Augmentation e automation per l’evoluzione del lavoro
L’automazione si amplia ai mestieri ad alto rischio contagio, crescono anche quelli integrati con l’Ai: sempre più necessaria una formazione adeguata
Il futuro del lavoro all'improvviso è diventato un po’ più il nostro presente. Quel futuro noto agli economisti come quarta rivoluzione industriale, impastato di intelligenza artificiale, robot, big data. Tecnologie che aiutano alcuni lavori a essere più efficienti e funzionali, al solito quelli di tipo cognitivo e specialistico, mentre sostituiscono altri, tipicamente quelli meccanici e ripetitivi. Ecco: scenari che si stavano preparando gradualmente ora vengono anticipati di anni, secondo le prime analisi che arrivano in tempi di coronavirus. La somma dei due fattori in gioco - rischio sanitario e crisi economica incombente - costringono le aziende a spingere sull’acceleratore del futuro: tra i recenti studi che giungono a questa conclusione c’è “Covid19 and the workforce” del Mit Technology Review e un sondaggio del GeoTech Center dell'Atlantic Council, su cento esperti di tecnologia.
Di fondo, la situazione attuale obbliga le aziende sia a migliorare le efficienze economiche sia a privilegiare l’isolamento sociale. È banale osservare che l’uso di intelligenza artificiale permette di centrare entrambi gli obiettivi. Meno banale notare – come fanno i ricercatori del Mit – che l’impatto del fenomeno sul mondo del lavoro sarà complesso e diversificato. Il Mit parla diaugmentation di augmentation eautomation. e automation. Nel primo caso il lavoro è assistito dall’intelligenza artificiale. Nel secondo ne è sostituito, in tutto o in parte. Ogni tipo di lavoro è classificato dal Mit con una percentuale più o meno alta di possibilità di augmentation o di automation (a volte è un mix delle due, in percentuali diverse). I lavori sanitari sono tra i primi che fruiranno di più dell'assist dell’intelligenza artificiale, senza esserne sostituiti. Con un aumento di efficienza e riduzione del rischio, dato che la tecnologia favorirà anche il ricorso a diagnosi a distanza. Idem – nota il Mit – per quei professionisti che ora senza problemi lavorano in smart working. L’uso dell’artificial intelligence, a supporto dei processi decisionali, con strumenti di analytics di dati, favorisce l’efficienza continuando a tutelare la modalità di lavoro “smart”, a distanza.
Vanno verso l'automazione invece i lavori che sono sia ad alto rischio contagio sia ripetitivi, che l’Ai può sostituire con facilità: cassieri, addetti alla preparazione e al servizio di cibo. Altri lavori cadranno presto in questa categoria non appena l’Ai supererà gli attuali limiti: è il caso degli autisti.
La letteratura scientifica già da anni (Accenture, McKinsey, World Economic Forum) evidenzia quali lavori sono più soggetti ad augmentation e quali sono più a rischio di automation (o sostituzione). Gli esperti del Mit notano però, appunto, che il fenomeno è accelerato per colpa del Covid-19. E, per lo stesso motivo, va a colpire di più i lavori ad alto rischio contagio.
In definitiva e nel lungo periodo, nota il Mit, il coronavirus accelererà l’innovazione in generale e avrà effetti benefici sui lavori che possono essere augmented e remotizzati. L’effetto negativo sarà sull’altro tipo di lavori.
Un altro studio del Mit, di maggio, nota che dal 1993 al 2007 gli Stati Uniti hanno introdotto un robot ogni mille lavoratori e l’Europa 1,6 ogni mille. Ogni robot ha eliminato 3,3 lavori negli Stati Uniti.
Secondo il Mit, il fenomeno dovrebbe costringere diverse parti interessate ad accelerare l’approccio al cambiamento. Significa accogliere e gestire entrambi i fenomeni: augmentation e automation. Ossia formazione dei lavoratori per lavorare meglio e a più stretto contatto con le macchine e l’Ai e adozione dell'innovazione, anche con incentivi del Governo. Bisogna favorire lo sviluppo e al tempo stesso parare i rischi socioeconomici, la crescita di disoccupazione e diseguaglianze.
C’è un chiaro ruolo da parte delle aziende, ma anche delle politiche pubbliche: per incoraggiare la formazione dei lavoratori e per favorire nuovi percorsi di carriera per coloro che sono sostituiti dalla macchina; ma anche in termini di sostegno generalizzato al reddito. Una “ricetta” che molti economisti hanno proposto negli anni, per affrontare la quarta rivoluzione industriale. E che ora per il Mit è più urgente adottare. «È necessaria una nuova politica industriale che guardi al post-Covid con una strategia volta all’innovazione e alla gestione dei relativi impatti sul lavoro», nota Giacomo Bandini, analista dellosservatorio Competere. «In Giappone e Corea del Sud lo stanno già facendo, con nuove politiche innovative pubbliche. La Norvegia è tra i primi Paesi europei a farlo, coinvolgendo tutti gli attori in un confronto pubblico-privato. È il momento che anche l’Italia faccia le stesse mosse», dice Bandini. Noi abbiamo il piano Impresa 4.0 e i suoi incentivi, ma il suo aggiornamento (e potenziamento) ai tempi del coronavirus non è più rientrato nel decreto Rilancio di maggio.
Concorda Mauro Lombardi, professore di Scienze per l’economia e l’impresa presso l’Università di Firenze: « Le politiche pubbliche italiane scontano da tempo un difetto di visione, sull’innovazione. Si sono concentrate più sugli aiuti di breve periodo, tralasciando la gestione del cambiamento socio-economico che è alle porte » .