NECESSARIO UN CAMBIO DI PASSO PER DARE LIQUIDITÀ ALLE IMPRESE
Èpassato oltre un mese dall’approvazione del cosiddetto Decreto liquidità, emanato l’8 aprile. Il bilancio, a oggi, non è neanche lontanamente positivo. In Italia, per necessità, è stato adottato principalmente uno schema di garanzie pubbliche. Visto il bilancio dello Stato, era difficile fare diversamente. Sul segmento delle imprese, soprattutto piccole e medie, la situazione è molto critica e la tanto attesa (e vitale) liquidità tarda ad arrivare. È vero che gli spazi di manovra sul bilancio pubblico sono molto contenuti, ma se poi le misure identificate non vengono rese esecutive per generare gli effetti attesi anche quel poco rischia di essere sprecato.
Se ci concentriamo sull’articolo 13 del suddetto decreto, osserviamo come sia stata scelta la soluzione del credit enhancement, andando a garantire per l’80%, il 90%, il 100%, a seconda dei casi, i crediti bancari verso il sistema delle imprese. A oggi, però, di questo schema è stato reso esecutivo molto poco. Le domande pervenute al Mcc per il Fondo di garanzia sono circa 100mila di cui oltre 70mila per gli importi fino a 25mila euro. Le risorse richieste sono state oltre 5,5 miliardi, di cui oltre 1,5 per le operazioni fino a 25mila euro. Da stime effettuate su alcune banche, sulle sole operazioni più piccole, parrebbero erogati effettivamente circa 200 milioni. Non bastano. Sulle operazioni più rilevanti, peraltro, si è ancora più in ritardo.
Ci vuole un cambio di passo, su almeno tre dimensioni. Innanzitutto, lo schema Stato, Società pubbliche che rilasciano le garanzie, sistema bancario che eroga il credito è ancora troppo lento e macchinoso. Ci vuole una semplificazione che aiuti a minimizzare i tempi, con una maggiore diffusione di soluzioni digitali di raccolta dati per le istruttorie, che a oggi per alcuni passaggi mancano. Inoltre, bisogna definire in modo più chiaro il ruolo delle banche, se reali erogatori di credito o se agenzie per il trasferimento di denaro. Questo tocca la responsabilità delle banche perché le posizioni, ancorché garantite, sono sui loro libri e, di conseguenza, lo sono anche le relative responsabilità. Infine, proiettando le domande di credito che stanno arrivando dalle imprese sugli stanziamenti statali iniziali, emerge la necessità di integrare le risorse perché si corre il rischio di non avere disponibilità per tutti i richiedenti meritevoli di credito, anche perché i fondi di garanzia sono stati quantificati con leve tra risorse pubbliche e risorse private che, per effetto del deterioramento del credito, potranno rivelarsi insufficienti.
Sapevamo, sin dall’inizio, che Covid-19 avrebbe rappresentato la fonte di uno “shock simmetrico”, che riguarda tutti, indistintamente. Ed è così. Ma questo shock non interviene su situazioni omogenee. Covid-19 sta mettendo a nudo tutte le debolezze strutturali del nostro sistema socio-economico e finanziario rispetto ad altri Paesi, così come, osservando le varie misure e le forme di intervento, sta evidenziando grandi disparità tra Italia ed Europa.
La situazione del bilancio pubblico dello stato italiano e della struttura finanziaria delle imprese, prevalentemente piccole e medie, è già di partenza in ritardo rispetto ad altre economie. Basti guardare ai numeri pubblicati solo due giorni fa da Ue come stima degli effetti del Covid-19 nel 2020 su Pil, deficit/Pil, debito pubblico/Pil nei vari Paesi. Dopo la Grecia, l’Italia è quello che avrà la situazione peggiore tra tutti gli europei, con Pil in diminuzione del 9,5%, rapporto deficit/Pil pari al’11,1% e debito pubblico/Pil al 158,9%. Sappiamo che gli interventi nei vari Paesi si sono articolati in tre forme: a) stimoli fiscali immediati (come l’helicopter money), b) differimenti fiscali (come la sospensione delle imposte), c) garanzie e altre forme di liquidità. In Germania, le tre forme incidono sul Pil rispettivamente per il 10,1%, il 14,6% e il 27,2%, mentre in Italia, anche per limiti strutturali, per lo 0,9%, il 13,2% e il 29,8 per cento. Va specificato che per il sistema delle garanzie si fa riferimento al monte di risorse che è possibile mobilitare, usando la leva pubblica e favorendo gli investimenti (crediti) privati (bancari). Sugli stimoli fiscali immediati, Paesi più simili al nostro hanno stanziato più di noi come la Francia (2,4% del Pil), il Portogallo (2,5%), la Spagna (1,1%). L’ingente e straordinaria necessità di risorse pubbliche, come anche auspicato da Mario Draghi a fine marzo sul Financial Times, ha punti di partenza diversi, Paese per Paese, in assenza ancora di strumenti di intervento europei veramente comuni e condivisi. Le risposte asimmetriche cambieranno la geografia economica internazionale nei prossimi anni. E il nostro Paese rischia seriamente di arretrare.