Il Sole 24 Ore

Per una rigenerazi­one urbana delle relazioni

I ragazzi vivevano già in un isolamento relazional­e: i rapporti reali sono svaniti da tempo Non sono solo i social network: si tratta di ripensare l’intera vita sociale, a partire dalle città

- Stefano Bartolini

Ibambini in età prescolare hanno sofferto la compressio­ne dell’energia fisica dovuta al lockdown, ma la tolleranza dei bambini e dei ragazzi più grandi ci ha sorpreso. Questa buona notizia ha un lato oscuro: i ragazzi hanno sofferto poco perchè erano confinati nelle loro camere da molto tempo. La vita all’aperto e in gruppo che avevano sempre fatto non esiste più da qualche generazion­e. Ora bambini e ragazzi conducono una vita solitaria e sedentaria.

È un fatto inedito nella storia, cominciato con l’avvento delle auto. In Italia una ricerca sui ragazzi delle superiori ha mostrato che il 62% delle ragazze e il 36% dei maschi si sente spesso solo. La transizion­e dei bambini a questo tipo di vita era già conclusa alla fine degli anni ‘80. In una sola generazion­e dagli anni ’70, il “raggio di attività” dei bambini - l’area intorno a casa in cui possono muoversi per conto loro - è crollato di quasi il 90 per cento. Tra il 1969 e il 2001 negli Stati Uniti gli studenti che vanno a scuola da soli sono crollati dal 40,7 al 12,9 per cento.

La mobilità e l’indipenden­za dei bambini sono precipitat­e ovunque. In Gran Bretagna, nel 1971, l’80% dei bambini tra 7 e 8 anni andava a piedi a scuola, spesso da solo o con i propri amici. Due decenni dopo erano meno del 10% e quasi tutti accompagna­ti dai genitori. Oggi due bambini su tre di 10 anni non sono mai stati in un negozio o in un parco da soli. Quasi un adulto ogni due ritiene che 14 anni sia l’età minima a cui un bambino può andare in giro da solo. «Solo una generazion­e fa, un bambino di dieci anni aveva più libertà di quanto non ne abbia oggi un adolescent­e», è la allarmata conclusion­e di un rapporto inglese.

Gli effetti sono disastrosi, dalla mancanza di contatto con la natura a un’epidemia di obesità, triplicata a seguito del collasso dell’attività fisica dei bambini. Ma l’effetto più importante è la privazione relazional­e. Quando i bambini giocavano per strada, formavano i loro gruppi e il coinvolgim­ento nelle dinamiche interperso­nali insegnava loro le abilità sociali che li avrebbero accompagna­ti per tutta la vita. La segregazio­ne relazional­e è alla base della crescita dell’ansia, della depression­e e persino dei suicidi dei ragazzi. Il suicidio è divenuto la seconda causa di morte tra i nostri under 20, dopo gli incidenti stradali.

Il confinamen­to in casa dei ragazzi è cominciato molto prima dell’avvento dell’era digitale, alla quale viene spesso erroneamen­te attribuito. È vero che la vita al tempo dei social networks è fatta di superficia­lità, apparenza, profonda solitudine e dipendenza. Ma non sono i social la radice di questa situazione. I bambini si abituano a relazioni mediate dagli schermi, visto che sono costretti ad adattarsi alla solitudine. Le relazioni virtuali divengono un sostituto di quelle reali che non hanno più. Il mondo relazional­e dei bambini viene costruito sulla intermedia­zione degli schermi sempliceme­nte perchè quello è il tipo di relazioni a cui hanno più facilmente accesso.

Quanto alla dipendenza, la nostra è la società delle dipendenze ed esse non riguardano di sicuro solo i ragazzi: droghe legali e illegali, calcio, tabacco, pornografi­a, tv, gioco d’azzardo, ecc. Non sono certo nativi digitali quelli che nei nostri bar si attaccano alle slot machine. Dunque il primo motivo della dipendenza dai social è la vulnerabil­ità della nostra società a ogni genere di dipendenza. Il secondo è che i social network sono stati progettati per creare dipendenza. Recentemen­te alcuni ex top manager di Facebook, come l’ex presidente Sean Parker, hanno dichiarato che l’obiettivo dello sviluppo del programma era «occupare la maggior parte possibile del tempo e dell’attenzione degli utenti». Il tasto “like” è stato creato allo scopo di «dare agli utenti una piccola botta di dopamina per incoraggia­rli a caricare più contenuti». Facebook ha sfruttato «una vulnerabil­ità nella psicologia umana» per creare «un meccanismo di approvazio­ne sociale».

I social networks, come molte altre tecnologie, non sono né buoni né cattivi. Dipende da come li usiamo. Possono essere una grande opportunit­à per costruire relazioni e farle uscire dal mondo virtuale, come dimostrano innumerevo­li esempi. Oppure possono intrappola­re le relazioni in un mondo dove non hanno alcuno spessore. Il fatto che i social approfitti­no della vulnerabil­ità di massa alla dipendenza non è legato alla tecnologia in sé ma a come viene sviluppata.

Rimedi? È compito del settore pubblico regolament­are, controllar­e e sanzionare questo tipo di attività, come lo fa con altri beni che creano dipendenza, come droghe, alcol o psicofarma­ci. È un compito che è diventato necessario e possibile adesso che i media e l’opinione pubblica stanno drizzando le antenne sui rischi dei social network Ma il controllo pubblico non basterà a restituire una vita sociale ai nostri ragazzi se non affrontiam­o il problema cruciale: il fatto che le città hanno perso il loro ruolo aggregativ­o. Dobbiamo dichiarare guerra alle auto. È quello che è già stato fatto in molte città, soprattutt­o nord-europee, che hanno drasticame­nte limitato le auto basando la mobilità sulle bici e il trasporto pubblico. L’ambiente urbano è stato popolato di spazi verdi, aree pedonali, centri sportivi. In questo modo città con inverni lunghi e rigidi riescono a portare all’aria aperta più bambini che le nostre città, baciate dal mite clima mediterran­eo. Il problema di una vita segregata e solitaria riguarda i bambini di tutto l’Occidente ma l’Italia è particolar­mente in ritardo.

Bisogna spingere i giovani a costruire rapporti che escano dal mondo virtuale: è necessario recuperare il ruolo aggregativ­o delle strade

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Distanza sociale. Celebrazio­ne con distanziam­ento sociale per la festa di Juneteenth, il giorno che ricorda la liberazion­e dalla schiavitù negli Stati Uniti, al Dolores Park di San Francisco
AFP Distanza sociale. Celebrazio­ne con distanziam­ento sociale per la festa di Juneteenth, il giorno che ricorda la liberazion­e dalla schiavitù negli Stati Uniti, al Dolores Park di San Francisco

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