosciuto subito la gravità? Qui entra in scena la dinamica collettiva di fronte ad un cambiamento epocale: ignorare, negare, minimizzare, esorcizzare, esitare per timore degli effetti ed infine, solo quando ogni altra opzione appare inutile, contrastare
tardivamente. Una sequenza ben presente nella grande banca dati della storia. Ce lo ricorda Jared Diamond in Collasso: come le società
scelgono di vivere o morire. La lezione che ne trae è chiara: alle grandi sfide sopravvivono solo le civiltà in grado di superare le inerzie degli interessi più radicati, cambiando per tempo le gerarchie di valore. Anche a costo di scandalizzare i sacerdoti del tempio! In conclusione, abbiamo un auspicio, un obbligo e una speranza.
L’auspicio è che l’attuale sofferenza aiuti a riconoscere l’emergenza climatica. Diceva Jung: «Non c’è presa di coscienza senza dolore». L’obbligo è quello di promuovere un rapido e profondo ribilanciamento di valori, necessario a risolvere la triplice sfida dinanzi a noi (crisi, pandemia e clima). Futuro, tempo, merito, equilibrio sociale, sviluppo sostenibile, solidarietà, sono categorie che devono trovare posto accanto a quelle che, pur meritevoli, hanno fin qui saturato e distorto tutto lo spazio disponibile. La speranza è che ci sia una risposta rapida, efficace e solidale dell’Ue per affrontare tutte e tre le emergenze, inserendole nel binario della quarta rivoluzione industriale e del green
deal. Sarà necessario calibrare bene l’onere complessivo degli interventi tra Ue, Stati nazionali e mercato, valorizzando il contributo degli investitori istituzionali quale nuovo corpo intermedio, cerniera tra pubblico e privato e catena di trasmissione dei principi di investimento responsabili dell’Onu (Esg).
Sono le basi su cui costruire un futuro diverso, dosando quello che già sappiamo con quello che dobbiamo ancora imparare. Senza paura di affrontare la notte perché, come ci ricorda Paulo Coelho, «l’ora più buia è quella che precede la luce del sole».
Docente Luiss e Amministratore Delegato