Il rischio è la medicina difensiva
Tra gli effetti indiretti che, sul piano giuridico, il Covid-19 rischia di lasciare in eredità vi è il pericolo di potenziare le incertezze che da sempre accompagnano un settore assai problematico deila responsabilità colposa, quello legato all'attività sanitaria.
Le notizie di indagini avviate in molte zone d’Italia alla ricerca di eventuali responsabilità penali per eventi avversi legati alla pandemia mettono in luce una nuova emergenza nell’emergenza: evitare che medici e operatori sanitari, che per mesi hanno combattuto in prima linea e in condizioni talvolta estreme contro il virus, finiscano al centro di una caccia alle streghe, travolti da un’ondata di denunce e di inchieste giudiziarie miranti a trovare colpevoli, diversi dal virus, per i decessi avvenuti durante gli ultimi mesi. Il complesso scenario è alimentato da un assetto normativo del tutto inadeguato a fronteggiare la peculiarità della situazione. A ben vedere, infatti, l’articolo 590-sexies del codice penale, come “rivisitato” in senso restrittivo dalle Sezioni unite nel 2018, esclude la punibilità dell’operatore sanitario per omicidio e lesioni colposi solo in caso di imperizia (non anche dunque di imprudenza o negligenza) purché non grave, se circoscritta alla fase esecutiva del trattamento medico e unicamente nel rispetto di raccomandazioni contenute in linee guida certificate a livello nazionale e ritenute adeguate al caso concreto.
Si tratta di condizioni evidentemente inadatte a fronteggiare l’attuale situazione di emergenza, in quanto da un lato non vi sono al momento linee guida accreditate o pratiche consolidate e dall’altro le ipotesi di colpa da esentare da responsabilità non possono essere limitate ai soli casi di imperizia nella fase esecutiva, ma dovrebbero essere estese anche a episodi di negligenza o di imprudenza (si pensi al difetto di attenzione derivante dal dover lavorare per molte ore consecutive, con ritmi massacranti o con insufficiente personale specializzato). Un ulteriore profilo da considerare riguarda la mancata inclusione, tra le fattispecie richiamate nell’articolo 590-sexies, del reato di epidemia colposa (pure oggetto delle odierne contestazioni giudiziarie), che andrebbe invece tenuto in considerazione valutando il contesto nel quale i medici si sono ritrovati a operare, caratterizzato, fra l’altro, dalla mancanza di mezzi di protezione individuale o da un non adeguato isolamento dei pazienti. Non si può peraltro fare affidamento sulla capacità salvifica della giurisprudenza, notoriamente poco propensa a escludere o attenuare la responsabilità colposa attraverso la valorizzazione dei cosiddetti fattori contestuali e dell’articolo 2236 c.c., stante l’uso estremamente parsimonioso in sede applicativa della cosiddetta misura soggettiva della colpa o dell'inesigibilità.
Il rischio che si paventa all’orizzonte è che tutto ciò mortifichi lo spirito volontaristico e solidale mostrato dagli operatori sanitari nei momenti critici e il passaggio alla fase 3 si accompagni all’esplosione di una “medicina difensiva dell'emergenza”, in nome della quale gli operatori finiscano per preoccuparsi più della loro incolumità giudiziaria che della salute dei pazienti.
Si può allora immaginare un intervento legislativo ad hoc, inquadrato all'interno di un ben definito campo di applicazione funzionalmente connesso alla gestione del rischio Covid e temporalmente limitato al perdurare dell’emergenza sanitaria, improntato a quattro direttrici di fondo: a) limitare la responsabilità penale degli operatori sanitari alle sole ipotesi di colpa grave, di qualunque matrice colposa (oltre all'imperizia, dunque, anche condotte connotate da negligenza e imprudenza); b) introdurre una definizione di colpa grave, nella quale siano elencati gli indici in base ai quali operare l’accertamento, dando peso rilevante ai fattori contestuali ed emergenziali (numero di pazienti contemporaneamente coinvolti, standard organizzativi della struttura in rapporto alla gestione dello specifico rischio emergenziale, eventuale eterogeneità della prestazione rispetto alla specializzazione dell’operatore), che come è ben noto incidono sulla possibilità dei medici di poter rendere al meglio; c) valutare l’opportunità di allargare l’area di irresponsabilità colposa per gli operatori sanitari anche a fattispecie diverse da lesioni e omicidio (si pensi ad altri eventi avversi e alla possibile contestazione del delitto di epidemia colposa nei riguardi del medico costretto ad operare in assenza di adeguati presidi protettivi); d) ragionare sul peso da attribuire, in una situazione di incertezza scientifica, al rispetto di linee-guida anche se non accreditate o di buone pratiche clinico-assistenziali non ancora consolidate.
Tutto ciò andrebbe fatto in tempi brevi; le indagini appena aperte proseguiranno per anni e l'allontanarsi dal momento emergenziale porterà con sé un inevitabile mutamento della percezione sociale e giudiziaria, che indurrà a dimenticare la situazione nella quale i medici sono stati costretti a intervenire, con l'effetto che i medici finiranno sul banco degli imputati anziché sui balconi come modelli. *Università degli studi di Roma Tor Vergata