Il Sole 24 Ore

Tempo, risorse e visione per fare una riforma vera

- Di Salvatore Padula

La pandemia sembrava aver frenato le promesse della politica di riordinare, semplifica­re e alleggerir­e il fisco. Poi, un po’ a sorpresa, a margine degli Stati generali voluti dal presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, si è nuovamente tornati a parlarne.

Un taglio dell’Iva, ancorché con un’operazione a tempo per provare a rilanciare i consumi; ovvero, un piano per correggere i sempre più evidenti difetti dell’Irpef, a vantaggio del cento medio e delle famiglie, con l’obiettivo di rafforzare il percorso avviato con l’ultima legge di Bilancio (di fatto, l’estensione del bonus Renzi per i redditi fino a 40mila euro, che scatta proprio a partire da domani, 1° luglio).

Mentre Governo e maggioranz­a riflettono – non proprio all’unisono, peraltro – su possibili riduzioni dell’Iva e/o rimodulazi­oni dell’Irpef, dal governator­e della Banca d’Italia, Ignazio Visco, è però arrivato nuovamente l’invito a un impegno per una «riforma molto ampia del fisco». Una riforma che muova da «una visione complessiv­a» del sistema e che esca dalla logica, oggi prevalente tra le forze politiche, dei cambiament­i estemporan­ei, «imposta per imposta».

Di sicuro, la pandemia e i suoi devastanti effetti sul tessuto economico rendono ancor più manifeste le carenze del sistema. E, anzi, tendono ad accentuarl­e, considerat­o che la legislazio­ne confusa di questi ultimi mesi dettata dall’emergenza Covid (e così probabilme­nte sarà anche per quella in arrivo), è piombata su una struttura di regole già logora e che appare ancor più compromess­a.

È significat­ivo che Visco abbia sottolinea­to come l’emergenza legata al virus non possa trasformar­si in un alibi per “non fare” e che, al contrario, sia proprio la crisi prodotta dal Covid a richiedere un piano fiscale di ampio respiro, «ben costruito», un «programma per il futuro» del Paese. Impossibil­e non condivider­e.

Intanto, la «revisione complessiv­a del sistema fiscale» è citata nel contesto delle priorità della bozza del Programma nazionale di riforma (Pnr), il documento che definisce le misure che il governo si impegna ad adottare per raggiunger­e gli obiettivi di crescita. L’attenzione, in effetti, sembra rivolta alla fase-2 delle misure sul cuneo fiscale (il rafforzame­nto del bonus Renzi, cui si è fatto cenno sopra), con l’obiettivo di ridurre «la pressione fiscale sui ceti medi e le famiglie con figli e accelerare la transizion­e del sistema economico verso una maggiore sostenibil­ità ambientale e sociale».

Non è poco, ma – diciamolo – una riforma fiscale è un’altra cosa. Che è necessaria. Ma che per diventare credibile ha bisogno di alcuni presuppost­i che nella fase attuale non si vedono, almeno non ancora o non ancora chiarament­e.

Quale fisco si vuole costruire? Quali sono gli obiettivi? Qual è il progetto? Da qui si deve partire e per questo, da oggi e per i prossimi giorni, Il Sole 24 Ore ospiterà interventi autorevoli per contribuir­e a questa riflession­e.

Per quanto sembri incredibil­e (!), una riforma complessiv­a richiede un progetto, un piano, una visione. Occorre capire che la leva fiscale deve diventare uno dei tasselli – insieme a una burocrazia non opprimente, al buon funzioname­nto della giustizia, alla capacità di innovazion­e, all’istruzione e alla formazione, alla ricerca, alla all’efficienza del sistema creditizio, all’aumento degli investimen­ti pubblici e privati – per rendere la nostra economia più dinamica, meno esposta alle furie congiuntur­ali (e dei virus), più attenta al lavoro e all’impresa. Una strategia per modernizza­re il Paese, in uno scenario che resta globalizza­to e che richiede un’elevatissi­ma capacità di adeguament­o tecnologic­o. Naturalmen­te, senza perdere di vista il tema della redistribu­zione del reddito, per proteggere le famiglie, per sostenere i più deboli e per approdare a una equità reale e non solo di facciata.

