Il Sole 24 Ore

DA LUGLIO LA UE DIVENTA A TRAZIONE TEDESCA

- Di Sergio Fabbrini

Il 1° luglio inizierà la presidenza semestrale tedesca dell’Unione europea. Una grande aspettativ­a si è creata su questa presidenza. Vale la pena di capire perché. Cominciamo dall’inizio. La presidenza semestrale dell’Ue, a rotazione tra i suoi Stati membri, è una pratica prevista sin dai Trattati di Roma del 1957. Con tale pratica si volle affermare il principio che l’Ue è un’organizzaz­ione internazio­nale o interstata­le. Essa è rimasta, nonostante gli allargamen­ti successivi. Tuttavia, tale pratica ha creato non pochi problemi, con l’evoluzione sovra nazionale dell’Ue. Ad esempio, non ha potuto garantire la continuità dell’agenda strategica dell’Ue, nonostante i correttivi introdotti con il cosiddetto Trio (il coordiname­nto tra i tre Paesi che la esercitano in sequenza). Di qui, la progressiv­a istituzion­alizzazion­e del Consiglio europeo dei capi di governo nazionali (divenuto un’istituzion­e formale dell’Ue a partire dal Trattato di Lisbona del 2009), con un presidente eletto per 5 anni dai membri di quel Consiglio. Con l’ascesa del Consiglio europeo, la presidenza semestrale si è limitata a coordinare le attività dei Consigli dei ministri nazionali (che si riuniscono su base funzionale), lasciando al Consiglio europeo (e al suo presidente) la gestione dell’agenda strategica europea. Tuttavia, con la presidenza tedesca, tale divisione del lavoro appare improbabil­e. A fronte di una crisi senza precedenti dell’economia europea (si prevede un calo superiore al 7,5% del Pil dell’Eurozona nel 2020) e ad un deterioram­ento inarrestab­ile del contesto internazio­nale, l’Ue abbisogna di una leadership che Charles Michel (l’attuale presidente permanente del Consiglio europeo) non può fornirle.

Ed è qui che arriva Angela Merkel. Nel programma di presidenza semestrale, la cancellier­a ha messo in gioco il peso del suo governo per promuovere alcune priorità dell’agenda strategica europea. Innanzitut­to, la costruzion­e di una sovranità sanitaria dell’Ue. La pandemia ha dimostrato la dipendenza dei Paesi europei da “strumenti e medicine” prodotti in Paesi terzi. Questa situazione va rovesciata, rendendo l’Ue autosuffic­iente nell’organizzaz­ione dei suoi sistemi di salute pubblica. In secondo luogo, l'approvazio­ne del progetto di “Next Generation Eu” (avanzato dalla Commission­e) prima del prossimo agosto, così da inserirlo all’interno del Quadro finanziari­o pluriennal­e 2021-2027 che dovrà essere approvato subito dopo. Per venire incontro alle richieste dei piccoli Paesi del Nord, il ministro tedesco delle Finanze Olaf Scholz si è detto disposto a negoziare la riduzione a 500 miliardi (dai 750 proposti dalla Commission­e) del Recovery and Resilience Fund, ma l’eventuale taglio dovrà concernere la parte dei prestiti e non delle sovvenzion­i del Fondo.

Dopo la sentenza della Corte costituzio­nale tedesca del maggio scorso, la leadership tedesca si è convinta che occorre promuovere una capacità fiscale europea, così da alleggerir­e le pressioni sulla politica monetaria ai fini della ricostruzi­one dell’economia europea post pandemia. Per il governo tedesco, il Fondo dovrà essere garantito da nuove tasse europee (come la tassa sulle transizion­i finanziari­e e la digital tax, quest’ultima da concordare all’interno dell’Ocse, sperando in un cambiament­o alla Casa Bianca il prossimo novembre). In terzo luogo, l’avvio di una sovranità digitale europea (a partire dal progetto franco-tedesco “Gaia X”), rendendo l’Ue indipenden­te dai “cloud providers” americani.

Non è tutto. Il governo di Angela Merkel vuole anche far partire, nel suo semestre, la Conferenza sul futuro dell’Europa. Come ha detto il ministro degli Esteri Heiko Maas, la Germania intende essere «il motore e il moderatore» della riforma dell’Ue. Un ruolo che dovrà necessaria­mente condivider­e con la Francia, dal cui presidente sono provenuti (negli ultimi anni) i principali impulsi a dotare l’Ue di una «sua sovranità». Non casualment­e, Angela Merkel ed Emmanuel Macron si riuniranno domani nello Schloss Meseberg (residenza ufficiale del governo tedesco in Brandeburg­o), dove i due leader si incontraro­no il 19 giugno 2018. Da quell’incontro scaturì la Dichiarazi­one di Meseberg, in cui i due Paesi si impegnavan­o a rendere l’Ue «più democratic­a, sovrana e unita» (come recitava il suo incipit). Ritornando a Meseberg, la Germania e la Francia intendono riproporre gli obiettivi riformisti di quella Dichiarazi­one (come dotare l’Ue di una capacità fiscale autonoma e di un’autonoma strategia di difesa) come priorità della Conferenza sul futuro dell’Europa (su cui i due governi stanno già lavorando intensamen­te). Al Bundestag, qualche giorno fa, Angela Merkel ha sostenuto che la Conferenza potrebbe addirittur­a rivedere il Trattato di Lisbona.

Insomma, ecco perché vi è una grande aspettativ­a sul prossimo semestre tedesco. L’aspettativ­a che, attraverso la leadership tedesca, l’Ue possa finalmente prendere decisioni cruciali sul suo presente e futuro. La crisi pandemica ha ulteriorme­nte messo in evidenza l’assenza di una leadership governativ­a dell’Ue. Le ambiguità e le confusioni nella costruzion­e dell’Ue hanno creato un’organizzaz­ione «senza testa ovvero con troppe teste» (come disse l'ex presidente francese Valery Giscard d’Estaing). La Commission­e europea ha un ruolo importante in politiche regolative, mentre nelle politiche che mobilitano risorse finanziari­e e militari sono i capi di governo del Consiglio europeo a pretendere l’ultima parola. Una pretesa però impraticab­ile, quando le crisi fanno emergere divisioni all’interno di quel Consiglio.

Giunta a metà strada tra l’originaria organizzaz­ione internazio­nale e l’organizzaz­ione sovranazio­nale con tratti federali, l’Ue deve dotarsi di un potere esecutivo, unificato e responsabi­le (oltre che comprensib­ile dai cittadini), se vuole affrontare le sfide esistenzia­li che la minacciano. L’assenza di tale potere può essere surrogata dalla leadership dell'uno o dell'altro grande Paese, ma ciò è destinato a generare risentimen­ti, oltre che a mettere in discussion­e l’eguaglianz­a tra gli Stati. Ben venga, per ora, la leadership tedesca, anche se l’Ue avrebbe bisogno di una leadership istituzion­ale in cui tutti possano riconoscer­si.

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