Capitale di Stato da ripagare con gli interessi
Aumento automatico della quota pubblica per chi ritarda nel riacquisto di azioni
Il sistema a più livelli per gli aiuti di Stato alle imprese deve ancora trovare l’intesa all’interno della maggioranza. Ma deve ora fare i conti anche con i vincoli posti dai nuovi emendamenti al Quadro Temporaneo pubblicati venerdì sera dall’Antitrust europeo: che indicano le ricapitalizzazioni di Stato come extrema ratio, «altamente distorsiva della concorrenza» come si legge al punto 7 del documento e quindi da attuare solo quando le altre misure non sono possibili.
E che, soprattutto, fissano come principio cardine il fatto che «lo Stato deve ricevere una remunerazione appropriata per l’investimento» (punto 55): un ostacolo non piccolo sulla prospettiva degli aumenti di capitale a fondo perduto ipotizzati, a determinate condizioni, nel sistema del «pari passu» da applicare alle imprese fra 5 e 50 milioni di fatturato (ma la prima soglia resta in discussione).
Le iniezioni di capitale pubblico nelle aziende private, insomma, restano un boccone amaro per la Dg Competition di Bruxelles; e così le accetta come contromisura al crollo economico da pandemia, ma le accompagna con meccanismi che rischiano di rivelarsi indigesti anche per le imprese coinvolte. Fra questi spicca lo «step-up» che dovrebbe accompagnare ogni ricapitalizzazione pubblica per «incentivare il beneficiario a riacquistare» le quote messe dallo Stato. Più che un incentivo, il sistema disegnato dal punto 61 del documento sembra in realtà una sanzione: che si traduce in un aumento automatico del 10% della quota pubblica se dopo cinque anni lo Stato non è riuscito a vendere almeno il 40% della propria partecipazione. Il meccanismo riscatterebbe dopo altri due anni se lo Stato nel frattempo non avesse liquidato tutta la propria quota. Nel caso di aziende quotate, il calendario farebbe partite queste prese di possesso automatiche al quarto e al sesto anno. Nelle note l’Antitrust europeo si addentra anche in un esempio pratico: se la quota statale è del 40%, il primo passo della sanzione la farebbe salire al 44%, e il secondo al 48 per cento.
La strada non è del tutto senza uscita, perché la commissione Ue potrebbe accettare «meccanismi alternativi» a quello appena descritto. A patto, però, che portino a un risultato analogo dal punto di vista «degli incentivi all’uscita dello Stato» e un analogo impatto complessivo «sulla remunerazione» del capitale pubblico.
Per misurare il prezzo giusto della partecipazione statale il punto di riferimento restano i prezzi di mercato. E non potrebbe essere altrimenti in una regola scritta dall’Antitrust comunitario: che però in questo caso pone una clausola di garanzia, dal momento che la crisi può fiaccare le quotazioni a lungo. Il prezzo di buyback, quindi, sarà quello di mercato solo se sarà superiore al valore nominale dell’investimento pubblico iniziale maggiorato di un interesse annuale. E questo tasso di riferimento dovrà superare di 200 punti base quello previsto dallo stesso Temporary Framework per la remunerazione degli strumenti ibridi di capitale: per le Pmi si tratta di 225 punti base il primo anno, 325 per gli anni 2-3, 450 per gli anni 4-5 e 600 per gli anni 6-7. Per le imprese più grandi l’interesse è ancora più alto.
In alternativa, si legge al punto 63, lo Stato potrà in ogni momento vendere la propria quota a prezzi di mercato ad altri acquirenti, dopo una consultazione pubblica: un altro strumento da maneggiare con cura, nonostante il diritto di prelazione accordabile agli azionisti per l’acquisto ai prezzi costruiti con l’offerta pubblica.
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