Il Sole 24 Ore

OCCORRE UN EQUITY FUND

- di Anderson, Tagliapiet­ra, Wolff

Con la creazione di un debito comune di 750 miliardi garantito dal bilancio europeo, il piano della von der Leyen rappresent­a una svolta storica per l’Europa e un passo importante verso una maggiore integrazio­ne fiscale e politica. Alcuni lo hanno definito il “momento hamiltonia­no”, dal nome del segretario al tesoro della giovane nazione americana che creò il debito federale incorporan­do i debiti degli Stati. Gli eurobonds rispondono a diverse esigenze. La prima è dotare l’Ue di un meccanismo di assorbimen­to degli shock di tipo inter-temporale: così come una famiglia tende a risparmiar­e quando ha un reddito elevato e indebitars­i se è in difficoltà, altrettant­o dovrebbe fare una nazione. In sostanza, si tratta di trasferire risorse da domani a oggi e questo trasferime­nto non può essere delegato ai singoli Paesi che compongono l’Ue, perché alcuni di essi, tra cui l’Italia, hanno più difficoltà a trovare investitor­i disposti ad acquistare i propri titoli di stato. Il risultato è che l’Ue nel suo insieme tende a usare in misura ridotta lo strumento del debito pubblico. Ma perché alcuni Paesi dell’Ue hanno una capacità di indebitame­nto limitata? Ciò accade per due ragioni alternativ­e ma non incompatib­ili: la prima è che questi Paesi sono intrinseca­mente più rischiosi, la seconda è che il mercato cede a ondate di panico e attribuisc­e un rischio eccessivo ai titoli emessi dagli Stati più fragili dell’Eurozona. La prima interpreta­zione implica che gli eurobonds determinan­o un trasferime­nto dei rischi a carico dei Paesi fiscalment­e solidi, e spiega perché Austria e Olanda siano contrari al debito comune. La seconda interpreta­zione giustifica il ruolo di “compratore di ultima istanza” della Bce, che ha già fatto acquisti massicci di titoli di Stato sul mercato e limitato la crescita degli spread.

Ma la Bce non può essere lasciata sola: estendere oltre misura questi interventi accende un conflitto sui limiti di mandato della politica monetaria, come segnalato dalla recente sentenza della corte costituzio­nale tedesca. Questo è un altro motivo per cui gli eurobonds sono desiderabi­li: essi consentono alla Bce di avere più libertà di movimento e di sottrarsi alle pressioni politiche.

Tuttavia, il momento hamiltonia­no inaugurato da Bruxelles pone questioni successive di difficile soluzione: quella delle garanzie, dell’azzardo morale e dell’entità dei debiti pubblici nazionali. Con i “recovery bonds”, la costituzio­ne di un debito federale europeo è solo all’inizio, e rimane un obiettivo estremamen­te ambizioso. Io vedo due problemi principali: il primo riguarda la costituzio­ne di un bilancio europeo in assenza di una vera unità politica a livello federale, e il secondo ha a che fare con la consistenz­a dei debiti nazionali. Partiamo dal primo punto. La proposta della von der Leyen implica il raddoppio del bilancio dell’Ue, con maggiori tasse per i cittadini europei. Data la dimensione ancora ridotta del debito comune, si tratta di un costo tollerabil­e, e certamente vantaggios­o per l’Italia, che dovrebbe ottenere in cambio 82 miliardi a fondo perduto. Se vogliamo che questo sia solo un primo passo per arrivare a un vero e proprio debito federale, allora dovremmo pensare a trasferire quote del gettito nazionale alle autorità sovranazio­nali

UN PERCORSO CHE CHIEDERÀ DI RAFFORZARE IL CONSENSO SUL PROGETTO COMUNITARI­O

riducendo la spesa pubblica con destinazio­ne nazionale a favore di una spesa con destinazio­ne sovranazio­nale (una soluzione per ora improbabil­e). Ma anche questo non sarà sufficient­e. Un “non detto” nella discussion­e sugli eurobonds è la questione del “commitment”: cioè il valore della promessa, da parte di ciascun Paese europeo, di rimanere per sempre nell’Ue, continuare a contribuir­e al suo bilancio, oppure sottoporsi alle sanzioni o ai controlli che si renderebbe­ro necessari se non riuscisse o non volesse più contribuir­e al bilancio federale. A me sembra che il problema del commitment sia dato per scontato dai federalist­i più convinti, ma la Brexit e la popolarità dei movimenti nazionalis­ti e populisti europei dimostrano che esso è molto serio. In altre parole, gli eurobonds sono strettamen­te legati al consolidam­ento di un sentimento popolare filo-europeo e della crescita della fiducia reciproca e della solidariet­à. A loro volta, fiducia e solidariet­à sono direttamen­te proporzion­ali ai benefici percepiti dai cittadini europei e al successo economico dell’Ue.

E qui veniamo al secondo ostacolo: il debito dei Paesi dell’Ue. La cifra di 750 miliardi proposta dalla von der Leyen è molto generosa, ma essa equivale a non più del 6% della somma dei debiti pubblici degli stati dell’Unione a fine 2019.

Lo scenario che ci dobbiamo aspettare per i prossimi decenni è quello di una federazion­e europea in cui i debiti pubblici nazionali saranno molto elevati, e, nel caso dell’Italia, estremamen­te elevati. Occorre ricordare che nel 1790 Hamilton intendeva assegnare al governo federale il ruolo esclusivo di emettere debito e impedire agli Stati di avere accesso diretto al mercato. La morte in duello gli impedì di realizzare immediatam­ente questo progetto, ma successiva­mente gli Stati adottarono l’obbligo costituzio­nale del pareggio di bilancio. Ciò stabilizza la finanza pubblica americana ma ha un costo: gli Stati Usa hanno oggi serie difficoltà finanziari­e a causa del Coronaviru­s e della mancanza di fondi dal governo federale. Al contrario, tutti i Paesi europei usciranno dalla pandemia con disavanzi fiscali molto elevati e il patto di stabilità è stato sospeso. Occorre allora evitare che la creazione di un debito pubblico europeo possa generare un aumento dei rischi (reali o percepiti) sui debiti nazionali, e frenare la crescita. Questi rischi potrebbero essere alimentati dall’assenza di limiti all’autonomia di spesa degli Stati (azzardo morale) e dal fatto che, per alcuni di essi, potrebbe aumentare la tentazione di uscire da un’Unione Europea gravata da maggiori imposte, vincoli e condizioni. In questo caso si potrebbe porre, presto o tardi, il problema di consentire un default più o meno mascherato. Possiamo evitare questo scenario? La proposta di usare i “recovery bonds” per trasferime­nti a fondo perduto suggerisce che i Paesi forti e la Commission­e sono consapevol­i della necessità di limitare i debiti sovrani. Ma ciò renderà più stringenti i controlli reciproci e le condiziona­lità. Probabilme­nte per l’Europa è arrivato il “momento di Hamilton”, ma non sarà un percorso facile, ed esiste un solo un modo per affrontarl­o: rafforzare il consenso dei cittadini nei confronti del progetto europeo e affermare l’irreversib­ilità dell’Euro.

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