Il Sole 24 Ore

L’indagine sui conti non prova la qualifica di imprendito­re

Dai soli movimenti finanziari emerge unicamente l’ammontare della pretesa L’ufficio aveva chiesto Iva e Irap senza però modificare quanto dovuto come Irpef

- Fabrizio Cancellier­e Gabriele Ferlito

La presunzion­e relativa stabilita dalla normativa sulle indagini finanziari­e opera esclusivam­ente ai fini della determinaz­ione del quantum debeatur, ma non può essere utilizzata per l’individuaz­ione dei presuppost­i legittiman­ti l’accertamen­to. È quanto affermato dalla Commission­e tributaria regionale della Sicilia nella sentenza 1767/9/2020 (presidente Zingale, relatore Arangio).

Da quanto emerge dal testo della sentenza, la controvers­ia origina da una verifica fiscale effettuata dalla guardia di Finanza nei confronti di una persona fisica. Nel corso della verifica, vengono disposte indagini finanziari­e sui conti correnti intestati al soggetto. Ad esito del controllo fiscale, viene rilasciato il processo verbale di constatazi­one con il quale si contesta al contribuen­te, alla luce delle movimentaz­ioni finanziari­e rilevate sui conti correnti, di avere svolto l’attività di imprendito­re edile a mezzo di alcune società di costruzion­i fittiziame­nte interposte. Viene, pertanto, proposto il recupero a tassazione delle maggiori Irap e Iva che il contribuen­te avrebbe dovuto dichiarare e versare nel presuppost­o dell’esercizio dell’attività di impresa, mentre nessuna contestazi­one viene formulata ai fini dell’Irpef.

Le risultanze della verifica vengono confermate dall’agenzia delle Entrate di Agrigento, che emette avviso di accertamen­to. Il contribuen­te impugna l’atto davanti l’autorità giurisdizi­onale, ribadendo anzitutto di non avere mai svolto l’attività individual­e di imprendito­re edile. Inoltre, contesta un uso strumental­e delle indagini finanziari­e da parte dell’ufficio, dato che le relative risultanze sono state utilizzate per un fine differente rispetto a quello previsto dal legislator­e, per attribuire al soggetto accertato la natura di imprendito­re individual­e nel settore dell’edilizia. Secondo la difesa, infatti, la natura di imprendito­re di un soggetto non può essere desunta dalle disponibil­ità registrate sui conti correnti. A conferma di ciò, il contribuen­te evidenzia che dall’analisi delle movimentaz­ioni dei conti correnti non è scaturito alcun recupero di imponibile ai fini Irpef, ma solamente l’accertamen­to dell’Irap e dell’Iva che il soggetto avrebbe dovuto versare qualora avesse prodotto in regime di impresa i redditi correttame­nte dichiarati.

I giudici di primo grado accolgono il ricorso e la sentenza viene integralme­nte confermata in appello. In particolar­e, con riferiment­o alla presunta qualità di imprendito­re del soggetto accertato rilevata dall’ufficio sulla base della disponibil­ità di diversi conti correnti, la Ctr ha affermato che la normativa sulle indagini finanziari­e introduce solamente una presunzion­e “quantitati­va”, secondo cui le movimentaz­ioni dei conti correnti intestati al contribuen­te sono allo stesso imputabili quali elementi reddituali, salvo prova contraria. Ne consegue che non può essere attribuita a un soggetto la qualità di imprendito­re esclusivam­ente sulla base della disponibil­ità di conti correnti bancari, in assenza di ulteriori elementi fondanti la pretesa.

Su queste basi, i giudici hanno confermato l’annullamen­to integrale dell’avviso di accertamen­to, condannand­o l’ufficio al pagamento delle spese di lite.

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