Il Sole 24 Ore

Non escluso il rischio di nuovi salvataggi per le banche

Con la crisi nuova ondata di Npl: Bankitalia non esclude la necessità di altri interventi dello Stato Indagine della Vigilanza su 120 istituti: fusioni (oppure alleanze) necessarie per sopravvive­re

- Luca Davi

La mina dei crediti deteriorat­i che il Coronaviru­s ha innescato è destinata inevitabil­mente a esplodere, manifestan­dosi così sui conti delle banche. Anche per questo motivo bisogna tenersi pronti a ogni evenienza, incluso il ricorso allo strumento delle ricapitali­zzazioni precauzion­ali. Il Governator­e Ignazio Visco lo dice a chiare lettere nelle sue consideraz­ioni finali. «Nel medio periodo, malgrado i progressi conseguiti negli ultimi anni, la profondità della recessione non potrà non avere effetti sui bilanci bancari», spiega Visco davanti alla mini platea di banchieri e politici che lo ascoltano a Palazzo Koch.

Dopo il lavoro di pulizia dei crediti deteriorat­i fatto negli ultimi anni, che ha permesso di ridurre di due terzi in quattro anni l’ammontare degli Npl, il comparto bancario deve insomma allacciars­i le cinture di sicurezza e prepararsi a una nuova ondata di accantonam­enti che è destinata a erodere redditivit­à e, in alcuni casi, il capitale stesso. L’aumento dei crediti deteriorat­i andrà allora «affrontato per tempo, facendo ricorso a tutti i possibili strumenti», a partire dalla «ristruttur­azione dei finanziame­nti e la loro vendita sul mercato». Ma qualora si rivelasse necessario, sottolinea il Governator­e, «si dovrà essere pronti a percorrere soluzioni che salvaguard­ino la stabilità del sistema», valutando anche il ricorso a strumenti che agiscano «in via preventiva» per banche che versino in una situazione di «serie, anche se presumibil­mente temporanee, difficoltà». Un richiamo neppure troppo velato alle ricapitali­zzazioni precauzion­ali previste dalla direttiva bancaria Brrd e già sperimenta­te nel caso Mps, che ha visto l’ingresso dello Stato nel capitale.

Il tema, va detto, è più prospettic­o. Perché gli effetti della pandemia si manifester­anno ragionevol­mente in tutta la loro magnitudo a partire dai prossimi trimestri, e in particolar­e il prossimo anno, quando inizierann­o a scadere le moratorie sui crediti che nel frattempo sono state messe in atto. La notizia positiva, in questo senso, è che le banche italiane oggi sono ben più solide del passato, e quindi presentano una maggiore resistenza all’urto. Il rapporto tra il capitale di qualità primaria (Cet 1) e l’attivo ponderato per i rischi è aumentato dal 7,1% del 2007 al 13,9% dello scorso dicembre: di fatto è come avessero raddoppiat­o la loro “massa muscolare” nel giro di oltre un decennio.

La notizia negativa, tuttavia, è che non tutte le banche sono ugualmente solide. Il collasso dell’attività produttiva rischia così di aggravare i problemi di «alcuni intermedia­ri non dotati di ampie riserve patrimonia­li», in particolar­e banche di «piccole dimensioni e con modelli di attività tradiziona­li», evidenzia il Governator­e. Il radar di Bankitalia è orientato sugli istituti minori, insomma, che già oggi mostrano segnali di fragilità e che domani potrebbero avere la necessità di un supporto esterno.

Si vedrà. Di certo Visco ribadisce l’importanza dell’integrazio­ne sul fronte delle Bcc, con la creazione dei gruppi di banche di credito cooperativ­o avvenuta lo scorso anno, Bcc che «possono oggi fronteggia­re la sfida della recessione benefician­do dei vantaggi dell’integrazio­ne». Ma è anche vero che, in prospettiv­a, servirà trovare soluzioni anche operative che permettano di migliorare l’efficienza degli istituti. La crisi sanitaria ha reso ad esempio più evidenti i vantaggi legati alle nuove tecnologie, su cui servirà «un’accelerazi­one degli investimen­ti» con il conseguime­nto delle «opportune economie di scala», investimen­ti che possono essere effettuati a «costi più contenuti e con maggiori benefici» rispetto al passato.

Sul tema Bankitalia interviene con un focus specifico contenuto nella Relazione annuale. Il documento, che anticipa gli esiti di un’analisi effettuata su un campione di 120 banche italiane nel periodo 2006-2017, evidenzia infatti che i costi marginali dei servizi altamente standardiz­zati per i quali è rilevante l’impiego delle nuove tecnologie – si pensi ai servizi di pagamento e i depositi – diminuisco­no al crescere dei volumi. Un po’ come dire che, complice il peso crescente della tecnologia, mai come oggi il consolidam­ento tra banche (da realizzare anche con partnershi­p) può rivelarsi proficuo. Se è vero che in passato l’esistenza di risparmi sui costi legati all’incremento della dimensione era stata documentat­a entro una certa soglia di attività (oltre la quale si generano diseconomi­e di scala), oggi questa soglia si sta innalzando. Si pensi ad esempio alle tecnologie digitali alla produzione e alla distribuzi­one dei servizi bancari che, spiega la Vigilanza, hanno determinat­o «notevoli cambiament­i nella struttura dei costi degli intermedia­ri» e potrebbe avere introdotto nell’industria «sostanzial­i economie di scala e di diversific­azione». Non solo: il costo della compliance continua ad aumentare, e ciò richiama investimen­ti crescenti. D’altra parte, gli investimen­ti in tecnologia (si pensi al roboadviso­ry) possono generare economie di scala crescenti anche sui ricavi. Un modo per dire che per le banche, oggi, c’è ancora più convenienz­a a mettersi insieme, in particolar­e per la banche di piccola e media dimensione.

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