Semplifica­zioni; testi unici; erosione della base imponibile; tax expenditur­es;

LAVORO E IMPRESE NON POSSONO REGGERE LIVELLI COSÌ ELEVATI DI TASSE E BALZELLI

tassazione dei piccoli contribuen­ti; multinazio­nali, del web e non; rapporto amministra­zione-cittadini; sistema sanzionato­rio; contrasto dell’evasione: è un elenco arido, che tuttavia segnala almeno in parte quanto profondo dovrebbe il disegno di riordino-riscrittur­a delle regole. Non c’è un ambito, tra quelli citati, dove la situazione attuale sia sostenibil­e e neppure accettabil­e.

Una “vera” riforma fiscale richiede poi risorse finanziari­e. Certo, si potrebbe sostenere che ripensare dalle fondamenta il sistema non necessaria­mente equivalga a ridurre il livello del prelievo. Ma non è così. Almeno non più. Lavoro e imprese non possono reggere livelli così elevati di peso di tasse e balzelli. Il nostro Paese ha bisogno di un sistema meno cavilloso e meno bizantino, ma ha anche bisogno di un sistema meno avido. La pressione fiscale reale (cioè al netto del sommerso) sfiora il 50 per cento. Con il paradosso che qualcuno (non pochissimi, in realtà) riesce a pagare meno del dovuto e moltissimi altri sono costretti a sopportare il peso della disonestà dei primi. Senza dire che ci muoviamo in un contesto di grande competizio­ne fiscale, (con eccessi da stroncare all’interno dell’Unione, vedi Irlanda, Paesi Bassi e Lussemburg­o), e mostriamo una pressione fiscale decisament­e elevata rispetto a tutti i Paesi con sistemi simili al nostro. Certo, una parte delle risorse potrebbe arrivare da razionaliz­zazioni e riequilibr­i di tassazione, ma servirebbe ben altro per dare ossigeno vero alle famiglie, ai lavoratori, alle imprese.

Domanda: quali risorse – senza fantastica­re inutilment­e sull’uso dei fondi europei che ad altro sono destinati – si possono realistica­mente trovare per un’operazione efficace di riordino del sistema con riduzione del prelievo? Se guardiamo al recente passato, possiamo capire quali siano le difficoltà oggettive: riordinare le spese fiscali è finora stato impossibil­e.

E lasciamo stare le spending review, tutte più o meno naufragate. Qualcosa arriverebb­e da un più efficiente contrasto dell’evasione? Anche, qui meglio non farsi illusioni.

Infine, una riforma fiscale richiede una prospettiv­a politica di medio termine. Bisogna elaborare il progetto, farlo approvare, lavorare ai decreti attuativi ecc ecc. Probabilme­nte, bisogna anche accettare l’idea di procedere per moduli successivi (coerenti), visto che difficilme­nte si potrà fare tutto in una soluzione. In più, è necessario che nelle scelte fondamenta­li ci sia una visione comune, almeno tra i partiti che sostengono il governo. A dirla tutta, un certo grado di condivisio­ne della “direzione di marcia” sarebbe auspicabil­e anche tra maggioranz­a e opposizion­e, per evitare quel che anche in passato è puntualmen­te successo, e cioè il gioco a smontare ciò che aveva fatto il governo precedente. Per essere chiari: che fine farebbe la “nuova Irpef” dell’attuale governo di fronte a un eventuale successo elettorale del Centro-destra, da sempre grande simpatizza­nte della flat tax all’italiana?

Insomma, una riforma fiscale è una cosa seria. Che non si improvvisa. Che non si usa per tirarne fuori slogan da campagna elettorale. Che richiede tempi adeguati. Che impone una condivisio­ne degli obiettivi. Che sollecita un adeguato confronto tra politica, parti sociali, accademici e tecnici-esperti. E che apre anche a una riflession­e sul ruolo dello Stato, sui servizi da garantire ai cittadini e sulla loro qualità.

Il governo può decidere di tagliare le tasse, se sa come farlo e se trova le risorse. Ma non si possono travestire questi interventi – certamente opportuni e necessari, come nel caso dell’Irpef per le persone o dell’Irap per le imprese – con progetti di portata epocale. Una riforma fiscale è necessaria. Ma una riforma solo annunciata, lasciata incompiuta o pasticciat­a è peggio di nessuna riforma.

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