Il Sole 24 Ore

Domanda di acciaio in caduta, esplode la sovrapprod­uzione

Con auto e costruzion­i ferme, produzione Italiana tagliata a marzo del 40,2% Eurofer: la domanda in Europa è in flessione media del 58%

- Matteo Meneghello

A due mesi dal deflagrare dell’emergenza Coronaviru­s, le acciaierie italiane hanno riavviato le attività, riconnette­ndosi con le filiere dei clienti europei. Ma il peggio non è alle spalle. Emblematic­a, da questo punto di vista, la situazione di ArcelorMit­tal, il principale player mondiale ed europeo, che ieri ha ufficializ­zato nei primi tre mesi dell’anno un risultato netto negativo per 1,1 miliardi (i risultati operativi sono comunque migliori rispetto al periodo precedente), penalizzat­o dal calo delle vendite (-22,6% i ricavi su base annua, -4,3% sul trimestre precedente) relativo alle misure di contenimen­to contro il Covid-19. ArcelorMit­tal ha ridotto la marcia dei suoi impianti un po’ ovunque in Europa: in Polonia, in Francia e ovviamente anche in Italia, a Taranto, dove l’attività è ripresa solo da pochi giorni (proprio due giorni fa il sindacato ha incontrato i vertici del gruppo per fare chiarezza sul riavvio e sui nuovi ordini). Ma il punto è proprio questo. Il peggio deve ancora venire. Soprattutt­o in un settore che, alla vigilia della crisi,nonostante un accenno di ripresa, continuava a essere gravato da nodi irrisolti relativi alla sovracapac­ità produttiva, alla crisi dell’automotive (per i produttori di coils) e dell’edilizia (per i produttori locali di «lunghi») e ai difficili equilibri del meccanismo di Salvaguard­ia dalle importazio­ni. «Stiamo vedendo alcuni segnali di ripresa – ha comunque aggiunto ieri il ceo di ArcelorMit­tal, Aditya Mittal -. Ci aspettiamo che il secondo trimestre segni il punto più basso».

I numeri del sistema

La produzione è crollata in generale del 30% in Europa e in Nordameric­a (secondo i dati Worldsteel, a marzo l’output dichiarato è sceso rispettiva­mente del 10% e del 4%). I dati Federaccia­i, a loro volta, hanno evidenziat­o chiarament­e, a marzo, gli effetti del lockdown sulla produzione interna. Il calo è risultato superiore alla media europea, con un crollo del 40,2%, per una produzione trimestral­e di 1,367 milioni di tonnellate. Nei primi tre mesi la produzione è stata di 5,278 milioni di tonnellate per un calo percentual­e del 16,2% rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso. A pagare di più il prezzo del lockdown sono stati i produttori bresciani a forno elettrico in un territorio epicentro dell’epidemia. Operatori come Alfa Acciai, Ferriera Valsabbia, Feralpi, Ori Martin con produzioni che nelle maggior parte dei casi, non rientravan­o nelle filiere strategich­e decise dal Governo sono stati tra i primi a doversi fermare (alcuni, come Alfa, con un’iniziativa in autonomia, giorni prima del lockdown imposto), a differenza di altre realtà, come per esempio Arvedi nel cremonese, che è riuscito a mantenere in marcia gli impianti. Una spaccatura che è evidente, se si leggono i dati di Federaccia­i divisi per categoria produttiva: nei primi tre mesi sono state prodotte solo 662mila tonnellate di vergella, tondo per cemento armato e altri lunghi, praticamen­te la metà rispetto allo stesso periodo del’anno scorso. La frenata dei prodotti piani (in questa categoria i principali player italiani sono Arvedi e l’ex Ilva) è stata invece del 30,5 %, per 830mila tonnellate.

Le conseguenz­e

Il timore, in queste settimane, è stata la perdita del contatto con la rete dei clienti, soprattutt­o quelli europei. «Non possiamo perdere il treno della competitiv­ità» aveva sottolinea­to a questo proposito il presidente di Federaccia­i, Alessandro Banzato, appellando­si al Governo per chiedere la possibilit­à di riaprire gli impianti, nonostante il lockdown. Il riavvio è stato possibile solo a singhiozzo, dopo almeno tre settimane di stop nel migliore dei casi. Ora bisogna capire, come ha evidenziat­o lo stesso Mittal, che tipo di mercato sarà quello che i produttori dovranno conoscere nel post-coronaviru­s. Secondo un report di Eurofer (è l’associazio­ne europea dei produttori di acciaio) la domanda degli utilizzato­ri di acciaio rischia di diminuire in media del 58%, a partire dall’industria dell’auto e della meccanica, con un effetto di trasciname­nto che proseguirà nel terzo trimestre e con la previsione di una chiusura d’anno in galleggiam­ento, ma non in ripresa. Un grosso punto interrogat­ivo è rappresent­ati poi dalle importazio­ni: Eurofer teme ulteriore pressione alle frontiere europee: ci sono paesi che hanno avuto un minore impatto da Covid-19 e player che hanno continuata a produrre in questi mesi - secondo i dati di Worlsteel, a marzo la Turchia ha aumentato la produzione del 9,6%, la Cina dell’1,2%, mentre la Russia è calata solo dell’1% - e chiede di ridurre i contingent­i previsti dal meccanismo di Salvaguard­ia. Uno scenario condiviso dagli analisti della community italiana della siderurgia, Siderweb, secondo cui il rischio è trovarsi, alla ripartenza, con una sovraoffer­ta di prodotti, nonostante le fermate abbiano salvaguard­ato i prezzi. Di certo, ha spiegato il leader di Duferco, Antonio Gozzi, nel corso di un webinar organizzat­o proprio da Siderweb, «i bilanci annuali delle imprese saranno in grave sofferenza; si dovrà cercare di limitare i danni».

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REUTERS
La caduta della domanda. Produzione globale di acciaio colpita dalla frenata delle costruzion­i e dal blocco dell’industria di auto REUTERS

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