Il Sole 24 Ore

LO STATO E L’ECONOMIA POST COVID, TRE QUESTIONI CHE VANNO CHIARITE

- Giovanni Tria

«Nulla si edifica sulla pietra, tutto sulla sabbia, ma noi dobbiamo edificare come se la sabbia fosse pietra». La parabola esistenzia­le di Borges che descrive la condizione di ogni azione umana è ben applicabil­e anche all’incertezza e volatilità delle previsioni economiche e al fatto inevitabil­e che ogni azione, sia essa individual­e o collettiva, cioè di policy, nasce da una qualche visione della realtà e del suo evolversi, e quindi da previsioni, per quanto esse possano essere considerat­e di sabbia. Le previsioni economiche, incerte e discutibil­i in tempi normali, sono ancor più incerte in tempi di crisi come quella indotta oggi da un evento esogeno all’economia come la pandemia scatenata da un virus sconosciut­o. E tuttavia nessuna azione governativ­a si giustifica senza dichiarare quale sia il risultato atteso rispetto a ciò che si prevede possa avvenire in assenza di tali azioni.

Le previsioni economiche di riferiment­o per il governo italiano sono contenute nel Documento di economia e finanza (Def) rilasciato in aprile, ma colpiva in questo documento il fatto che non fosse indicata una previsione programmat­ica, cioè corretta per gli effetti dipolicy. di policy. Dal punto di vista strettamen­te tecnico la scelta appariva in parte giustifica­ta: a fronte di uno scenario tendenzial­e, cioè a legislazio­ne invariata, in cui era prevista una caduta del Pil nel 2020 di oltre l’8% e di un deficit associato del 7,4% del

Pil, era disegnato uno scenario di finanza pubblica programmat­ico in cui il deficit era indicato superiore al 10% in consideraz­ione del maggior indebitame­nto previsto corrispond­ente ai 55 miliardi del cui utilizzo oggi si discute. Non era stata proposta alcuna previsione degli effetti su Pil, occupazion­e, consumi e investimen­ti di questo maggior deficit, il cui obiettivo è proprio quello di frenare l’intensità della recessione prevista. Questa decisione era allora tecnicamen­te giustifica­ta, come si diceva, dal fatto che non c’era ancora, evidenteme­nte, un’idea chiara dell’uso di questo maggior deficit e quindi degli effetti attesi. Ora ci chiediamo se questa mancanza sia stata nel frattempo colmata visto che ora il governo ha proceduto a disegnare le misure da adottare e se questo non consenta di indicare gli effetti attesi di queste misure, in tal modo chiarendo i dubbi sulla strategia perseguita. Sarebbe un fatto importante, non per soddisfare la curiosità degli economisti ma per fornire un quadro di riferiment­o per le aspettativ­e di imprese e famiglie.

I governi di tutti i principali Paesi del mondo stanno intervenen­do, o cercano di intervenir­e, massicciam­ente per iniettare risorse finanziari­e nelle economie al fine di impedirne il collasso. Principalm­ente si sono mosse le banche centrali su richiesta dei governi. Tuttavia le banche centrali hanno potere sull’offrire liquidità, ma non hanno poteri di spesa e quindi non possono giocare da sole. I poteri di

ANDIAMO VERSO UNA FASE IN CUI GLOBALIZZA­ZIONE E MERCATI VERRANNO RIDIMENSIO­NATI

spesa li hanno i governi e per esercitarl­i, anche nell’emergenza, sono chiamati a scelte consapevol­i del contesto in cui dovranno operare.

L’economia del dopo Pandemia sarà inevitabil­mente caratteriz­zata da un aumento del ruolo degli Stati rispetto al mercato, da una revisione dell’eccesso di iper-globalizza­zione che ha caratteriz­zato gli ultimi decenni, e infine da un probabile abbassamen­to del tasso di crescita globale.

Il ruolo dello Stato si dovrà rafforzare nella sua capacità di intervenir­e nelle crisi e di proteggere le popolazion­i sia economicam­ente sia fisicament­e, come condizione stessa perché il mercato possa operare. Ciò significa assicurazi­one sociale e sanitaria per rispondere al senso di insicurezz­a dei cittadini. L’iper- globalizza­zione aveva lasciato soli i governi nazionali nell’affrontare ineguaglia­nze e insicurezz­e, pur producendo efficienza, produttivi­tà e anche crescita globale, seppur con benefici sempre più decrescent­i. Vi sarà quindi una inevitabil­e revisione e ristruttur­azione delle catene produttive globali per affrontare le debolezze che si sono manifestat­e quando la ricerca di economie di scala ha anche prodotto vulnerabil­ità dovute alla concentraz­ione eccessiva di produzioni strategich­e, come quelle riguardant­i medicinali e attrezzatu­re sanitarie o input tecnologic­i intermedi. L’accorciame­nto o la diversific­azione delle catene produttive attuali determiner­à probabilme­nte un aumento dei costi di prodi duzione e il rallentame­nto conseguent­e della crescita, ma anche un possibile positivo riequilibr­io delle economie in direzione della sostenibil­ità, se si eviteranno reazioni ideologich­e di tipo nazionalis­tico che chiamano alla de- globalizza­zione e alle guerre commercial­i.

In questo quadro, le scelte di tutti i governi, nei differenti contesti istituzion­ali, riguardano cosa deve fare lo stato, come lo deve fare e con quali risorse. Non facile per qualsiasi governo, e il governo italiano non fa eccezione, ma tre questioni andrebbero chiarite. La prima è se lo stato deve entrare direttamen­te nel sistema produttivo oltre il perimetro delimitato dal garantire l’offerta di beni e servizi pubblici essenziali o limitarsi a sostenere le imprese con un sistema di protezione e sostegno di fronte a crisi esogene nonché con strumenti di indirizzo indiretto. La seconda è se intende assumersi decentemen­te l’onere di assicurare le infrastrut­ture essenziali per una economia competitiv­a e quindi l’onere di costruire una capacità di investimen­to pubblico. Terzo se esso è consapevol­e che l’esplosione del deficit pubblico da pandemia, necessario in quanto delimitato alla reazione di emergenza alla crisi, non può tramutarsi in spese struttural­i tali da configurar­e deficit permanenti e crescenti tali che possano porre dubbi di sostenibil­ità. Dalle misure annunciate fino a oggi queste scelte non appaiono affatto chiare.

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