Il dossier Autostrade divide M5S e Pd Ma sui cantieri è sintonia con Italia Viva
Sul Mes pressing di dem e renziani, mentre i Cinque Stelle resistono
È rimasta in sordina, ma la nuova mina pronta a esplodere sul cammino della maggioranza è il dossier Autostrade. Che la ministra dem Paola De Micheli considera chiuso e pronto da offrire sul tavolo di uno dei prossimi Consigli dei ministri. Ma che i Cinque Stelle non hanno ancora visto. Dal quartier generale M5S arriva l’avvertimento : «Per noi non è contemplabile la rinuncia alla revoca della concessione». Peraltro, fanno notare fonti pentastellate, entro i prossimi 90 giorni bisognerà chiarire a chi consegnare le chiavi del ponte di Genova. «Bisogna accelerare il confronto», è il messaggio.
Un altro fronte, quello di Autostrade, dopo la regolarizzazione dei migranti, che trova invece Pd e Italia Viva schierati dall’altra parte della barricata.
Come sul Mes, che invece i Cinque Stelle continuano a guardare con estrema diffidenza. «Ancora nessuno ci ha dimostrato che sia senza condizionalità», ripete il capo politico reggente Vito Crimi. «I documenti devono essere approvati definitivamente, e comunque se passa il Recovery Fund del Fondo Salva-Stati non abbiamo bisogno». Questa è in fondo la stessa speranza del premier Giuseppe Conte, che per evitare l’implosione del M5S, intende far votare in Parlamento il pacchetto completo degli strumenti Ue anti-crisi.
È proprio la questione Mes ad aver fatto emergere il riavvicinamento sui temi, nonostante i pessimi rapporti dopo la scissione decisa da Matteo Renzi a settembre scorso, tra Pd e Italia Viva. Con la novità che la pazienza dei democratici, capodelegazione al governo Dario Franceschini in testa, riguardo alle contorsioni «ideologiche» e alle tendenze «assistenzialistiche e pauperiristiche» degli alleati pentastellati è praticamente finita. Sul Mes il Pd terrà il punto: proprio ieri il board dei governatori ha approvato il meccanismo dei prestiti agli Stati e per i dem non c’è ragione di tergiversare oltre. Non è un caso che il segretario Nicola Zingaretti abbia rilanciato proprio ieri un tema che sarà fondamentale nei prossimi mesi, quello del vaccino contro il Covid 19: «È una sfida decisiva per il futuro dell’Italia, quella della ricerca, dello studio e della realizzazione di un vaccino che dovrà essere un bene comune, accessibile a tutti e in quanto tale tutelato. Sono molti i governi che si stanno muovendo in autonomia...». Va da sé che i fondi del Mes aiuterebbero anche la ricerca in questo campo.
Mes a parte, la preoccupazione del Pd è ora tutta concentrata sulla sburocratizzazione necessaria per far arrivare in tempi rapidi la mole di aiuti stanziati con il Dl rilancio nelle tasche di cittadini e imprese: il decreto semplificazioni e investimenti annunciato da Conte deve arrivare a stretto giro . «I prossimi 20 giorni sono fondamentali - è il mantra di Largo del Nazareno -. O inizieremo a toccare il malcontento sociale». Ma se sul capitolo semplificazioni a parole sono tutti d’accordo, divergono le ricette in particolare per sbloccare i cantieri, tema a cui tiene particolarmente Iv. Al primo posto delle richieste di Matteo Renzi a Conte c’è infatti il famoso piano shock da 120 miliardi, contenuto nel documento dei renziani su cui è attiva l’interlocuzione con Palazzo Chigi tramite il capo di gabinetto del premier, Alessandro Goracci (gli altri due punti sono il Family Act e la questione giustizia, con la tutela del garantismo). Un piano diverso da quello della ministra dem delle Infrastrutture De Micheli, che punta a 12 commissari per accelerare 25 opere. E paradossalmente più vicino alle posizioni dei pentastellati, che invece propongono di trasformare in commissari i soli Ad di Anas e Rfi. «Il tema è un: vogliamo rispondere alla crisi con misure anticicliche che valgano almeno 100 miliardi in tre anni», chiarisce il viceministro M5S alle Infrastrutture, Giancarlo Cancelleri.
Sullo sfondo resta la minaccia di Italia Viva di votare assieme alla Lega la sfiducia al Guardasigilli Alfonso Bonafede mercoledì mattina se nel frattempo non arriveranno le risposte attese. Una minaccia che il premier vuole sventare a tutti i costi, anche perché il ministro della Giustizia appare sempre più indebolito: proprio ieri le dimissioni del suo capo di gabinetto, Fulvio Baldi, per le conversazioni intercettate con l’ex Pm ora sospeso Luca Palamara, rese pubbliche dal Fatto Quotidiano. Ulteriore campanello d’allarme che suona in un M5S niente affatto compatto.