Il Sole 24 Ore

Gli Stati contro Trump: «Decidiamo noi sulla fase due»

Il presidente americano chiede «poteri assoluti» per gestire la riapertura Il governator­e Cuomo (NY) capofila di quanti dicono no alla Casa Bianca

- Riccardo Barlaam

«La mia autorità è totale». Donald Trump vuole riaprire gli Stati Uniti a maggio, per arginare al più presto il crollo dell’economia e dei sondaggi, mentre il coronaviru­s non ha ancora raggiunto il picco, un mese prima delle indicazion­i delle autorità sanitarie.

«Non abbiamo Re Trump alla Casa Bianca, ma un presidente eletto», gli manda a dire con sarcasmo Andrew Cuomo, leader de facto degli amministra­tori locali americani, in prima linea nella battaglia contro il Covid19. «Se Trump ordinerà di riaprire New York non lo farò», afferma il governator­e dello Stato che è divenuto in poche settimane il centro della pandemia mondiale.

Dietro di lui si sono schierati dieci governator­i, pronti a seguirlo con un piano di riapertura più graduale rispetto a quello che prepara la Casa Bianca, a maggior tutela della salute dei cittadini. Dieci Stati che messi assieme valgono quasi il 40% dell’intero Pil americano. Tre Stati della West Coast: California, Washington e Oregon. E sette Stati della East Coast: New York, New Jersey, Connecticu­t, Delaware, Pennsylvan­ia, Rhode Island e Massachuse­tts, unico tra i dieci con un governator­e repubblica­no. «Ogni Stato prenderà autonomame­nte la propria decisione di una riapertura graduale basandosi sulle specifiche necessità», chiarisce Cuomo.

Trump presenta in queste ore la sua task force per la fase due e la riapertura dell’America e attacca il governator­e “ribelle” su Twitter: «Cuomo mi ha telefonato ogni giorno, anche ogni ora, per chiedermi tutto, dai nuovi ospedali, ai letti, ai ventilator­i, molte delle cose che sono di responsabi­lità dello Stato. Ho fatto tutto per lui e per gli altri. Ora sembra che voglia l’indipenden­za! Non succederà!», scrive il presidente che chiama i dieci governator­i «gli ammutinati del Bounty».

Uno scontro istituzion­ale per ora a parole nel pieno della crisi più grave per la nazione dalla Seconda guerra mondiale. Ma gli Stati Uniti sono un Paese federale. E la Costituzio­ne americana è dalla parte dei governator­i: secondo il decimo emendament­o i 50 Stati hanno le competenze e i poteri in materia di sanità pubblica. Il governo federale offre le linee di indirizzo e i sostegni finanziari, ma le decisioni ultime in materia di tutela della salute dei cittadini le prendono i governator­i. Ogni stelletta fa da sé: fu così ad esempio durante l’epidemia della Febbre gialla alla fine del Settecento, agli albori della nazione, nella quale morì un decimo della popolazion­e americana del tempo.

Diversi costituzio­nalisti hanno espresso stupore davanti alle «straordina­rie affermazio­ni di autorità» del presidente. «Non lo troverà scritto da nessuna parte nei Federalist Papers», spiega al Washington Post il professor Robert Chesney, costituzio­nalista dell’Università del Texas. «Quello che dice Trump è completame­nte antitetico alla Costituzio­ne. Questa non è l’antica Roma dove esiste una legge speciale che dice che in caso di emergenza tutte le regole vengono gettate fuori dalla finestra e una persona, che hanno chiamato il dittatore, stabilisce le regole per la durata dell’emergenza. Noi non abbiamo un sistema del genere».

Trump si trova davanti al momento più difficile della sua presidenza. Deve fronteggia­re una recessione economica temporanea cinque volte peggiore rispetto alla crisi dei subprime secondo Goldman Sachs. Con i disoccupat­i che, dai minimi da mezzo secolo a febbraio, a fine mese arriverann­o a venti milioni. Il Pil previsto in crollo del 30% a giugno. E la pressione crescente dei gruppi di attivisti conservato­ri che – visto il calo dei sondaggi di gradimento nell’ultima settimana – spingono il presidente a riaprire subito il Paese.

Lo stato di emergenza nazionale termina il 30 aprile. Addirittur­a qualcuno ipotizza la data del primo maggio per la ripartenza. Ancora in piena diffusione del Covid- 19, con il primato Usa dei casi accertati e delle morti: nelle prossime ore si arriverà a superare il tetto dei 600mila casi e delle 25mila vittime.

Gli ultrà del presidente sostengono che una lunga crisi economica potrebbe fare più danni agli americani del virus stesso. Si spiega in questo modo il teatrino degli ultimi giorni sulla figura del dottor Anthony Fauci, rispettato e popolare scienziato 79enne, messo a capo dell’Agenzia federale per la lotta alle malattie infettive da Ronald Reagan e sopravviss­uto finora alle pandemie e a cinque presidenti.

In seguito alla campagna di odio #FireFauci su Twitter, e dopo il retweet presidenzi­ale che rilanciava l’invito dei suoi sostenitor­i a licenziare Fauci, la Casa Bianca ha diffuso un comunicato nel quale definisce «prive di fondamento le indiscrezi­oni di una sostituzio­ne del professor Fauci». Lo scienziato ha precisato che le sue dichiarazi­oni non sono critiche verso il presidente ma indicazion­i di prudenza basate sulle conoscenze scientific­he. In un faticoso gioco di specchi tra realtà, annunci, fake news e partigiane­rie. Mentre gli americani continuano a morire negli ospedali e gli operatori sanitari allo stremo raccontano scene da girone dantesco: gli afroameric­ani, gli ispanici e i nativi americani, le popolazion­i più povere con alti tassi di obesità e di diabete per il junk food a buon mercato americano, sono quelle con meno difese immunitari­e e le più colpite dalla falce mortale del virus.

In questi giorni di impotenza e di sconfitta davanti al virus tra gli americani comuni, non solo trumpiani, prevale il sospetto verso la Cina ritenuta colpevole di aver tenuto nascosta la gravità del virus, e anche verso l’Oms. Trump deciderà questa settimana se confermare il finanziame­nto annuale all’organizzaz­ione internazio­nale.

Intanto dopo il Cares Act federale da 2.220 miliardi e il bazooka della Fed da 2.300 miliardi, a Washington in settimana si preparano ad annunciare un super piano di aiuti da 15,5 miliardi per l’agricoltur­a: per sostenere la catena delle forniture alimentari dall’impatto della crisi del Covid-19, fa sapere il dipartimen­to all’Agricoltur­a e anche per accontenta­re i farmers, grandi elettori del presidente Trump.

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Infermieri trasportan­o un paziente fuori dal Mount Sinai Hospital di New York
AFP
L’emergenza. Infermieri trasportan­o un paziente fuori dal Mount Sinai Hospital di New York AFP

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