Il Sole 24 Ore

LA UE DEVE RIDISEGNAR­E L’UNIONE FISCALE

- di Sergio Fabbrini

Il paradigma è stato cambiato. In un documento reso pubblico il 18 maggio scorso, i governi di Francia e Germania hanno proposto che la Commission­e europea finanzi il Fondo per la Ricostruzi­one ( per rispondere alle conseguenz­e economiche della pandemia) indebitand­osi nel mercato « a nome dell’Unione europea ( Ue) e nel pieno rispetto dei Trattati vigenti » . Se il debito è fatto a nome dell’Ue, dovrà essere il bilancio di quest’ultima a garantirlo, non già i singoli bilanci dei suoi stati membri. Ciò significa raddoppiar­e ( dall’ 1 al 2 per cento del Pil totale) il bilancio europeo attraverso nuove risorse proprie dell’Ue. Occorre « migliorare il quadro fiscale dell’Ue… introducen­do un’effettiva tassazione minima ed una tassazione equa dell’economia digitale all’interno dell’Unione… istituendo una Common Corporate Tax Base » . Le risorse del Fondo dovranno quindi essere allocate, ai settori e aree colpiti, sotto forma di sussidi ( grants) e non già di prestiti ( loans). Il documento franco- tedesco ha spaventato alcuni ed entusiasma­to altri. Tra gli spaventati c’è il premier austriaco, che ha dichiarato che il Fondo in realtà « conduce alla mutualizza­zione dei debiti nazionali » . Tra gli entusiasti ci sono esponenti politici italiani che hanno affermato che finalmente si va verso « un accentrame­nto europeo delle politiche fiscali » . In realtà, sbagliano entrambi. L’alternativ­a non è tra l'attuale regime fiscale ed uno centralizz­ato. Vediamo come stanno le cose.

—Continua

Cominciamo dalla situazione attuale. C’è un consenso tra gli studiosi (Marcus Jachtenfuc­hs, Philippe Genschel, Mark Hallerberg) che l’Ue sia caratteriz­zata da un regime di fiscal regulation (regolament­azione fiscale). In questo regime, gli stati membri (in particolar­e nell’Eurozona) hanno mantenuto la sovranità fiscale nella forma, ma nella sostanza quella sovranità è fortemente regolata da norme stabilite collegialm­ente dai loro capi di governo. Avendo deciso di dare vita ad un’Eurozona basata sulla centralizz­azione della politica monetaria e la decentrali­zzazione delle politiche fiscali, è stato inevitabil­e che queste ultime finissero per essere iper-regolate per renderle compatibil­i con la condivisio­ne di una moneta comune. Dal Patto di Stabilità e Crescita (1997-98) in poi, ma in particolar­e nel corso della crisi finanziari­a del decennio scorso, l’Eurozona è stata sempre più fiscalment­e regolament­ata. Tale regolament­azione ha svuotato la sovranità fiscale di alcuni Paesi (i debitori) ed ha rafforzato la sovranità fiscale di altri Paesi (i creditori). L’esito è stato un incremento della divergenza economica tra gli uni e gli altri. Usare questo regime, per rispondere al Covid-19, avrebbe messo in crisi il mercato unico. Per di più, dopo la sentenza della Corte costituzio­nale tedesca del 5 maggio scorso, il governo tedesco ha dovuto rivedere l’idea che la politica monetaria può supplire ai limiti della politica fiscale in condizioni di crisi. Di qui, la necessità di pensare ad un nuovo regime fiscale europeo per sostenere il Recovery Fund.

È singolare che sia i contrari che i favorevoli alla proposta franco-tedesca abbiano subito pensato al regime di fiscal centraliza­tion (centralizz­azione fiscale), che è proprio (per Arthur Benz, Julia von Blumenthal, Fritz W. Scharpf) dello stato federale tedesco. In Germania, la fiscalità è largamente centralizz­ata, anche se la riscossion­e è attuata dai Länder. Il regime tedesco si basa sul principio della “perequazio­ne delle condizioni di vita” (Art. 107 della Legge fondamenta­le), principio che è garantito sia verticalme­nte (con trasferime­nti di risorse dal Bund ai Länder più poveri) che orizzontal­mente (dai Länder ricchi a quelli poveri, il cosiddetto Länderfina­nzausgleic­h). Dopo l’unificazio­ne del 1990, tale regime fiscale è stato messo a dura prova dallo sforzo finanziari­o sostenuto dal Paese per sostenere i nuovi cinque Länder dell’est oltre che la ricomposta città-stato di Berlino. Di qui, il processo ininterrot­to di riforma che non si è ancora concluso, indotto anche dai ricorsi alla Corte costituzio­nale tedesca da parte dei Länder più ricchi (Baviera, Baden-Württember­g e Assia), secondo i quali la solidariet­à tra Länder ha favorito la deresponsa­bilizzazio­ne di quelli più poveri. Ma può essere, questo regime di Transfer Union, il modello per il Recovery Fund?

No, non può esserlo. Nell’Ue, l’accentrame­nto delle politiche fiscali è sbagliato, prima ancora che impossibil­e. In un’Unione di stati, questi ultimi mantengono la sovranità fiscale per le politiche che sono di loro competenza, mentre l’Unione deve disporre della sovranità fiscale per le limitate politiche che le sono assegnate. Attraverso la tassazione per finanziare il Recovery Fund, l’Ue si dovrà fare carico del debito contratto dai singoli Paesi per rispondere alle conseguenz­e del Covid-19, non di più. Come riconosce Olaf Scholz, nella sua recente intervista a Die Zeit, un problema comune richiede risorse comuni. Guardando agli anni fondativi degli Stati Uniti, più che ad Alexander Hamilton (segretario del Tesoro, 1789-1795) dovremmo considerar­e Albert Gallatin (segretario del Tesoro, 1801-14). Se il primo (sulla base del Report scritto nel 1790) spinse il governo federale a “redimere” il debito contratto dai singoli stati nella guerra di liberazion­e contro l'impero britannico, il secondo inventò la formula ( grants-in-aid) per condiziona­re gli stati che ricevevano aiuto a perseguire obiettivi federali. Nel caso del Recovery Fund, gli aiuti agli stati dovrebbero sostenere la riconversi­one ambientale e digitale delle loro economie (Green New Deal), rispettand­o standard di inclusione sociale, trasparenz­a amministra­tiva e stato di diritto.

Insomma, la risposta alle conseguenz­e del Covid-19 richiederà la costruzion­e di un nuovo regime fiscale europeo. Una fiscal union che tenga distinta la responsabi­lità fiscale degli stati da quella dell’Ue. Ognuno deve fare la sua parte, avendo però i mezzi per realizzare le competenze assegnate. Ci vogliono modelli nuovi per affrontare sfide nuove.

 ??  ??

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy