Gli Stati contro Trump: «Decidiamo noi sulla fase due»
Il presidente americano chiede «poteri assoluti» per gestire la riapertura Il governatore Cuomo (NY) capofila di quanti dicono no alla Casa Bianca
«La mia autorità è totale». Donald Trump vuole riaprire gli Stati Uniti a maggio, per arginare al più presto il crollo dell’economia e dei sondaggi, mentre il coronavirus non ha ancora raggiunto il picco, un mese prima delle indicazioni delle autorità sanitarie.
«Non abbiamo Re Trump alla Casa Bianca, ma un presidente eletto», gli manda a dire con sarcasmo Andrew Cuomo, leader de facto degli amministratori locali americani, in prima linea nella battaglia contro il Covid19. «Se Trump ordinerà di riaprire New York non lo farò», afferma il governatore dello Stato che è divenuto in poche settimane il centro della pandemia mondiale.
Dietro di lui si sono schierati dieci governatori, pronti a seguirlo con un piano di riapertura più graduale rispetto a quello che prepara la Casa Bianca, a maggior tutela della salute dei cittadini. Dieci Stati che messi assieme valgono quasi il 40% dell’intero Pil americano. Tre Stati della West Coast: California, Washington e Oregon. E sette Stati della East Coast: New York, New Jersey, Connecticut, Delaware, Pennsylvania, Rhode Island e Massachusetts, unico tra i dieci con un governatore repubblicano. «Ogni Stato prenderà autonomamente la propria decisione di una riapertura graduale basandosi sulle specifiche necessità», chiarisce Cuomo.
Trump presenta in queste ore la sua task force per la fase due e la riapertura dell’America e attacca il governatore “ribelle” su Twitter: «Cuomo mi ha telefonato ogni giorno, anche ogni ora, per chiedermi tutto, dai nuovi ospedali, ai letti, ai ventilatori, molte delle cose che sono di responsabilità dello Stato. Ho fatto tutto per lui e per gli altri. Ora sembra che voglia l’indipendenza! Non succederà!», scrive il presidente che chiama i dieci governatori «gli ammutinati del Bounty».
Uno scontro istituzionale per ora a parole nel pieno della crisi più grave per la nazione dalla Seconda guerra mondiale. Ma gli Stati Uniti sono un Paese federale. E la Costituzione americana è dalla parte dei governatori: secondo il decimo emendamento i 50 Stati hanno le competenze e i poteri in materia di sanità pubblica. Il governo federale offre le linee di indirizzo e i sostegni finanziari, ma le decisioni ultime in materia di tutela della salute dei cittadini le prendono i governatori. Ogni stelletta fa da sé: fu così ad esempio durante l’epidemia della Febbre gialla alla fine del Settecento, agli albori della nazione, nella quale morì un decimo della popolazione americana del tempo.
Diversi costituzionalisti hanno espresso stupore davanti alle «straordinarie affermazioni di autorità» del presidente. «Non lo troverà scritto da nessuna parte nei Federalist Papers», spiega al Washington Post il professor Robert Chesney, costituzionalista dell’Università del Texas. «Quello che dice Trump è completamente antitetico alla Costituzione. Questa non è l’antica Roma dove esiste una legge speciale che dice che in caso di emergenza tutte le regole vengono gettate fuori dalla finestra e una persona, che hanno chiamato il dittatore, stabilisce le regole per la durata dell’emergenza. Noi non abbiamo un sistema del genere».
Trump si trova davanti al momento più difficile della sua presidenza. Deve fronteggiare una recessione economica temporanea cinque volte peggiore rispetto alla crisi dei subprime secondo Goldman Sachs. Con i disoccupati che, dai minimi da mezzo secolo a febbraio, a fine mese arriveranno a venti milioni. Il Pil previsto in crollo del 30% a giugno. E la pressione crescente dei gruppi di attivisti conservatori che – visto il calo dei sondaggi di gradimento nell’ultima settimana – spingono il presidente a riaprire subito il Paese.
Lo stato di emergenza nazionale termina il 30 aprile. Addirittura qualcuno ipotizza la data del primo maggio per la ripartenza. Ancora in piena diffusione del Covid- 19, con il primato Usa dei casi accertati e delle morti: nelle prossime ore si arriverà a superare il tetto dei 600mila casi e delle 25mila vittime.
Gli ultrà del presidente sostengono che una lunga crisi economica potrebbe fare più danni agli americani del virus stesso. Si spiega in questo modo il teatrino degli ultimi giorni sulla figura del dottor Anthony Fauci, rispettato e popolare scienziato 79enne, messo a capo dell’Agenzia federale per la lotta alle malattie infettive da Ronald Reagan e sopravvissuto finora alle pandemie e a cinque presidenti.
In seguito alla campagna di odio #FireFauci su Twitter, e dopo il retweet presidenziale che rilanciava l’invito dei suoi sostenitori a licenziare Fauci, la Casa Bianca ha diffuso un comunicato nel quale definisce «prive di fondamento le indiscrezioni di una sostituzione del professor Fauci». Lo scienziato ha precisato che le sue dichiarazioni non sono critiche verso il presidente ma indicazioni di prudenza basate sulle conoscenze scientifiche. In un faticoso gioco di specchi tra realtà, annunci, fake news e partigianerie. Mentre gli americani continuano a morire negli ospedali e gli operatori sanitari allo stremo raccontano scene da girone dantesco: gli afroamericani, gli ispanici e i nativi americani, le popolazioni più povere con alti tassi di obesità e di diabete per il junk food a buon mercato americano, sono quelle con meno difese immunitarie e le più colpite dalla falce mortale del virus.
In questi giorni di impotenza e di sconfitta davanti al virus tra gli americani comuni, non solo trumpiani, prevale il sospetto verso la Cina ritenuta colpevole di aver tenuto nascosta la gravità del virus, e anche verso l’Oms. Trump deciderà questa settimana se confermare il finanziamento annuale all’organizzazione internazionale.
Intanto dopo il Cares Act federale da 2.220 miliardi e il bazooka della Fed da 2.300 miliardi, a Washington in settimana si preparano ad annunciare un super piano di aiuti da 15,5 miliardi per l’agricoltura: per sostenere la catena delle forniture alimentari dall’impatto della crisi del Covid-19, fa sapere il dipartimento all’Agricoltura e anche per accontentare i farmers, grandi elettori del presidente Trump.