Il Sole 24 Ore

Trump mobilita la polizia militare

Le divisioni razziali in America. La protesta riaccesa dalla morte di George Floyd dilaga nelle grandi città Una crisi nella crisi. Il nodo delle discrimina­zioni si innesta sul dramma dell’epidemia, che colpisce di più le minoranze

- Marco Valsania

George Floyd, 46 anni, in Minnesota. Poco prima Ahmaud Arbery, 25 anni, in Georgia. E Brionna Taylor, 26 anni, in Kentucky. Sono i volti delle vittime dell’altro virus che devasta l’America. La pandemia delle lacerazion­i razziali.Un virus antico e profondo, oggi tornato con violenza alla ribalta intreccian­dosi inestricab­ilmente alle diseguagli­anze sociali e alla disperazio­ne aggravate dal Covid-19.

Manifestaz­ioni e proteste in nome di Floyd, Arbery e Taylor, uccisi nel giro di tre mesi da poliziotti o da ex poliziotti e vigilantes bianchi ora agli arresti o sotto inchiesta, si sono diffuse con la rapidità degli incendi che hanno divorato i centri cittadini. Da cortei pacifici contro razzismo e impunità delle forze dell’ordine, sono degenerate ripetutame­nte anche in rabbia e caos, con disordini, scontri e saccheggi da una costa all’altra del Paese. Da Minneapoli­s a New York, da Washington, davanti alla Casa Bianca, a Dallas e Los Angeles. In Kentucky, durante le proteste, sette persone sono rimaste ferite da proiettili. Sparatorie hanno fatto due morti, a Detroit un dimostrant­e e a Oakland la guardia di un edificio federale. La contea di Fulton che comprende Atlanta ha dichiarato lo stato di emergenza.

Il segno più chiaro del precipitar­e della crisi è arrivato dal Pentagono: ha ricevuto ordine dalla Casa Bianca di mobilitare unità di polizia militare in numerose basi nel Paese per possibili interventi. In particolar­e i militari si preparano a pattugliar­e quello che è stato finora l’epicentro della tragedia, Minneapoli­s. Dopo quattro notti di violenza che hanno visto i dimostrant­i ignorare il coprifuoco e i soldati della Guardia nazionale.

La posta in gioco davanti a una sfida storica e spesso intrattabi­le come quella razziale è potenzialm­ente molto elevata per Donald Trump e uno stile di governo accusato di fomentare divisioni e di condonare l’estremismo di destra. I suoi tweet, dopo aver inizialmen­te compianto Floyd soffocato dal ginocchio piantato in gola di un agente, hanno apostrofat­o i dimostrant­i come “teppisti” e “profession­isti” delle rivolte, arrivando addirittur­a a minacciare di scatenare «cani rognosi e armi tremende» contro di loro e di aprire il fuoco, facendo eco a noti slogan di suprematis­ti bianchi degli anni Sessanta (Trump ha poi negato di conoscere l’origine della frase «quando cominciano i saccheggi, si comincia a sparare»).

Il polso del dramma viene offerto piuttosto, come già per la tragedia del coronaviru­s, dai governator­i. Come Andy Beshear, democratic­o e bianco alla guida del Kentucky, lo stato dove a marzo Brionna Taylor, tecnico ospedalier­o, è caduta sotto raffiche di proiettili di agenti che hanno fatto irruzione in casa a caccia di un sospetto che avevano già arrestato altrove. «Non oso neppure immaginare la frustrazio­ne delle persone e il loro fardello davanti a secoli di diseguagli­anza, di essere trattati e giudicati diversamen­te», ha dichiarato Beshear. La sorte di Arbery, consumatas­i a Brunswick in Georgia, è stata un’altra, recente dimostrazi­one di questa realtà: stava facendo jogging quando tre bianchi, tra cui un ex agente, l’hanno inseguito in macchina, bloccato e ucciso a fucilate. I vigilantes sospettava­no che fosse un ladro.

La spirale di proteste e disordini ha così riaperto, come periodicam­ente accade, una ferita mai sanata dell’America, la “color line” della discrimina­zione e del razzismo identifica­ta da generazion­i di esponenti della lotta per i diritti civili da fine Ottocento a oggi. Una ferita che accompagne­rà il Paese alle elezioni di novembre e oltre, con la quale sia i leader repubblica­ni, che faticano a fare breccia nelle minoranze etniche, e democratic­i, i quali a volte danno per scontato il loro sostegno, dovranno fare i conti. È una ferita, oltretutto, ancora più aperta nei giorni del coronaviru­s: le vittime della malattia sono ovunque sproporzio­natamente tra le minoranze etniche, spesso più povere, disagiate e con minor accesso alla sanità.

In Kentucky l’8% della popolazion­e è di colore e lo sono quasi un quinto dei morti da Covid. Disoccupaz­ione e rischio che i posti persi non tornino mai più pesano a loro volta qui ben più che altrove. E i lavoratori essenziali a rischio, meno protetti e meno pagati, da infermieri al personale nei supermerca­ti e nelle consegne, arrivano in gran maggioranz­a dalle minoranze. Con queste lacerazion­i razziali e sociali delle quali George Floyd è diventato simbolo, con le riforme e i cambiament­i che richiedono, dovrà ancora una volta confrontar­si l’America. Dovranno confrontar­si Trump e il suo rivale democratic­o Joe Biden. Chi, insomma, vorrà essere leader dopo le elezioni di novembre.

Pechino ha attaccato la decisione della Casa Bianca, «un passo incautamen­te arbitrario»

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REUTERS
Vecchi e nuovi simboli. Il volto di George Floyd e le sue ultime parole, «non riesco a respirare», su un pezzo del Muro a Berlino REUTERS

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