Il tribunale commissaria Uber Eats: «Caporalato sui rider»
Il Tribunale: l'emergenza sanitaria ha aggravato la situazione dei rider Amministratore giudiziario Cesare Meroni: per un anno sovrintenderà su Uber Italy
Nei giorni del lockdown, infilato lo zaino Uber Eats, erano sempre di più a pedalare, nel silenzio delle città. Per tre euro lordi a consegna. Al di là della distanza e del meteo. Spesso, senza mance. E non di rado, quei 3 euro diventavano anche di meno, per «punizioni strumentali». Il Tribunale di Milano non ha dubbi: l’emergenza sanitaria ha aggravato la situazione dei rider, che consegnano cibo a domicilio. Così davanti alle evidenze della Procura, dispone il commissariamento cautelativo per caporalato di Uber Italy. Viene iscritta nel registro degli indagati, per la legge 231 sulla responsabilità amministrativa, anche la controllante Uber International Holding, con sede in Olanda.
Tutta l’inchiesta, portata avanti dal pm Paolo Storari, verte sui rapporti tra la multinazionale, la filiale italiana e la ditta milanese Flash Road City (FRC). Il primo segnale dello sfruttamento dello stato di bisogno sta nella nazionalità. Provengono infatti da Nigeria, Mali, Costa D’Avorio, Gambia buona parte dei rider reclutati da giugno 2018 a febbraio 2020 dalla FRC, per le consegne per Uber. Richiedenti asilo, sistemati in centri di accoglienza, con permessi di soggiorno a tempo per motivi umanitari; « persone disposte a tutto, per avere i soldi per sopravvivere, sfruttate e discriminate » , scrivono i giudici della Sezione Misure di Prevenzione ( Fabio Roia, presidente, Veronica Tallarida e Ilario Pontani). Una condizione che li fa accettare turni “dalle 11 alle 24”, racconta uno; di non avere ricevute di pagamento; di dover restituire 80 euro in caso di rottura o perdita della borsa; di essere operativi in precise fasce orarie; o di accettare comunicazioni come questa: « Attenzione! Gli importi presenti sull’applicazione sono errati». Questo perché la cifra sull’app del fattorino includeva anche la mancia stabilita da chi aveva ordinato la cena, ma non era scontato che quei soldi arrivassero a chi aveva pedalato. «Per le mance, se il cliente me la consegnava in contanti, le mettevo in tasca; se invece erano versate sull’applicazione, venivano trattenute», racconta un rider. « La promessa era di accreditarle dopo sei mesi, ma questo – conferma un altro – non è mai avvenuto » . In una tabella, acquisita dopo una perquisizione della Gdf, c’è il riepilogo dei pagamenti: se in una settimana nessuno ha ricevuto un bonus, non pochi hanno subito decurtazioni fino a 35euro. Tra i motivi, non aver avuto una «percentuale di accettazione superiore al 95%». Da calcoli degli stessi indagati intercettati sarebbero state « pari a 21mila euro le mance rubate ai rider. Inoltre – riportano i giudici nelle 60 pagine del decreto – lo sfruttamento si sarebbe realizzato anche nel derubarli sulla cauzione di 70euro per ritirare zaino portavivande, sponsorizzato da Uber » . Decine di messaggi su una chat denunciano, a detta dei magistrati, « la condizione di sfruttamento e sudditanza » , oltre a « pagamenti irrisori, sottrazione legalizzata delle mance, mancato pagamento delle ritenute, punizioni». Per tutto questo, si contesta l’intermediazione illecita e lo sfruttamento del lavoro (art 603bis) per i vertici della Flash Road City, che rispondono anche di riciclaggio, e per un manager Uber. L’esame del materiale sequestrato ha portato gli inquirenti a convincersi che la stessa « Uber partecipi, attraverso suoi dipendenti, a sanzionare rider e che, al di là delle apparenze, incida sui turni lavorativi. Ciò in contrasto – sottolineano i giudici – con la vulgata che la vede come un’informale piattaforma con nessun rapporto con i rider, che si limita a mettere in contatto ristoratori e clienti», tenendo una percentuale. In Italia, Uber Eats consegna in 14 città e nel tempo si è avvalsa delle gambe di 1.429 rider, ricostruiscono gli inquirenti, la maggior parte dei quali ( 527) a Milano, dove si affida a due società di logistica - una delle quali è la FRC - che a loro volta « subappaltano le consegne degli ordini ai fattorini, collaboratori occasionali o provvisti di partita Iva » . In realtà, stando a quanto gli indagati FRC scrivono in una memoria difensiva – Uber imponeva di « rispettare il loro forecast indicato settimanalmente » , minacciandoli di « togliere ristoranti o città». E dichiarano anche di «non aver mai forzato alcun ragazzo » e che « solo i manager di Uber potevano bloccare l'account», utilizzato per le consegne. Anche scambi di mail tra la FRC e manager Uber convincono gli inquirenti che « l’autonomia lavorativa dei rider era in realtà, vincolata da Uber che, in conseguenza del non rispetto delle regole – si legge – avrebbe applicato restrizioni economiche alla FRC » . Cosi per rispettare le prestazioni, i rider pedalano sempre più velocemente.
Ora ci sarà un amministratore giudiziario, Cesare Meroni, a sovrintendere su Uber Italy per un anno. Come già avvenuto per altre società della logistica: messaggio della Procura all’intero comparto.