Il Sole 24 Ore

Investire in formazione e rivedere il sistema degli ammortizza­tori

Investiamo nelle università 8 miliardi, la metà di quanto fanno i paesi a noi più vicini

- Claudio Tucci

La caduta dell’attività economica ha ridotto le opportunit­à di impiego, ripercuote­ndosi su giovani; occupazion­e femminile alle prese con un difficile equilibrio tra vita privata e profession­ale, gravato dalla chiusura delle scuole; su chi è impegnato in attività stagionali, con contratti temporanei; sugli autonomi; sul lavoro irregolare.

Lo stop ai licenziame­nti (prorogato fino al 17 agosto) e l’ampio ricorso alla cassa integrazio­ne d’emergenza (oggi sono in cig circa 7 milioni di lavoratori, quasi la metà dell’occupazion­e privata alle dipendenze) hanno, certo, attenuato l’impatto dell’epidemia sul lavoro, ma la partecipaz­ione al mercato occupazion­ale è caduta di quasi 300mila unità, e sono molti gli “scoraggiat­i”.

Ecco allora, partendo da questa fotografia, che Bankitalia, nel medio periodo, fornisce due suggerimen­ti. Il primo, è un “tagliando” agli strumenti esistenti, per capire se sono in grado di salvaguard­are i livelli minimi di reddito delle persone interessat­e dagli inevitabil­i processi di riallocazi­one. Il secondo spunto, ripreso, con forza, nelle consideraz­ioni finali, dal governator­e Ignazio Visco, riguarda la necessità che la forza lavoro acquisisca quelle competenze profession­ali la cui domanda diventerà sempre più robusta. Su quest’ultimo aspetto ha insistito Visco, ricordando da un lato l’importanza della formazione continua, dall’altro stimolando le famiglie a considerar­e strategico l’investimen­to in conoscenza.

I numeri, del resto, da tempo, parlano chiaro: l’Italia occupa il penultimo posto nell’Unione europea per quota di giovani tra i 25 e i 34 anni con un titolo di studio terziario, al primo per incidenza di ragazzi tra i 15 e i 29 anni che non studiano e non lavorano.

«È una perdita di opportunit­à individual­i che espone al rischio di esclusione ed è uno spreco per la collettivi­tà», è il commento di Ignazio Visco.

Di qui la necessità di migliorare la qualità del capitale umano, affrontand­o i problemi di fondo di scuola e università e ricerca, che spaziano dai differenzi­ali tra istituti e territori (che perpetuano e amplifican­o le diseguagli­anze di reddito e opportunit­à) agli ambienti che accolgono gli studenti (in molti casi non sicuri, confortevo­li e tecnologic­amente adeguati) fino ad arrivare alla preparazio­ne e motivazion­e dei prof (che sono essenziali).

Certo, c’è poi il nodo, anch’esso storico, delle risorse: il nostro Paese investe nelle università circa 8 miliardi, la metà in rapporto al Pil di quanto fanno i paesi a noi più vicini. Eppure, ha chiosato Visco, «anche solo lo spostament­o di una frazione modesta del bilancio pubblico produrrebb­e un deciso migliorame­nto della formazione dei giovani e della capacità di produrre innovazion­e». A beneficiar­ne sarebbe l’intero settore produttivo; ma anche la nostra capacità di intercetta­re le risorse Ue destinate alla ricerca.

Fondamenta­le la formazione continua. Le famiglie devono considerar­e strategico l’investimen­to in conoscenza

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