Alvarez & Marsal: «Aiuti alle imprese con piani di rilancio»
Bianchi: distinguere le società che sono entrate in crisi con il lockdown
Il diavolo si nasconde nei dettagli. Adriano Bianchi, managing director per l’Italia di Alvarez&Marsal, la società leader mondiale nella consulenza operativa e turn around, chiamata a rimettere insieme i cocci di Lehman Brothers dopo la crisi del 2008 e presente in 65 Paesi nel mondo, va dritto al punto: «Le misure previste dai Paesi europei per l’emergenza del Covid-19 e per il rilancio dell’economia si somigliano molto. Dal punto di vista strutturale, non ci sono grandi differenze». L’analisi dei diversi piani degli Stati che Marsal & Alvarez ha messo sotto la lente evidenzia però una sostanziale diversità di approccio: «Le grandi economie stanno preparando misure basate su dinamiche di mercato. L’Italia , spesso facendo intervenire Cdp - a cui oggi viene anche rimosso il vincolo statutario di non intervenire in aziende in crisi - o Sace, segue una logica indifferenziata». A fare la differenza, secondo Bianchi, è la filosofia: «In Italia non si distingue tra le imprese che erano già in crisi prima dello scoppio della pandemia e quelle che sono entrate in difficoltà con il lockdown, come se la volontà fosse di fare interventi a pioggia, senza differenziare le imprese meritevoli e che hanno piani sostenibili e le altre. Dall’inizio della crisi la nostra società ha acquisito 180 clienti nel mondo per consulenze su piani di ristrutturazione, nessuno in Italia». Un segno evidente che in Italia non serve avere piani per ricevere aiuti. «Il nuovo piano Next Gen EU richiederà inevitabilmente un cambio nel modus operandi che ha contraddistinto il nostro Paese».
Bianchi fa un esempio per tutti. «Germania, Austria e Svizzera hanno dato la disponibilità a concedere a Lufthansa aiuti per circa nove miliardi di euro anche sotto forma di equity, ma in parallelo la compagnia aerea ha presentato un progetto di ristrutturazione che prevede il taglio di 8mila dipendenti e, come emerso nei giorni passati, ha ora sospeso l’accesso all’intervento dello Stato in quanto le condizioni imposte dalla Ue ha portato il Board a riconsiderare il tutto all’interno del piano strategico. British Airways sta discutendo aiuti pubblici sulla base di un piano che prevede 12mila esuberi, 30mila in cassa integrazione e quattromila piloti in ferie non retribuite. Nel caso di Alitalia, dove la logica assistenziale prevale, intendiamo investire la stessa cifra (3 miliardi) che è riservata alla sanità, senza un piano industriale sottostante».
Bisogna tenere distinta l’assistenza dal salvataggio delle imprese. «Lo Stato deve farsi carico del problema dei cittadini che perdono il lavoro, attraverso gli ammortizzatori sociali. Il finanziamento dei “costi sociali” della crisi potrà essere garantito dai fondi europei dedicati (Sure, Bei, etc.) ma l’accesso alle risorse per la ripresa dell’economia dovranno avere una base solida e definita. Ma per fare questo, lo Stato dovrà poter dimostrare che se entra nel capitale di un’impresa è perché si vuole preservare valore».
Ma l’ingresso nella governance non deve essere un’occupazione di poltrone. «Gli Stati Uniti di Obama concessero miliardi di aiuti alle banche e all’automotive investendo in equity, che hanno rivenduto facendo anche profitti, ma inserendo manager capaci e pretendendo risultati. Anche in Italia la politica deve fare un passo indietro e adeguarsi alle logiche del mercato».
Per questo non è comprensibile la norma che vieta alle imprese che ricevono aiuti o finanziamenti di licenziare. «È condivisibile il divieto di distribuire dividendi perché il valore deve essere reinvestito nell’azienda fino a che il supporto viene rimborsato, ma il divieto di licenziamento è una contraddizione in termini per un’impresa che deve ristrutturarsi per essere sostenibile».
Se l’Italia non si adegua rapidamente rischia di pagare un prezzo anche più elevato dei competitor globali. Le imprese italiane sono piccole e sottocapitalizzate, è uno degli storici difetti strutturali del sistema. «La crisi spingerà le concentrazioni favorendo la creazione di campioni nazionali. Per competere su scala globale, bisognerebbe agevolare investimenti e merger, dare vita a un vero e proprio piano di cofinanziamento pubblico-privato e allargare l’utilizzo dei Pir per convogliare il risparmio privato nelle imprese».
Infine, il cambiamento di business e la catena del valore. La crisi ha mostrato la strada del cambiamento in molti settori. La digitalizzazione e il rispetto ambientale sono due punti qualificanti del Next Gen EU. «Se lo Stato supporta finanziariamente le imprese o ne acquisisce partecipazioni deve anche indirizzare il modello di business. A monte serve una politica industriale strutturata con una chiara definizione di quelli che sono i settori strategici per l’Italia. Se si decide che il turismo è strategico, bisogna permettere alle imprese di sopravvivere non dare un bonus vacanze alle famiglie».