Alla Consulta il decreto carceri, violato il diritto di difesa
Questione di legittimità sollevata sulle misure contro le scarcerazioni
Continua lo stillicidio di rinvii alla Corte costituzionale che sta costellando la disciplina emergenziale dell’amministrazione della giustizia. Il giudice di sorveglianza di Spoleto ha infatti considerato non manifestamente infondata la questione di legittimità della norma del decreto Bonafede che ammette la rivaluatazione delle condizioni che hanno determinato la collocazione agli arresti domiciliari dal carcere di circa 500 detenuti colpevoli o in attesa di giudizio per reati di criminalità organizzata.
Nelle 19 pagine dell’ordinanza, il giudice di sorveglianza di Spoleto, affronta il caso di un detenuto, condannato a 5 anni di carcere, che era finito ai domiciliari. L’uomo è stato sottoposto a un trapianto di organi « con la necessità - si legge nel provvedimento - di continuare il trattamento con immunosoppressore e immunoglobuline antiHbv». Il detenuto è stato ritenuto a rischio per il coronavirus e, dopo richiesta del legale, scarcerato e mandato ai domiciliari. Ma, per effetto del decreto legge n. 29, la sua vicenda è tornata al magistrato di sorveglianza per la revoca dei domiciliari e il ritorno in carcere.
Il magistrato solleva due punti critici: la compressione del diritto di difesa e l’ingiustificata distinzione tra reati. Quanto al primo, il decreto non lascia margini di intervento alla difesa, visto interviene un provvedimento urgente di revoca di quello precedentemente assunto, senza nemmeno potere conoscere le ragioni del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria alla base del ripensamento.
Il procedimento, sottolinea l’ordinanza, si innesca senza comunicazioni formali e in assenza di contraddittorio; alla difesa è inoltre impedito un confronto reale sulle tesi del Dap sull’idoneità del nuovo luogo di cura, anche avviando una verifica sulle terapie magari già iniziate. Un altro punto critico è rappresentato dal trattamento differenziato a seconda dei reati. A venire violato sarebbe allora l’articolo 3 della Costituzione perché il trattamento che già è caratterizzato da minori garanzie neppure riguarda gli autori di tutti i reati ma solo di alcuni.