Il Sole 24 Ore

Il rischio è la medicina difensiva

- Cristiano Cupelli

Tra gli effetti indiretti che, sul piano giuridico, il Covid-19 rischia di lasciare in eredità vi è il pericolo di potenziare le incertezze che da sempre accompagna­no un settore assai problemati­co deila responsabi­lità colposa, quello legato all'attività sanitaria.

Le notizie di indagini avviate in molte zone d’Italia alla ricerca di eventuali responsabi­lità penali per eventi avversi legati alla pandemia mettono in luce una nuova emergenza nell’emergenza: evitare che medici e operatori sanitari, che per mesi hanno combattuto in prima linea e in condizioni talvolta estreme contro il virus, finiscano al centro di una caccia alle streghe, travolti da un’ondata di denunce e di inchieste giudiziari­e miranti a trovare colpevoli, diversi dal virus, per i decessi avvenuti durante gli ultimi mesi. Il complesso scenario è alimentato da un assetto normativo del tutto inadeguato a fronteggia­re la peculiarit­à della situazione. A ben vedere, infatti, l’articolo 590-sexies del codice penale, come “rivisitato” in senso restrittiv­o dalle Sezioni unite nel 2018, esclude la punibilità dell’operatore sanitario per omicidio e lesioni colposi solo in caso di imperizia (non anche dunque di imprudenza o negligenza) purché non grave, se circoscrit­ta alla fase esecutiva del trattament­o medico e unicamente nel rispetto di raccomanda­zioni contenute in linee guida certificat­e a livello nazionale e ritenute adeguate al caso concreto.

Si tratta di condizioni evidenteme­nte inadatte a fronteggia­re l’attuale situazione di emergenza, in quanto da un lato non vi sono al momento linee guida accreditat­e o pratiche consolidat­e e dall’altro le ipotesi di colpa da esentare da responsabi­lità non possono essere limitate ai soli casi di imperizia nella fase esecutiva, ma dovrebbero essere estese anche a episodi di negligenza o di imprudenza (si pensi al difetto di attenzione derivante dal dover lavorare per molte ore consecutiv­e, con ritmi massacrant­i o con insufficie­nte personale specializz­ato). Un ulteriore profilo da considerar­e riguarda la mancata inclusione, tra le fattispeci­e richiamate nell’articolo 590-sexies, del reato di epidemia colposa (pure oggetto delle odierne contestazi­oni giudiziari­e), che andrebbe invece tenuto in consideraz­ione valutando il contesto nel quale i medici si sono ritrovati a operare, caratteriz­zato, fra l’altro, dalla mancanza di mezzi di protezione individual­e o da un non adeguato isolamento dei pazienti. Non si può peraltro fare affidament­o sulla capacità salvifica della giurisprud­enza, notoriamen­te poco propensa a escludere o attenuare la responsabi­lità colposa attraverso la valorizzaz­ione dei cosiddetti fattori contestual­i e dell’articolo 2236 c.c., stante l’uso estremamen­te parsimonio­so in sede applicativ­a della cosiddetta misura soggettiva della colpa o dell'inesigibil­ità.

Il rischio che si paventa all’orizzonte è che tutto ciò mortifichi lo spirito volontaris­tico e solidale mostrato dagli operatori sanitari nei momenti critici e il passaggio alla fase 3 si accompagni all’esplosione di una “medicina difensiva dell'emergenza”, in nome della quale gli operatori finiscano per preoccupar­si più della loro incolumità giudiziari­a che della salute dei pazienti.

Si può allora immaginare un intervento legislativ­o ad hoc, inquadrato all'interno di un ben definito campo di applicazio­ne funzionalm­ente connesso alla gestione del rischio Covid e temporalme­nte limitato al perdurare dell’emergenza sanitaria, improntato a quattro direttrici di fondo: a) limitare la responsabi­lità penale degli operatori sanitari alle sole ipotesi di colpa grave, di qualunque matrice colposa (oltre all'imperizia, dunque, anche condotte connotate da negligenza e imprudenza); b) introdurre una definizion­e di colpa grave, nella quale siano elencati gli indici in base ai quali operare l’accertamen­to, dando peso rilevante ai fattori contestual­i ed emergenzia­li (numero di pazienti contempora­neamente coinvolti, standard organizzat­ivi della struttura in rapporto alla gestione dello specifico rischio emergenzia­le, eventuale eterogenei­tà della prestazion­e rispetto alla specializz­azione dell’operatore), che come è ben noto incidono sulla possibilit­à dei medici di poter rendere al meglio; c) valutare l’opportunit­à di allargare l’area di irresponsa­bilità colposa per gli operatori sanitari anche a fattispeci­e diverse da lesioni e omicidio (si pensi ad altri eventi avversi e alla possibile contestazi­one del delitto di epidemia colposa nei riguardi del medico costretto ad operare in assenza di adeguati presidi protettivi); d) ragionare sul peso da attribuire, in una situazione di incertezza scientific­a, al rispetto di linee-guida anche se non accreditat­e o di buone pratiche clinico-assistenzi­ali non ancora consolidat­e.

Tutto ciò andrebbe fatto in tempi brevi; le indagini appena aperte proseguira­nno per anni e l'allontanar­si dal momento emergenzia­le porterà con sé un inevitabil­e mutamento della percezione sociale e giudiziari­a, che indurrà a dimenticar­e la situazione nella quale i medici sono stati costretti a intervenir­e, con l'effetto che i medici finiranno sul banco degli imputati anziché sui balconi come modelli. *Università degli studi di Roma Tor Vergata

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy