L’indagine sui conti non prova la qualifica di imprenditore
Dai soli movimenti finanziari emerge unicamente l’ammontare della pretesa L’ufficio aveva chiesto Iva e Irap senza però modificare quanto dovuto come Irpef
La presunzione relativa stabilita dalla normativa sulle indagini finanziarie opera esclusivamente ai fini della determinazione del quantum debeatur, ma non può essere utilizzata per l’individuazione dei presupposti legittimanti l’accertamento. È quanto affermato dalla Commissione tributaria regionale della Sicilia nella sentenza 1767/9/2020 (presidente Zingale, relatore Arangio).
Da quanto emerge dal testo della sentenza, la controversia origina da una verifica fiscale effettuata dalla guardia di Finanza nei confronti di una persona fisica. Nel corso della verifica, vengono disposte indagini finanziarie sui conti correnti intestati al soggetto. Ad esito del controllo fiscale, viene rilasciato il processo verbale di constatazione con il quale si contesta al contribuente, alla luce delle movimentazioni finanziarie rilevate sui conti correnti, di avere svolto l’attività di imprenditore edile a mezzo di alcune società di costruzioni fittiziamente interposte. Viene, pertanto, proposto il recupero a tassazione delle maggiori Irap e Iva che il contribuente avrebbe dovuto dichiarare e versare nel presupposto dell’esercizio dell’attività di impresa, mentre nessuna contestazione viene formulata ai fini dell’Irpef.
Le risultanze della verifica vengono confermate dall’agenzia delle Entrate di Agrigento, che emette avviso di accertamento. Il contribuente impugna l’atto davanti l’autorità giurisdizionale, ribadendo anzitutto di non avere mai svolto l’attività individuale di imprenditore edile. Inoltre, contesta un uso strumentale delle indagini finanziarie da parte dell’ufficio, dato che le relative risultanze sono state utilizzate per un fine differente rispetto a quello previsto dal legislatore, per attribuire al soggetto accertato la natura di imprenditore individuale nel settore dell’edilizia. Secondo la difesa, infatti, la natura di imprenditore di un soggetto non può essere desunta dalle disponibilità registrate sui conti correnti. A conferma di ciò, il contribuente evidenzia che dall’analisi delle movimentazioni dei conti correnti non è scaturito alcun recupero di imponibile ai fini Irpef, ma solamente l’accertamento dell’Irap e dell’Iva che il soggetto avrebbe dovuto versare qualora avesse prodotto in regime di impresa i redditi correttamente dichiarati.
I giudici di primo grado accolgono il ricorso e la sentenza viene integralmente confermata in appello. In particolare, con riferimento alla presunta qualità di imprenditore del soggetto accertato rilevata dall’ufficio sulla base della disponibilità di diversi conti correnti, la Ctr ha affermato che la normativa sulle indagini finanziarie introduce solamente una presunzione “quantitativa”, secondo cui le movimentazioni dei conti correnti intestati al contribuente sono allo stesso imputabili quali elementi reddituali, salvo prova contraria. Ne consegue che non può essere attribuita a un soggetto la qualità di imprenditore esclusivamente sulla base della disponibilità di conti correnti bancari, in assenza di ulteriori elementi fondanti la pretesa.
Su queste basi, i giudici hanno confermato l’annullamento integrale dell’avviso di accertamento, condannando l’ufficio al pagamento delle spese di lite.