La fruizione è complicata per turista e albergatore
Al via, tra varie perplessità, il « tax credit vacanze». L’articolo 176 del Dl Rilancio sdogana il preannunciato aiuto al comparto del turismo sotto forma di “credito” a favore del cliente: si tratta, in buona sostanza, dell’ennesimo credito d’imposta la cui monetizzazione, quindi, sconta alcune difficoltà fisiologiche.
Il bonus, utilizzabile da un solo componente per nucleo familiare, è ordinariamente di 500 euro ma scende a 300 euro per i nuclei composti da due persone e a 150 euro per quelli composti da una sola persona. Il presupposto è che il nucleo familiare abbia un Isee non superiore a 40 mila euro. L’uso del credito, poi, sconta condizioni piuttosto macchinose.
Per poter essere agevolate, le spese devono essere sostenute in un’unica soluzione e in relazione a servizi resi da una singola impresa (turistico ricettiva, agriturismo o bed & breakfast). Quindi sembra vietato spacchettare il credito tra diversi soggetti.
Le spese devono essere certificate da fattura elettronica, con l’indicazione del codice fiscale del soggetto che intende fruire del credito.
Per il turista
Per il turista, il tax credit è fruibile come sconto sul corrispettivo della prestazione nella misura massima dell’ 80 per cento. Il restante 20% deve essere scomputato come detrazione d’imposta nella dichiarazione dei redditi del soggetto che ha diritto al bonus. In pratica, ipotizzando che la famiglia Rossi vada in vacanza al mare e spenda per la pensione completa 1.500 euro, a fronte di un bonus disponibile di 500 euro il risultato sarà che: all’albergatore il signor Rossi corrisponderà 1.100 euro scontando i 400 euro di tax credit;
il signor Rossi recupererà i 100 euro residuali di tax credit nella propria dichiarazione dei redditi relativa al 2020.
Un bizantinismo, quello del recupero del 20% in dichiarazione, volto a dilazionare finanziariamente l’incasso del tax credit vacanze di cui si sarebbe fatto volentieri a meno.
Per l’albergatore
L’albergatore potrà decidere se usare il credito d’imposta incassato in compensazione diretta o se cederlo a sua volta per monetizzarlo. Cosa, questa, fattibile, ma che costringerà l’albergatore a lasciare sul campo una fee a favore del cessionario.
Ne deriva quindi un sistema piuttosto farraginoso e non a costo zero. Anche perché se l’albergatore incasserà molti corrispettivi sotto forma di sconto tax credit vacanze, difficilmente riuscirà a fruire direttamente del credito e quindi sarà costretto alla cessione, magari ricorrendo all’intermediazione di una Banca che inevitabilmente applicherà sull’operazione delle commissioni.
La norma chiarisce - ed è apprezzabile - che accertata la mancata integrazione dei requisiti che danno diritto al credito d’imposta, il fornitore dei servizi risponderà solo per l’eventuale utilizzo del credito d’imposta in misura eccedente lo sconto applicato sulla tariffa ricettiva applicata. Le modalità applicative dovranno essere definite da un provvedimento dell’agenzia delle Entrate.
Resta un sistema con alcune criticità, su cui sarà opportuno riflettere, prima della conversione in legge.