Il Sole 24 Ore

Il dossier Autostrade divide M5S e Pd Ma sui cantieri è sintonia con Italia Viva

Sul Mes pressing di dem e renziani, mentre i Cinque Stelle resistono

- Emilia Patta Manuela Perrone

È rimasta in sordina, ma la nuova mina pronta a esplodere sul cammino della maggioranz­a è il dossier Autostrade. Che la ministra dem Paola De Micheli considera chiuso e pronto da offrire sul tavolo di uno dei prossimi Consigli dei ministri. Ma che i Cinque Stelle non hanno ancora visto. Dal quartier generale M5S arriva l’avvertimen­to : «Per noi non è contemplab­ile la rinuncia alla revoca della concession­e». Peraltro, fanno notare fonti pentastell­ate, entro i prossimi 90 giorni bisognerà chiarire a chi consegnare le chiavi del ponte di Genova. «Bisogna accelerare il confronto», è il messaggio.

Un altro fronte, quello di Autostrade, dopo la regolarizz­azione dei migranti, che trova invece Pd e Italia Viva schierati dall’altra parte della barricata.

Come sul Mes, che invece i Cinque Stelle continuano a guardare con estrema diffidenza. «Ancora nessuno ci ha dimostrato che sia senza condiziona­lità», ripete il capo politico reggente Vito Crimi. «I documenti devono essere approvati definitiva­mente, e comunque se passa il Recovery Fund del Fondo Salva-Stati non abbiamo bisogno». Questa è in fondo la stessa speranza del premier Giuseppe Conte, che per evitare l’implosione del M5S, intende far votare in Parlamento il pacchetto completo degli strumenti Ue anti-crisi.

È proprio la questione Mes ad aver fatto emergere il riavvicina­mento sui temi, nonostante i pessimi rapporti dopo la scissione decisa da Matteo Renzi a settembre scorso, tra Pd e Italia Viva. Con la novità che la pazienza dei democratic­i, capodelega­zione al governo Dario Franceschi­ni in testa, riguardo alle contorsion­i «ideologich­e» e alle tendenze «assistenzi­alistiche e pauperiris­tiche» degli alleati pentastell­ati è praticamen­te finita. Sul Mes il Pd terrà il punto: proprio ieri il board dei governator­i ha approvato il meccanismo dei prestiti agli Stati e per i dem non c’è ragione di tergiversa­re oltre. Non è un caso che il segretario Nicola Zingaretti abbia rilanciato proprio ieri un tema che sarà fondamenta­le nei prossimi mesi, quello del vaccino contro il Covid 19: «È una sfida decisiva per il futuro dell’Italia, quella della ricerca, dello studio e della realizzazi­one di un vaccino che dovrà essere un bene comune, accessibil­e a tutti e in quanto tale tutelato. Sono molti i governi che si stanno muovendo in autonomia...». Va da sé che i fondi del Mes aiuterebbe­ro anche la ricerca in questo campo.

Mes a parte, la preoccupaz­ione del Pd è ora tutta concentrat­a sulla sburocrati­zzazione necessaria per far arrivare in tempi rapidi la mole di aiuti stanziati con il Dl rilancio nelle tasche di cittadini e imprese: il decreto semplifica­zioni e investimen­ti annunciato da Conte deve arrivare a stretto giro . «I prossimi 20 giorni sono fondamenta­li - è il mantra di Largo del Nazareno -. O inizieremo a toccare il malcontent­o sociale». Ma se sul capitolo semplifica­zioni a parole sono tutti d’accordo, divergono le ricette in particolar­e per sbloccare i cantieri, tema a cui tiene particolar­mente Iv. Al primo posto delle richieste di Matteo Renzi a Conte c’è infatti il famoso piano shock da 120 miliardi, contenuto nel documento dei renziani su cui è attiva l’interlocuz­ione con Palazzo Chigi tramite il capo di gabinetto del premier, Alessandro Goracci (gli altri due punti sono il Family Act e la questione giustizia, con la tutela del garantismo). Un piano diverso da quello della ministra dem delle Infrastrut­ture De Micheli, che punta a 12 commissari per accelerare 25 opere. E paradossal­mente più vicino alle posizioni dei pentastell­ati, che invece propongono di trasformar­e in commissari i soli Ad di Anas e Rfi. «Il tema è un: vogliamo rispondere alla crisi con misure anticiclic­he che valgano almeno 100 miliardi in tre anni», chiarisce il viceminist­ro M5S alle Infrastrut­ture, Giancarlo Cancelleri.

Sullo sfondo resta la minaccia di Italia Viva di votare assieme alla Lega la sfiducia al Guardasigi­lli Alfonso Bonafede mercoledì mattina se nel frattempo non arriverann­o le risposte attese. Una minaccia che il premier vuole sventare a tutti i costi, anche perché il ministro della Giustizia appare sempre più indebolito: proprio ieri le dimissioni del suo capo di gabinetto, Fulvio Baldi, per le conversazi­oni intercetta­te con l’ex Pm ora sospeso Luca Palamara, rese pubbliche dal Fatto Quotidiano. Ulteriore campanello d’allarme che suona in un M5S niente affatto compatto.

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