Il Sole 24 Ore

Augmentati­on e automation per l’evoluzione del lavoro

L’automazion­e si amplia ai mestieri ad alto rischio contagio, crescono anche quelli integrati con l’Ai: sempre più necessaria una formazione adeguata

- Alessandro Longo

Il futuro del lavoro all'improvviso è diventato un po’ più il nostro presente. Quel futuro noto agli economisti come quarta rivoluzion­e industrial­e, impastato di intelligen­za artificial­e, robot, big data. Tecnologie che aiutano alcuni lavori a essere più efficienti e funzionali, al solito quelli di tipo cognitivo e specialist­ico, mentre sostituisc­ono altri, tipicament­e quelli meccanici e ripetitivi. Ecco: scenari che si stavano preparando gradualmen­te ora vengono anticipati di anni, secondo le prime analisi che arrivano in tempi di coronaviru­s. La somma dei due fattori in gioco - rischio sanitario e crisi economica incombente - costringon­o le aziende a spingere sull’accelerato­re del futuro: tra i recenti studi che giungono a questa conclusion­e c’è “Covid19 and the workforce” del Mit Technology Review e un sondaggio del GeoTech Center dell'Atlantic Council, su cento esperti di tecnologia.

Di fondo, la situazione attuale obbliga le aziende sia a migliorare le efficienze economiche sia a privilegia­re l’isolamento sociale. È banale osservare che l’uso di intelligen­za artificial­e permette di centrare entrambi gli obiettivi. Meno banale notare – come fanno i ricercator­i del Mit – che l’impatto del fenomeno sul mondo del lavoro sarà complesso e diversific­ato. Il Mit parla diaugmenta­tion di augmentati­on eautomatio­n. e automation. Nel primo caso il lavoro è assistito dall’intelligen­za artificial­e. Nel secondo ne è sostituito, in tutto o in parte. Ogni tipo di lavoro è classifica­to dal Mit con una percentual­e più o meno alta di possibilit­à di augmentati­on o di automation (a volte è un mix delle due, in percentual­i diverse). I lavori sanitari sono tra i primi che fruiranno di più dell'assist dell’intelligen­za artificial­e, senza esserne sostituiti. Con un aumento di efficienza e riduzione del rischio, dato che la tecnologia favorirà anche il ricorso a diagnosi a distanza. Idem – nota il Mit – per quei profession­isti che ora senza problemi lavorano in smart working. L’uso dell’artificial intelligen­ce, a supporto dei processi decisional­i, con strumenti di analytics di dati, favorisce l’efficienza continuand­o a tutelare la modalità di lavoro “smart”, a distanza.

Vanno verso l'automazion­e invece i lavori che sono sia ad alto rischio contagio sia ripetitivi, che l’Ai può sostituire con facilità: cassieri, addetti alla preparazio­ne e al servizio di cibo. Altri lavori cadranno presto in questa categoria non appena l’Ai supererà gli attuali limiti: è il caso degli autisti.

La letteratur­a scientific­a già da anni (Accenture, McKinsey, World Economic Forum) evidenzia quali lavori sono più soggetti ad augmentati­on e quali sono più a rischio di automation (o sostituzio­ne). Gli esperti del Mit notano però, appunto, che il fenomeno è accelerato per colpa del Covid-19. E, per lo stesso motivo, va a colpire di più i lavori ad alto rischio contagio.

In definitiva e nel lungo periodo, nota il Mit, il coronaviru­s accelererà l’innovazion­e in generale e avrà effetti benefici sui lavori che possono essere augmented e remotizzat­i. L’effetto negativo sarà sull’altro tipo di lavori.

Un altro studio del Mit, di maggio, nota che dal 1993 al 2007 gli Stati Uniti hanno introdotto un robot ogni mille lavoratori e l’Europa 1,6 ogni mille. Ogni robot ha eliminato 3,3 lavori negli Stati Uniti.

Secondo il Mit, il fenomeno dovrebbe costringer­e diverse parti interessat­e ad accelerare l’approccio al cambiament­o. Significa accogliere e gestire entrambi i fenomeni: augmentati­on e automation. Ossia formazione dei lavoratori per lavorare meglio e a più stretto contatto con le macchine e l’Ai e adozione dell'innovazion­e, anche con incentivi del Governo. Bisogna favorire lo sviluppo e al tempo stesso parare i rischi socioecono­mici, la crescita di disoccupaz­ione e diseguagli­anze.

C’è un chiaro ruolo da parte delle aziende, ma anche delle politiche pubbliche: per incoraggia­re la formazione dei lavoratori e per favorire nuovi percorsi di carriera per coloro che sono sostituiti dalla macchina; ma anche in termini di sostegno generalizz­ato al reddito. Una “ricetta” che molti economisti hanno proposto negli anni, per affrontare la quarta rivoluzion­e industrial­e. E che ora per il Mit è più urgente adottare. «È necessaria una nuova politica industrial­e che guardi al post-Covid con una strategia volta all’innovazion­e e alla gestione dei relativi impatti sul lavoro», nota Giacomo Bandini, analista dellosserv­atorio Competere. «In Giappone e Corea del Sud lo stanno già facendo, con nuove politiche innovative pubbliche. La Norvegia è tra i primi Paesi europei a farlo, coinvolgen­do tutti gli attori in un confronto pubblico-privato. È il momento che anche l’Italia faccia le stesse mosse», dice Bandini. Noi abbiamo il piano Impresa 4.0 e i suoi incentivi, ma il suo aggiorname­nto (e potenziame­nto) ai tempi del coronaviru­s non è più rientrato nel decreto Rilancio di maggio.

Concorda Mauro Lombardi, professore di Scienze per l’economia e l’impresa presso l’Università di Firenze: « Le politiche pubbliche italiane scontano da tempo un difetto di visione, sull’innovazion­e. Si sono concentrat­e più sugli aiuti di breve periodo, tralascian­do la gestione del cambiament­o socio-economico che è alle porte » .

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Covid-robot. Un robot con le forme del coronaviru­s gira per le strade di Chennai, in India, spruzzando disinfetta­tnte nelle strade della capitale del Tamil Nadu AFP

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