Investire in formazione e rivedere il sistema degli ammortizzatori
Investiamo nelle università 8 miliardi, la metà di quanto fanno i paesi a noi più vicini
La caduta dell’attività economica ha ridotto le opportunità di impiego, ripercuotendosi su giovani; occupazione femminile alle prese con un difficile equilibrio tra vita privata e professionale, gravato dalla chiusura delle scuole; su chi è impegnato in attività stagionali, con contratti temporanei; sugli autonomi; sul lavoro irregolare.
Lo stop ai licenziamenti (prorogato fino al 17 agosto) e l’ampio ricorso alla cassa integrazione d’emergenza (oggi sono in cig circa 7 milioni di lavoratori, quasi la metà dell’occupazione privata alle dipendenze) hanno, certo, attenuato l’impatto dell’epidemia sul lavoro, ma la partecipazione al mercato occupazionale è caduta di quasi 300mila unità, e sono molti gli “scoraggiati”.
Ecco allora, partendo da questa fotografia, che Bankitalia, nel medio periodo, fornisce due suggerimenti. Il primo, è un “tagliando” agli strumenti esistenti, per capire se sono in grado di salvaguardare i livelli minimi di reddito delle persone interessate dagli inevitabili processi di riallocazione. Il secondo spunto, ripreso, con forza, nelle considerazioni finali, dal governatore Ignazio Visco, riguarda la necessità che la forza lavoro acquisisca quelle competenze professionali la cui domanda diventerà sempre più robusta. Su quest’ultimo aspetto ha insistito Visco, ricordando da un lato l’importanza della formazione continua, dall’altro stimolando le famiglie a considerare strategico l’investimento in conoscenza.
I numeri, del resto, da tempo, parlano chiaro: l’Italia occupa il penultimo posto nell’Unione europea per quota di giovani tra i 25 e i 34 anni con un titolo di studio terziario, al primo per incidenza di ragazzi tra i 15 e i 29 anni che non studiano e non lavorano.
«È una perdita di opportunità individuali che espone al rischio di esclusione ed è uno spreco per la collettività», è il commento di Ignazio Visco.
Di qui la necessità di migliorare la qualità del capitale umano, affrontando i problemi di fondo di scuola e università e ricerca, che spaziano dai differenziali tra istituti e territori (che perpetuano e amplificano le diseguaglianze di reddito e opportunità) agli ambienti che accolgono gli studenti (in molti casi non sicuri, confortevoli e tecnologicamente adeguati) fino ad arrivare alla preparazione e motivazione dei prof (che sono essenziali).
Certo, c’è poi il nodo, anch’esso storico, delle risorse: il nostro Paese investe nelle università circa 8 miliardi, la metà in rapporto al Pil di quanto fanno i paesi a noi più vicini. Eppure, ha chiosato Visco, «anche solo lo spostamento di una frazione modesta del bilancio pubblico produrrebbe un deciso miglioramento della formazione dei giovani e della capacità di produrre innovazione». A beneficiarne sarebbe l’intero settore produttivo; ma anche la nostra capacità di intercettare le risorse Ue destinate alla ricerca.
Fondamentale la formazione continua. Le famiglie devono considerare strategico l’investimento in conoscenza