Un virus insinuato tra pieghe di solitudine
In Usa il rischio di mortalità è più alto tra poveri e minoranze, in Italia tra gli anziani Ma non è solo perché siamo tra i Paesi più vecchi: la qualità dell’età avanzata è cruciale
Negli Usa il rischio di mortalità per il coronavirus è molto più elevato per i poveri e le minoranze etniche. Il virus uccide quattro volte più i neri dei bianchi e anche tra gli ispanici la mortalità è molto più elevata. Le cause sono diverse: povertà, sovraffollamento e segregazione residenziale, condizioni igieniche peggiori, stili di vita insalubri (abuso di droghe e alcol), minori possibilità di telelavoro. Il 60% dei lavoratori che guadagnano più di 70.000 dollari l’anno possono svolgere il lavoro da casa; per coloro che guadagnano meno di $ 40.000 la cifra è inferiore al 40%. I dati di Google sulla mobilità derivati dai cellulari mostrano che nelle contee americane povere la mobilità si è ridotta molto meno che in quelle più ricche. E la mobilità è correlata al rischio di contagio e di morte. In Gran Bretagna lo scenario è simile. L’istituto statistico nazionale ha calcolato che il rischio di morte per Covid19 tra i neri è oltre 4 volte più elevato dei bianchi. Per i cittadini asiatici ( Bangladesh, Pakistan, India), la mortalità è stimata fra 1,9 e 1,6 volte quella degli autoctoni.
In Italia il target principale del virus sono gli anziani. Ciò viene spesso spiegato con il fatto che siamo la società più anziana d’Europa e una delle più anziane al mondo. È una spiegazione consolante perchè l’elevata mortalità degli anziani sarebbe l’altra faccia di un nostro primato: la vita media in Italia è più lunga che altrove. Tuttavia questa spiegazione nasconde una realtà meno trionfale. È vero che in Italia la vita media si è continuamente allungata, come negli altri paesi Europei, ma l’aspettativa di vita sana si è accorciata. La vita sana è definita come numero di anni trascorsi senza disabilità o malattie che ostacolino le attività quotidiane.
La forbice che si è allargata tra vita in aumento e vita sana in regresso significa che in Italia si sono create schiere di malati cronici anziani. È lì che colpisce il virus.
Semplicemente questa pandemia ha fatto emergere le fragilità specifiche delle varie società. Mentre
la vulnerabilità delle società americana e britannica riguarda l’emarginazione etnica ed economica, quella italiana riguarda la condizione critica della terza età.
Il paragone col Giappone, una società ancora più anziana di quella italiana, fornisce indicazioni interessanti su come prendersi cura dell’età avanzata. Il coronavirus in Giappone ha ucciso “solo” qualche centinaio di persone tra gli anziani. Questo non è sorprendente. In confronto al terribile spettacolo degli anziani con sedia a rotelle, problemi mentali e badante che si vedono nelle città italiane, la gran quantità di persone vecchissime e autonome che camminano per le strade delle città giapponesi colpisce immediatamente ogni viaggiatore europeo.
Gli straordinari risultati ottenuti da questo paese quanto a longevità e salute degli anziani sono basati su politiche che li coinvolgono in attività sociali, fisiche e mentali. Queste politiche sono capillarmente promosse dalle amministrazioni locali in collaborazione con gruppi di volontariato, mentre il governo nazionale promuove campagne che informano sull’importanza delle relazioni per la salute nella terza età.
Queste politiche hanno una solida base negli studi epidemiologici. Essi mostrano che un fattore di rischio molto rilevante per la salute degli anziani è la solitudine. Essa è associata a un rischio molto più alto di mortalità e di contrazione e progressione di patologie tipiche della terza età rispetto agli anziani con una ricca vita sociale (malattie cardiovascolari, demenza senile, deficit di memoria, Alzheimer, ecc.).
In Italia è ancora poco riconosciuto che, per prevenire la solitudine nella terza età, è necessario svolgere una azione di prevenzione attraverso programmi di integrazione sociale degli anziani sul modello giapponese. Da noi prevale una idea medicalizzata della cura della terza età.
Ridurre la probabilità dell’insorgenza di malattie croniche per le persone anziane ha una importanza che va molto al di là del virus e coinvolge la spesa sanitaria e la sua sostenibilità. Prevenire la solitudine degli anziani costerebbe una piccola frazione del costo elevatissimo della prassi attuale: lasciarli a una terza età patogena per poi consegnarli, quando non ce la fanno più, alle badanti, alle le case di riposo o a costosissime organizzazioni ad alta intensità di tecnologia e conoscenza - come gli ospedali.
La qualità dell’età avanzata è divenuta una questione cruciale. Se non miglioriamo la qualità della terza età, una popolazione che invecchia diverrà un peso sociale e sanitario insostenibile. Oltre che il brodo di coltura ideale per le epidemie.
Da noi prevale l’idea medicalizzata della cura della terza età: è necessaria invece una azione di prevenzione con programmi di integrazione. Il modello è il Giappone