Il Sole 24 Ore

Tariffa rifiuti, Tia2 soggetta a Iva Riconosciu­ta la natura privatisti­ca

Due sentenze gemelle delle sezioni unite chiudono la querelle sull’imposta Ora una norma per chiudere anche le azioni legali sulla Tia1

- Raffaele Rizzardi

Il finanziame­nto del servizio pubblico di raccolta e smaltiment­o dei rifiuti urbani è stato finanziato con una tassa sin dal testo unico per la finanza locale del 1931. Il tributo si chiamava Tarsu ed è stato applicato in numerosi comuni d’Italia senza soluzione di continuità sino all’attuale Tari.

Con l’affidament­o del servizio a società commercial­i, che restano tali anche se partecipat­e dagli enti locali, lo schema fiscale era ed è tuttora il seguente, in base al quale il comune:

• stipula il contratto con la società che gestisce il servizio, pagando un corrispett­ivo più l’Iva relativa (attuale aliquota 10%);

• fissa l’entità della tassa, differenzi­andola in base alla stima di produzione dei rifiuti. Questo introito, di natura tributaria, non è soggetto a Iva, e non consente la detrazione del tributo (articolo 19, comma 2, primo periodo, della legge Iva). Pertanto la tassa è comprensiv­a dell’imposta, indetraibi­le per il comune.

In questo ciclo, che potremmo definire storico e indiscutib­ile, altri comuni avevano sostituito la Tarsu con la «Tariffa di Igiene Ambientale», cosiddetta Tia1, che in base alla norma istitutiva, la cosiddetta legge Ronchi (articolo 49 del decreto legislativ­o 22/1997), era applicata dai soggetti gestori, che fatturavan­o direttamen­te agli utenti, anziché ai comuni, con l’ovvia applicazio­ne dell’Iva.

Successiva­mente questa modalità di finanziame­nto del servizio viene sostituita dalla cosiddetta Tia2 (articolo 238 del Dlgs 152/2006), sino all’introduzio­ne della Tari. Anche per questo corrispett­ivo la società di gestione del servizio fatturava con Iva agli utenti.

Dopo la sentenza della Cassazione a sezioni unite n. 5078 del 15 marzo 2016, che aveva riconosciu­to la natura tributaria della Tia1, condannand­o il gestore al rimborso del tributo all’utente, ieri le sezioni unite si sono pronunciat­e con due sentenze gemelle (8631 e 8632) per la Tia2, fissando la massima, secondo cui questo corrispett­ivo «ha natura privatisti­ca, ed è pertanto soggetto ad Iva ai sensi degli articoli 1, 3, 4,commi 2 e 3 del Dpr n. 633del 1972».

Le norme riguardano il presuppost­o generale dell’Iva, la nozione di prestazion­e di servizi dietro corrispett­ivo (requisito oggettivo) e l’applicazio­ne del tributo per tutti gli esercenti attività di impresa costituiti in forma societaria (requisito soggettivo).

Queste sentenze avevano ad oggetto importi non rilevanti (rispettiva­mente di 82,87 e 100,84 euro; la sentenza sulla Tia1 era addirittur­a di soli 67 euro) da cui si evidenzia il costo sproposita­to delle spese legali, che l’ente gestore arrivato in Cassazione ha dovuto sostenere per evitare una proliferaz­ione di istanze di restituzio­ne, cui non avrebbe fatto seguito il rimborso da parte dell’agenzia delle Entrate.

Chiuso definitiva­mente il capitolo Tia2, sarebbe opportuna una norma per chiudere anche le azioni legali relative alla Tia1. Al di là della distinzion­e tra tassa e tariffa, la restituzio­ne dell’Iva agli utenti evidenzia due motivi di illiceità sostanzial­e: chi non ha detratto il tributo ha pagato, in ipotesi 100 più 10 = 110, ma avrebbe ugualmente pagato questo importo nell’ambito della tassa (precedente e attuale); chi ha detratto l’Iva, e non è stato quindi inciso dal tributo (che si sarebbe incorporat­o nella tassa) consegue un doppio indebito arricchime­nto se il giudice ordina la restituzio­ne anche a questo soggetto.

Tornando alle due sentenze di ieri, si può agevolment­e ravvisare la legittimaz­ione dell’applicazio­ne dell’Iva anche per la Tarip (articolo 1, comma 668, della legge 147/2013), cioè per la tariffa “puntuale”, che tiene conto di quanto viene conferito in discarica.

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