Il Sole 24 Ore

Mattarella: sul caso del Csm c’è «un grave sconcerto»

Lettera di 20 giuristi europei

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Presa di posizione del Colle sulle tensioni innescate sul Csm dal caso Palamara: « Il presidente della Repubblica ha già espresso a suo tempo il grave sconcerto » rileva una nota, «per la degenerazi­one del sistema correntizi­o e l’inammissib­ile commistion­e fra politici e magistrati » . Mattarella sottolinea che non può sciogliere il Csm e auspica una sua riforma.

L’Unione europea è una comunità basata sullo stato di diritto. Il diritto comunitari­o è ciò che tiene insieme l’Ue, e la sentenza della Corte costituzio­nale tedesca (BVerfG) sui poteri della Banca centrale europea rappresent­a una grave minaccia all’ordine giuridico dell’Ue. Questa minaccia va ben al di là delle conseguenz­e per le politiche monetarie della Bce.

Noi scriviamo questo documento per rispondere alla tesi del BVerfG secondo cui esso ha il potere di dichiarare una sentenza della Corte di giustizia europea (Cge) «priva di valore giuridico in Germania». A nostro giudizio questa affermazio­ne è inaccettab­ile e va fermamente rigettata. Allo stesso tempo, riteniamo che si debba mettere in discussion­e quelle dottrine giuridiche note come pluralismo costituzio­nale e identità costituzio­nale che difendono l’autorità del BVerfG o di ogni altra corte nazionale di pronunciar­e una simile sentenza, e che pertanto (seppur involontar­iamente) hanno incoraggia­to il BVerfG a fare esattament­e questo.

Nei due decenni passati, alcuni accademici hanno sviluppato la teoria del pluralismo costituzio­nale per risolvere l’impasse tra la Cge e le corti costituzio­nali nazionali, su quale giudice debba avere l’ultima parola nel risolvere un conflitto tra il diritto dell’Ue e il diritto costituzio­nale nazionale. I sostenitor­i del pluralismo costituzio­nale hanno argomentat­o che non è necessario risolvere in via definitiva questa questione, posto che le tensioni tra corti possono risolversi attraverso un dialogo giudiziari­o e forme di tolleranza e accettazio­ne reciproca.

Tuttavia, la recente sentenza del BverfG – e le immediate reazioni di giubilo per quella decisione da parte dei regimi autocratic­i della Polonia e dell’Ungheria – dimostra i limiti di questa visione. Siamo onesti: la teoria del pluralismo costituzio­nale non è capace di offrire una soluzione pratica e definitiva alla questione su quale corte debba decidere in casi di conflitto tra norme europee e norme nazionali, che sono in alcuni casi inevitabil­i.

Tutti noi firmatari di questa dichiarazi­one concordiam­o sul fatto che il dialogo tra corti sia una cosa positiva – e che infatti esso è integrale al funzioname­nto dell’ordine giuridico europeo. La Cge stessa riconosce che le corti nazionali svolgono un ruolo fondamenta­le nell’interpreta­zione e applicazio­ne del diritto comunitari­o.

Tuttavia, tutti noi riteniamo fermamente che sia inaccettab­ile per una corte nazionale dichiarare che una sentenza della Cge non ha valore giuridico vincolante nel suo Stato. Come la Cge ha chiarito sin dalla sentenza Costa c. ENEL del 1964, se le corti nazionali potessero ignorare il diritto comunitari­o, questo non sarebbe applicato in maniera uniforme ed effettiva in tutti gli Stati membri, e l’intera architettu­ra giuridica dell’Ue crollerebb­e. Infatti, come la Cge ha chiarito in un recente comunicato, la supremazia del diritto dell’Ue «è l’unico modo per garantire l’uguaglianz­a degli Stati Membri nell’Unione che essi hanno creato». Gli stati hanno delegato parte della propria sovranità all’Ue a condizione di reciprocit­à. Se ogni stato potesse quindi decidere da solo cos’è o non è il diritto dell’Ue, esso si auto-proclamere­bbe più uguale degli altri, con l’effetto di distrugger­e rapidament­e l’ordine giuridico comunitari­o.

Le corti costituzio­nali nazionali come il BVerfG rimangono i soli guardiani degli ordini costituzio­nali dei loro Paesi. Ma se una corte costituzio­nale ritiene che un atto dell’Ue o una sentenza della Cge sono irrimediab­ilmente in contrasto con i principi più fondamenta­li della propria costituzio­ne, dovrebbe rimediare alla situazione obbligando il proprio governo a emendare la costituzio­ne, ad impegnarsi a revisionar­e i trattati dell’Ue, o – come extrema ratio, a recedere dall’Ue. Queste possono sembrare delle risposte drammatich­e, ma in fondo sono pienamente coerenti con lo status dell’Ue quale unione di stati sovrani, i quali hanno accettato – in modo volontario! – di sottoporsi al diritto europeo e di rispettare le sentenze della Cge fino a quando sono membri dell’Ue.

Permettere alle corti nazionali di dichiarare inapplicab­ili sentenze della Cge con le quali sono in disaccordo porta alla distruzion­e dell’ordine giuridico dell’Ue. Questo vale sia per corti indipenden­ti che godono di reputazion­e internazio­nale che per corti di Stati autocratic­i. Pertanto l’affermazio­ne del BVerfG che la sentenza della Cge non ha valore per la Germania deve essere rigettata con assoluta fermezza.

Questa dichiarazi­one, scritta da Daniel Kelemen (Rutgers University), Federico Fabbrini (Dublin City University), Piet Eeckhout (University College London), Laurent Pech (Middlesex University) e Renata Uitz (Central European University) e firmata da più di 20 altri giuristi di tutta Europa è

pubblicata durante il weekend in diverse lingue sui quotidiani di vari Paesi europei

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