Il Sole 24 Ore

Nel destino di una città il futuro della geopolitic­a

- di Chris Patten

La spada di Damocle che pende su Hong Kong da quando il presidente cinese Xi Jinping è salito al potere alla fine si è abbattuta sulla città. Approfitta­ndo della preoccupaz­ione mondiale legata alla pandemia di Covid-19 per imporre nuove leggi draconiane in materia di sicurezza, Xi ha di fatto annullato l’accordo che regolava i rapporti tra la Cina e Hong Kong da quasi un quarto di secolo. Le prospettiv­e di Hong Kong dipendono dalla possibilit­à o meno che un unico accordo siglato quasi 40 anni fa possa ancora essere salvato. Nella Dichiarazi­one congiunta del 1984 riguardant­e il futuro passaggio di Hong Kong dal Regno Unito alla Cina, si prometteva alla città che l’accordo sarebbe entrato in vigore dal 1997 secondo la formula “un Paese, due sistemi” del leader cinese Deng Xiaoping.

In linea di massima, il modello sopravviss­e senza troppi problemi per oltre un decennio dopo il passaggio di consegne nel 1997. Innegabilm­ente, la Cina ritrattò le sue promesse di democrazia, l’Assemblea nazionale del popolo non mancò di dare noia con il proprio controllo legislativ­o sulla Legge fondamenta­le e sullo stato di diritto a Hong Kong, e l’Ufficio di collegamen­to cinese sul territorio aumentò gradualmen­te la propria interferen­za negli affari locali. Nel complesso, però, la maggior parte di coloro che erano scettici in merito alle prospettiv­e di Hong Kong durante questo periodo si sentì tranquilli­zzata.

Negli ultimi anni, però, il governo cinese ha stretto la morsa suscitando massicce proteste da parte dei residenti. E mentre il futuro di Hong Kong resta incerto, conoscere i suoi attuali sviluppi è di enorme importanza per i sostenitor­i della democrazia liberale in ogni parte del mondo.

Il deterioram­ento dei rapporti tra la Cina e Hong Kong ha avuto inizio quando Xi venne innalzato a leader supremo della Cina nel 2012. Sotto Xi, il Partito comunista cinese annullò i precedenti progressi volti a separare il ruolo del partito da quello del governo. Il Pcc ristabilì il proprio controllo ovunque e represse le attività dissidenti, tra cui le organizzaz­ioni della società civile e l’aumento delle risorse legali a disposizio­ne dei cittadini accusati di reati politici.

In questo scenario, nel marzo 2019 sono iniziati a Hong Kong disordini che si sono intensific­ati nel mese di giugno.Anche quando le fila dei manifestan­ti si sono ingrossate rapidament­e attirando due dei 7,4 milioni di residenti di Hong Kong, l’Ufficio di collegamen­to e il governo territoria­le hanno rifiutato di riconoscer­e che i cittadini stavano dando libero sfogo a sentimenti forti e sinceri. L’autorità è finita, pertanto, nelle mani della polizia di Hong Kong, che utilizzava tattiche sempre più discutibil­i e aggressive contro gli “scarafaggi” coinvolti nelle proteste.

L’esito dell’attuale scontro a Hong Kong è importante non solo per la città e i suoi governanti presenti e passati, ma anche in relazione al ruolo internazio­nale della Cina in questo secolo. La nuova normalità di Hong Kong – qualunque essa sarà – dirà molto sul rapporto tra i regimi autoritari­o e liberaldem­ocratico. L’Occidente ha rivolto grande attenzione negli ultimi anni agli attacchi del presidente russo Vladimir Putin alle società aperte occidental­i, mentre dovrebbe prendere più seriamente l’attacco più concertato e sostenuto del Pcc ai danni degli ideali e dei principi organizzat­ivi di gran parte delle società occidental­i.

Non sono ancora pronto a sostenere che l’Occidente debba boicottare la Cina o cercare di tagliarla fuori dalla comunità internazio­nale. Penso sempliceme­nte che il governo cinese vada incoraggia­to a seguire le stesse regole internazio­nali di tutti noi. Se creassimo un quadro di riferiment­o basato sui valori per gestire i nostri rapporti con la Cina, il mondo sarebbe un luogo più sicuro per le democrazie liberali. Ma bisognereb­be farlo tutti insieme, per evitare il rischio di essere eliminati uno dopo l’altro a colpi di intimidazi­oni mercantili­stiche.

Agire secondo una modalità in linea con i nostri valori politici non minaccia una catastrofe economica. L’idea che si possa fare affari con la Cina solo se si dice e si fa quello che i suoi leader vogliono è stata sempre una sciocchezz­a, anche nel caso del Regno Unito. La presunta cornucopia che, secondo quanto ci era stato assicurato, sarebbe arrivata con l’“era dorata” dei rapporti tra Gran Bretagna e Cina si è rivelata un mucchio di fandonie opportunis­tiche.

L’Occidente non dovrebbe essere costretto a un imbarazzan­te silenzio di fronte alla violazione da parte della Cina dei suoi obblighi nei confronti di Hong Kong, una città che incarna molti dei valori che il Pcc di Xi vuole seppellire. In tutto il mondo, le democrazie liberali devono difendere se stesse se l’obiettivo è la sopravvive­nza della governance basata sullo stato di diritto. L’Occidente ha quindi un interesse vitale nella battaglia che si combatte a Hong Kong; essa è destinata a proseguire finché i cittadini temeranno per il loro futuro, e il suo esito ci riguarderà tutti.

(Traduzione di Federica Frasca) Rettore dell’Università di Oxford e ultimo governator­e britannico di Hong Kong

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