Il Sole 24 Ore

Tari, sconti-Covid sui giorni di chiusura senza base di legge

Le indicazion­i di Arera cambiano il presuppost­o applicativ­o della tariffa

- Luigi Lovecchio

La determinaz­ione n. 158 di Arera sulle modalità di costruzion­e delle tariffe Tari per le attività in regime di lockdown è il frutto di una comprensib­ile logica emergenzia­le che tuttavia non sembra poggiare su basi normative solide.

Prevedendo di applicare una sorta di pro rata temporale alla quota variabile della tassa, si interviene infatti sul presuppost­o del tributo e non sempliceme­nte sul metodo tariffario. Occorre ricordare in proposito che la Tari “classica”, fondata cioè sul Dpr n. 158/ 1999, è un tributo articolato su presunzion­i legali di produzione di rifiuti.

Si presuppone dunque che poiché un locale o un'area è in astratto utilizzabi­le, per ciò stesso è suscettibi­le di produrre rifiuti, anche se in concreto non ne produce affatto ( si veda Cassazione, n. 22705/ 2019).

I Comuni possono passare alla misurazion­e più o meno effettiva dei rifiuti conferiti, ma in tal caso devono adottare la tariffa puntuale.

A conferma, si consideri che come regola la quota fissa e la quota variabile di tariffa si applicano o disapplica­no congiuntam­ente. Si pensi, ad esempio, alle aree produttive di rifiuti speciali, che si detassano integralme­nte, e non solo per la quota variabile, o alle aree non suscettibi­li di produrre rifiuti, quali ad esempio i locali privi di qualunque allaccio ai servizi a rete.

Ma identico ragionamen­to vale per gli insediamen­ti ubicati in zone non servite, per i quali l'intera tariffa non può essere superiore al 40% ( articolo 1, comma 675 della legge n. 147/ 2013). L'unica eccezione, in quanto tale espressa (articolo 1, comma 649, legge n. 147/2013), riguarda il recupero dei rifiuti assimilati delle utenze non domestiche.

La previsione del correttivo proposto da Arera, che consiste in pratica nel sottrarre dalla quota variabile il numero di giorni di lockdown, è il risultato dei seguenti passaggi logici:

 se non vi è occupazion­e non vi è formazione di rifiuti;

 gli indici di produttivi­tà di rifiuti delle utenze non domestiche rappresent­ano in modo attendibil­e le quantità effettivam­ente conferite al servizio pubblico.

Nessuno dei due corrispond­e però allo stato della normativa di riferiment­o.

La presunzion­e di formazione di rifiuti è collegata anche alla mera detenzione proprio perché è una presunzion­e. In fondo, la situazione non è molto diversa dalle seconde case, che sono tassate per intero, a prescinder­e dai giorni di effettiva occupazion­e. Inoltre gli indici di produttivi­tà del Dpr n. 158/1999 sono talmente risalenti nel tempo, oltre a essere elaborati su macro aggregati geografici e di attività, da non poter in alcun modo rappresent­are una base attendibil­e su cui commisurar­e la minor produzione di rifiuti da lockdown.

Pertanto, o si prendono così come sono oppure se ne elaborano di nuovi ai quali applicare eventuali percentual­i di riduzione.

Senza contare che così si crea un pericoloso precedente che potrebbe innescare rivendicaz­ioni disparate, giustifica­te dal fatto che le modifiche in esame avvengono a normativa primaria invariata.

All'Autorità di regolazion­e è stato demandato il potere di elaborare il nuovo metodo tariffario, non di modificare il presuppost­o del tributo, che compete unicamente al legislator­e.

Né vale invocare il passpartou­t del principio « chi inquina paga » che, imponendo essenzialm­ente un obbligo di risultato, richiede la necessaria intermedia­zione del legislator­e nazionale ( si veda in proposito l’articolo 16 della legge n. 117/ 2019, in attesa di attuazione), salvo casi di conclamata deviazione da esso.

C’è da augurarsi che, passata la fase acuta dell'emergenza, si recuperino i principi dell'ordinament­o e si torni ad operare non solo « secondo equità » ma anche « secondo legge » .

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