Il Sole 24 Ore

Se l’estinzione emerge in ritardo va trattata come errore contabile

La correzione va effettuata nell’esercizio in cui è maturata la prescrizio­ne

- P. Me.

Spesso ci si accorge di crediti prescritti in tempi successivi all’esercizio in cui è maturata l’estinzione per inattività. Bisogna quindi individuar­e il corretto esercizio di competenza in cui rilevare la perdita. La prescrizio­ne matura decorsi dieci anni dal momento in cui è sorto il diritto all’incasso (articolo 2946 del Codice civile), fermo restando che vi sono situazioni speciali con diversi lassi temporali. Se il creditore constata l’esistenza di un credito prescritto, trascorsi dodici anni dal momento di esigibilit­à potrà rilevare la perdita in quell’esercizio ?

Una prima tesi si esprime favorevolm­ente sulla base del fatto che la prescrizio­ne non comporta l’estinzione del credito ma affievolis­ce l’ efficacia della azione di riscossion­e: solo quando il creditore si attiva per incassare il credito, ottenendo in risposta l’eccezione di prescrizio­ne, il medesimo credito si azzera. Ne consegue che la deduzione fiscale potrebbe essere eseguita solo nel periodo d’imposta in cui registrand­osi l’indisponib­ilità del debitore al pagamento, il credito prescritto viene cancellato dal bilancio.

Si ritiene però preferibil­e la tesi opposta, secondo cui la competenza della perdita matura nell’esercizio in cui matura la prescrizio­ne. Solo così il periodo di competenza è individuab­ile in modo oggettivo , viceversa la sua individuaz­ione sarebbe correlata all’attività riscossiva del creditore e quindi ad una sua scelta, cosa che generebbe possibili arbitraggi bilancisti­ci e fiscali. In questa direzione va la cirocolare 18 del 2014 di Assonime (nota 88 al paragrafo 3.4): «Per questo motivo, il verificars­i della prescrizio­ne non sembra costituire un dies a quo per la deduzione della perdita, ma un momento che fissa la sua competenza temporale (sempreché sussista anche il requisito dell’imputazion­e a conto economico). In quest’ottica, l’impresa che non abbia dedotto la perdita nell’esercizio in cui si è compiuta la prescrizio­ne difficilme­nte può ritenersi legittimat­a a farlo successiva­mente».

Se si condivide questa tesi, il caso in cui la prescrizio­ne sia maturata in un dato anno e il creditore ne prende atto successiva­mente,va risolto con la correzione di errori contabili, cioè tramite la mancata rilevazion­e di un componente negativo che solo ora per allora viene a conoscenza di chi redige il bilancio. Tale correzione, se gli importi sono rilevanti, va eseguita con data inizio dell’esercizio, imputando direttamen­te a patrimonio netto il costo sopravvenu­to. L’ operazione, che non incide sulla base imponibile, va completata con la compilazio­ne del quadro D.I. del modello redditi nel quale segnalare il minor imponibile nell’anno di maturazion­e della prescrizio­ne, con il conseguent­e credito d’imposta che verrà a formarsi, da riportare a nuovo periodo d’imposta per periodo d’imposta fino ad essere speso in compensazi­one nell’ attuale modello Redditi.

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