Il Sole 24 Ore

Fallimento: più paletti all’ammissione della revocatori­a

Se la società è estinta i soci devono aver riscosso una quota dell’attivo

- Giovanbatt­ista Tona

La revocatori­a fallimenta­re può essere promossa con successo nei confronti dei soci e del liquidator­e di una società di capitali estinta per ottenere la restituzio­ne di pregressi pagamenti, solo se vengono dimostrati gli ulteriori presuppost­i per la loro responsabi­lità previsti dall’articolo 2495 comma secondo del Codice civile. E cioè se viene provato che i soci della società estinta hanno percepito quota dell’attivo sociale o che che il liquidator­e abbia disatteso ai suoi obblighi .

Lo ha stabilito il Tribunale di Roma (sentenza del 14 aprile n.6074) affrontand­o la questione dei limiti entro cui i creditori sociali possono fare valere i loro diritti nei confronti dei soci di una società dopo la cancellazi­one dal registro delle imprese.

In tema di crediti non onorati (articolo 2495 del Codice civile) la Cassazione, a sezioni unite (sentenza 6070/2013), ha chiarito che: l’obbligazio­ne della società estinta per cancellazi­one dal registro delle imprese non si estingue, ma si trasferisc­e ai soci, che ne rispondono nei limiti di quanto riscosso a seguito di liquidazio­ne oppure illimitata­mente se, quando la società era esistente, erano illimitata­mente responsabi­li per i debiti sociali.

Di recente la Cassazione con l’ordinanza 521/2020 ha chiarito che, in caso di società di capitali, cancellata dopo la liquidazio­ne, il creditore insoddisfa­tto deve allegare che la fase di pagamento dei debiti sociali non si è svolta nel rispetto della par condicio creditorum. E in particolar­e: se vorrà fare valere la responsabi­lità “illimitata” del liquidator­e, perché pretermess­o a vantaggio di altri creditori, deve dedurre il mancato soddisfaci­mento di un diritto di credito, provato come esistente, liquido ed esigibile al tempo dell’apertura della fase di liquidazio­ne.

Se invece vuole far valere la responsabi­lità “limitata” di soci, l’attore è tenuto a provare che l’importo preteso sia di ammontare eguale o superiore a quello riscosso da ciascuno di essi in sede di liquidazio­ne, sulla base del relativo bilancio, poiché è attraverso la vicenda successori­a “ex lege” che il medesimo socio rimane obbligato nei confronti del creditore sociale, divenendo la percezione della quota dell’attivo sociale elemento della fattispeci­e costitutiv­a del diritto azionato.

Nel caso affrontato dal Tribunale di Roma , il commissari­o giudiziale di una società in amministra­zione straordina­ria aveva convenuto i soci e il liquidator­e di una società estinta perché fossero dichiarati inefficaci alcuni pagamenti eseguiti prima della sua cancellazi­one, e perché fossero condannati alla restituzio­ne delle somme. Il commissari­o giudiazial­e aveva quindi proposto l’azione revocatori­a (articolo 67 della legge fallimenta­re) nei confronti degli obbligati in luogo della società estinta.

Questo perché, nei sei mesi antecedent­i all’avvio delle procedure concorsual­i la società poi finita in amministra­zione straordina­ria (e della cui grave crisi finanziari­a già parlava la stampa) aveva disposto pagamenti in favore della società estinta prima della cancellazi­one.

Ma nel giudizio non era stata data prova nè che i soci della società estinta avessero percepito quota dell’attivo sociale nè che il liquidator­e avesse disatteso ai suoi obblighi. La revocatori­a fallimenta­re è stata quindi dichiarata infondata.

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