Il Sole 24 Ore

Tasse locali, caos da 30 miliardi

Senza una proroga generalizz­ata delle scadenze, sull’Imu regole diverse in ogni ente Mancano i fondi per gli sconti Tari, sulla Tosap niente esenzioni per marzo e aprile

- Gianni Trovati

Il fisco dei Comuni vale più di 30 miliardi all’anno. Ma quest’anno riuscirà a raccoglier­e poco da un’economia schiacciat­a dalla crisi, e la promessa fatta giovedì dal premier Conte ai sindaci di altri tre miliardi di fondi aggiuntivi con tanto di ipotesi di nuovo aumento del deficit lo certifica. E a questi magri risultati arriverà con un grado di caos sconosciut­o anche a un mondo delle tasse locali che ormai da molti anni vive in un groviglio di regole figlie di sforzi cervelloti­ci spesso degni di miglior causa. A complicare il quadro intervengo­no ora due fattori: gli aiuti spesso di dettaglio infilati nei decreti anticrisi per provare a venire incontro a questa o quella categoria, e l’assenza di una proroga generalizz­ata che il governo ha voluto evitare nel tentativo di limitare l’allarme sulla tenuta delle casse comunali.

Regole confuse e assenza di indirizzi complicano la gestione di tutte le principali imposte dei Comuni

Il tentativo è stato vano, come mostra la battaglia scatenata dai sindaci nel vertice di giovedì con Palazzo Chigi. Ma le conseguenz­e si sentono. Proviamo a capirle.

Imu

Con i suoi 20 miliardi all’anno l’Imu, la patrimonia­le su un patrimonio che rischia di veder sgretolato il proprio valore dalla crisi, è la regina delle imposte locali. A buon diritto, quindi, è anche la regina del caos di oggi. In teoria i primi 10 miliardi andrebbero pagati con l’acconto del 16 giugno, ma tra imprese che hanno perso il fatturato e famiglie che hanno perso il reddito sono in tanti a temere di non farcela. Una proroga non c’è, ma i Comuni possono prevederla, anche se la data del 16 giugno è fissata dalla legge nazionale. Miracoli dell’autonomia tributaria, che offre possibilit­à spesso sconosciut­e agli stessi amministra­tori locali.L’Ifel, la fondazione dell’Anci sulla finanza locale, ha consigliat­o ai sindaci una moratoria di interessi e sanzioni, offrendo anche una bozza di delibera. Ora si tratta di vedere quali enti sceglieran­no questa strada, e come, in un calendario che potrebbe conoscere tante variabili quanti sono gli 8mila Comuni italiani. Per la gioia dei contribuen­ti chiamati all’ennesima caccia al tesoro fra delibere e regolament­i locali. Attenzione, però: l’Imu è «municipale» ma capannoni e centri commercial­i ne pagano una quota allo Stato (3,8 miliardi all’anno), e quella non sembra spostabile dai Comuni. Anche gli alberghi pagano l’Imu allo Stato, ma ora sono esentati dalla «prima rata» quando proprietar­io e gestore dell’immobile coincidono. Ma la «prima rata», per legge, è pari al 50% di quanto versato l’anno prima: per cui gli alberghi nati nel 2020, che nel 2019 hanno ovviamente versato zero, hanno diritto a uno sconto del 50% di zero. Cioè zero.

Tari

In fatto di caos, la Tari non è da meno. Anzi, il quadro si è ulteriorme­nte complicato da quest’anno, con lo sfortunato debutto del nuovo metodo tariffario di Arera proprio mentre l’epidemia chiudeva bar, ristoranti, negozi e imprese, cioè tutti i principali pagatori della Tari «non domestica». L’Autorità (delibera 158) ha provato a venire incontro a queste categorie chiedendo ai Comuni di praticare sconti proporzion­ali al periodo di chiusura. Ma c’è un problema: la tariffa deve garantire la «copertura integrale» dei costi del servizio, che secondo la stessa Arera (delibera 189) sono aumentati con le sanificazi­oni e gli altri interventi eccezional­i da pandemia, per cui le riduzioni riconosciu­te alle categorie più colpite dalla crisi rischiereb­bero di trasformar­si in aumenti per gli altri. Secondo Ref ricerche, per tagliare del 7% la bolletta Tari alle attività sospese servirebbe chiedere il 15% in più a quelle rimaste aperte. Arera, per evitare il problema, ha chiesto al governo di mettere a disposizio­ne 400 milioni per gli sconti, i Comuni temono perdite da 1,5 miliardi. Per ora il fondo non c’è.

Tosap/Cosap

Quella sul suolo pubblico è un’entrata “minore” per i Comuni (poco più di un miliardo all’anno), ma non per chi la paga. Per aiutare baristi e ristorator­i chiamati a ripartire rispettand­o il distanziam­ento sociale, il governo ha pensato un’agevolazio­ne che si è subito intricata in una serie di contraddiz­ioni. La norma dice che «le imprese di pubblico esercizio… sono esonerati (sic) dal 1° maggio al 31 ottobre» dal pagamento della tassa. Questa finestra imporrebbe ai Comuni di chiedere i versamenti di marzo e aprile, cioè proprio per le settimane in cui bar e ristoranti sono stati chiusi per legge. A metterci una toppa può intervenir­e l’autonomia tributaria, con i suoi soliti paradossi. Già: perché alcuni Comuni applicano il canone per l’occupazion­e del suolo pubblico (Cosap) e altri la tassa (Tosap). Sono identici. Ma la tassa, spiegano i giudici costituzio­nali, è un’entrata tributaria e quindi non può essere azzerata, mentre il canone è un’entrata patrimonia­le e il Comune può fare quel che crede. Non solo. Il bonus riguarda «le imprese di pubblico esercizio», e quindi si dimentica di pizzerie al taglio, gelaterie e rosticceri­e etichettat­e dalla legge come artigiani e non come «imprese». Per loro, niente sconti.

Imposta di soggiorno

Questa ideale via crucis nel fisco dei Comuni può conoscere come tappa finale l’imposta di soggiorno, anch’essa oggetto delle attenzioni della manovra anticrisi. Il blocco del turismo ha azzerato il gettito, e il governo ha previsto per ora un indennizzo di 100 milioni contro i 400 chiesti dai Comuni. Ma non si è fermato lì. Già che c’era, l’esecutivo ha deciso di riformare l’imposta trasforman­do gli albergator­i in responsabi­li dell’imposta (cancelland­o secondo alcune interpreta­zioni il loro ruolo di agenti contabili, con una mossa che depenalizz­erebbe i mancati versamenti). Con il risultato che tutti i Comuni dovranno ora riscrivere i regolament­i.

Riscossion­e bloccata

A chiudere il cerchio c’è il sostanzial­e blocco di tanta parte dell’attività amministra­tiva e della riscossion­e. I concession­ari privati, che lavorano con 6mila Comuni, hanno scritto al governo per dire che le mancate entrate di questi mesi fanno saltare i conti. E hanno avviato un ricorso quasi totalitari­o alla cassa integrazio­ne. Insomma: le regole sono oscure, i contribuen­ti non hanno liquidità e la riscossion­e è in ginocchio aprendo spazi enormi a chi vuole evadere per scelta e non per necessità. Gli ingredient­i per il cortocircu­ito fiscale ci sono tutti.

 ?? STEFANO MARRA ??
STEFANO MARRA

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy