Verso il capitalismo dell’autorealizzazione
Tra le riflessioni degli ultimi tempi sull’evoluzione del capitalismo è tornata anche la voce di Adam Ardvisson che nel suo nuovissimo Changemaker? Il futuro industrioso dell'economia digitale (Luca Sossella Editore, 14 euro) costruisce un’ipotesi sul futuro del capitalismo, a partire da un affascinante (e a tratti inquietante) parallelismo con il cambiamento storico che si è determinato a partire dalla crisi del feudalesimo e che ha aperto le porte al capitalismo industriale. Il processo di urbanizzazione a partire dall’anno 1000 fu soprattutto l’effetto della fuga di molte persone da un’economia feudale: i figli minori della nobiltà, i servi che scappavano e che nelle città erano in grado di vivere una libertà maggiore, sono coloro che cominciarono a immaginare una vita diversa, più libera e più uguale. E sono le persone che hanno alimentato la società di mercato e costruito le basi per quello che poi è diventata la modernità. Il capitalismo è l’araba fenice che nasce lentamente dalle ceneri del feudalesimo, crollato sotto una crisi economica ed ecologica segnata della peste che uccise quasi metà della popolazione europea in dieci anni.
A quanto pare anche noi stiamo andando verso una situazione del genere: una combinazione di eventi, con una profonda e lunga crisi economica che si innesta in un capitalismo che non è più in grado di rispettare le proprie promesse e una crisi ecologica di dimensioni spropositate. Tutto ciò rappresenta una vera singolarità! Insieme a tutto questo osserviamo una volontà di autorealizzazione imprenditoriale come desiderio globale, da parte di persone che fuggono da un capitalismo in declino, per dedicarsi ad attività imprenditoriali che si combinano con visioni di una società diversa e che cominciano a creare i semi di un’organizzazione sociale diversa.
Il post-capitalismo proposto da Ardvisson si basa sulla possibile evoluzione dell’economia industriosa, labor intensive and capital poor, che ha sostituito l’economia industriale. L’economia industriosa è divisa in due: da una parte i lavoratori del sapere, ricchi di idee e immaginazione che tendono a non confrontarsi con la complessità sociale e politica del mondo; dall’altra, la parte più popolare come l’economia pirata che forse è meno ideologica e meno varia, ma è molto più pragmatica ed efficiente nell’andare incontro ai bisogni delle persone. Proprio da questa combinazione tra la capacità visionaria dei knowledge worker e il pragmatismo dell’economia popolare potrebbe scaturire un’organizzazione sociale capace di tenere insieme l’efficienza e insieme la creatività che ci serve per affrontare i problemi concreti.
E il capitalismo? Per tornare ai parallelismi storici proposti da Adam, nella transizione tra feudalesimo e capitalismo gran parte delle vecchia borghesia era nata da vecchi signori feudali che a un certo punto si sono dedicati al commercio. La nostra evoluzione richiederà una risocializzazione dell’essenza stessa del capitalismo con un maggiore investimento sui desideri e sull’autorealizzazione delle persone. Proprio da questa combinazione potrebbe scaturire un’organizzazione sociale capace di tenere insieme l’efficienza e la creatività che ci serve per affrontare i problemi concreti. Saranno i pirati, gli hacker, i changemaker changemakera a offrirci la possibilità del cambiamento edificando nuove economie sulle rovine del capitalismo? Lasciamoli lavorare avvantaggiati dall’entropia di un’economia che «somiglia a un bazar globale e informale» e che, a loro insaputa, potrà consentire a sognatori, visionari e gente che si arrangia di suggerirci come riaccendere il desiderio di sperimentare nuove vie di fuga per superare il fallimento del presente.