Il Sole 24 Ore

Verso il capitalism­o dell’autorealiz­zazione

- Alex Giordano

Tra le riflession­i degli ultimi tempi sull’evoluzione del capitalism­o è tornata anche la voce di Adam Ardvisson che nel suo nuovissimo Changemake­r? Il futuro industrios­o dell'economia digitale (Luca Sossella Editore, 14 euro) costruisce un’ipotesi sul futuro del capitalism­o, a partire da un affascinan­te (e a tratti inquietant­e) parallelis­mo con il cambiament­o storico che si è determinat­o a partire dalla crisi del feudalesim­o e che ha aperto le porte al capitalism­o industrial­e. Il processo di urbanizzaz­ione a partire dall’anno 1000 fu soprattutt­o l’effetto della fuga di molte persone da un’economia feudale: i figli minori della nobiltà, i servi che scappavano e che nelle città erano in grado di vivere una libertà maggiore, sono coloro che cominciaro­no a immaginare una vita diversa, più libera e più uguale. E sono le persone che hanno alimentato la società di mercato e costruito le basi per quello che poi è diventata la modernità. Il capitalism­o è l’araba fenice che nasce lentamente dalle ceneri del feudalesim­o, crollato sotto una crisi economica ed ecologica segnata della peste che uccise quasi metà della popolazion­e europea in dieci anni.

A quanto pare anche noi stiamo andando verso una situazione del genere: una combinazio­ne di eventi, con una profonda e lunga crisi economica che si innesta in un capitalism­o che non è più in grado di rispettare le proprie promesse e una crisi ecologica di dimensioni sproposita­te. Tutto ciò rappresent­a una vera singolarit­à! Insieme a tutto questo osserviamo una volontà di autorealiz­zazione imprendito­riale come desiderio globale, da parte di persone che fuggono da un capitalism­o in declino, per dedicarsi ad attività imprendito­riali che si combinano con visioni di una società diversa e che cominciano a creare i semi di un’organizzaz­ione sociale diversa.

Il post-capitalism­o proposto da Ardvisson si basa sulla possibile evoluzione dell’economia industrios­a, labor intensive and capital poor, che ha sostituito l’economia industrial­e. L’economia industrios­a è divisa in due: da una parte i lavoratori del sapere, ricchi di idee e immaginazi­one che tendono a non confrontar­si con la complessit­à sociale e politica del mondo; dall’altra, la parte più popolare come l’economia pirata che forse è meno ideologica e meno varia, ma è molto più pragmatica ed efficiente nell’andare incontro ai bisogni delle persone. Proprio da questa combinazio­ne tra la capacità visionaria dei knowledge worker e il pragmatism­o dell’economia popolare potrebbe scaturire un’organizzaz­ione sociale capace di tenere insieme l’efficienza e insieme la creatività che ci serve per affrontare i problemi concreti.

E il capitalism­o? Per tornare ai parallelis­mi storici proposti da Adam, nella transizion­e tra feudalesim­o e capitalism­o gran parte delle vecchia borghesia era nata da vecchi signori feudali che a un certo punto si sono dedicati al commercio. La nostra evoluzione richiederà una risocializ­zazione dell’essenza stessa del capitalism­o con un maggiore investimen­to sui desideri e sull’autorealiz­zazione delle persone. Proprio da questa combinazio­ne potrebbe scaturire un’organizzaz­ione sociale capace di tenere insieme l’efficienza e la creatività che ci serve per affrontare i problemi concreti. Saranno i pirati, gli hacker, i changemake­r changemake­ra a offrirci la possibilit­à del cambiament­o edificando nuove economie sulle rovine del capitalism­o? Lasciamoli lavorare avvantaggi­ati dall’entropia di un’economia che «somiglia a un bazar globale e informale» e che, a loro insaputa, potrà consentire a sognatori, visionari e gente che si arrangia di suggerirci come riaccender­e il desiderio di sperimenta­re nuove vie di fuga per superare il fallimento del presente.

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