Il tessile-abbigliamento perde 3,5 miliardi in un trimestre
Vago (Sistema moda Italia): «Il 90% delle aziende ricorre agli ammortizzatori sociali» In un anno l’export perderà 6 mld: garantire liquidità serve a restare competitivi
Un esame di coscienza. O meglio: un invito a tutti gli associati a farlo, per ammettere, magari una volta per tutte, che in situazioni di emergenza le rivalità vanno dimenticate e che bisogna fidarsi gli uni degli altri. Ovvero, della filiera. L’invito viene da Marino Vago, industriale tessile e presidente di Sistema moda Italia (Smi), la componente più importante di Confindustria Moda, che ha presentato un’indagine a campione sul primo trimestre. I dati, come prevedibile, sono negativi: la perdita media di fatturato è del 25,4%, pari a 3,5 miliardi in meno rispetto allo stesso periodo del 2019. Il campione studiato da Smi è composto per il 65% da aziende a monte della filiera (prettamente tessili) e per il 35% da aziende a valle (confezione e marchi presenti direttamente sul mercato) e il calo dei ricavi mostra come quelle a monte abbiano resistito meglio alla pandemia, perché molte fabbriche – a differenza dei negozi – hanno continuato a lavorare: il dato per il sistema allargato del tessilemoda-abbigliamento è -36,2%.
«La richiesta principale è per ammortizzatori sociali efficaci e rapidi – spiega Vago –. Non certo perché, come ho purtroppo sentito dire al ministro agli Affari regionali Francesco Boccia, gli imprenditori pensano solo ai bilanci e quindi al loro profitto. È vero il contrario: gli ammortizzatori servono per tutelare i lavoratori, dare un futuro all’azienda per dare un futuro anche a loro. Ricordo che sono tantissime le aziende che hanno anticipato la cassa integrazione, proprio per tutelare i lavoratori, non certo i conti. Il 95% circa delle aziende del campione prevede il ricorso agli ammortizzatori, coinvolgendo nel 65% dei casi oltre l’80% dei lavoratori».
Il presidente di Smi, come imprenditore e come portavoce di una filiera affianca all’invito ad abbandonare rivalità tra distretti o settori una constatazione: «Fin dai primi giorni dell’emergenza ho visto persone, imprese, associazioni desiderose di aiutare. Con donazioni, ma anche riconversioni per produrre in temi rapidi e in trasparenza e sicurezza dispositivi di protezione personale, dalle mascherina ai camici in tnt (tessuto non tessuto)». Qui è il direttore generale di Smi, Gianfranco Di Natale, a sottolineare un intoppo: «Grazie all’accordo siglato il 20 marzo tra Confindustria Moda, Cna-Federmoda, Sportello Amianto e con la consulenza di PwC abbiamo reso possibile la produzione di milioni di mascherine, anche chirurgiche – spiega –. Oggi siamo in grado di produrne cinque milioni al giorno, grazie al coinvolgimento di circa 400 aziende, e la capacità aumenterà ancora. Ma le decisioni del commissario Domenico Arcuri ci hanno sorpreso e lo stesso vale per le sue reazioni alle critiche sull’imposizione del prezzo di 0,5 euro. Voglio essere diplomatico: diciamo che è stato mal consigliato».
Accanto agli ammortizzatori sociali, la preoccupazione principale del tessile-abbigliamento è la liquidità. «Dobbiamo ancora una volta constatare come la scarsa patrimonializzazione delle nostre aziende aggravi ogni crisi esterna – conclude Vago –. Su questo rifletteremo ancora, appena usciti dall’emergenza. Al momento chiediamo iter burocratici più snelli per assicurare liquidità, che a sua volta permette di restare competitivi al livello globale. La stima sull’export per il tessile-abbigliamento è di un calo,per l’intero anno, di circa il 20%, pari a 6 miliardi, che porta il totale a 9 miliardi. È la perdita che il settore ha avuto durante la precedente crisi, quella innescata dal fallimento di Lehman Brothers nel 2008. Ma in quel caso avvenne in un periodo di quattro anni, dal 2009 al 2013. Qui stiamo parlando di dodici mesi».