SE ARRIVA IL CONTAGIO GEOPOLITICO CINESE
Durante la piovosa estate del 1816, Mary e Percy Shelley soggiornarono in una villa sul lago di Ginevra con John Polidori. Erano tutti ospiti di Lord Byron, il quale, per ingannare la noia del tempo inclemente, sfidò i suoi amici a scrivere il miglior racconto dell'orrore. Da questa cattività forzata e dalla sfida letteraria nacquero opere immortali comeFrankenstein come Frankenstein e Il vampiro. Anche le pagine di Contagio Rosso nascono da una cattività forzata, quella del Coronavirus e del lockdown, e scandagliano una materia oscura, quella di un'Italia che si fissa nello specchio ipnotico di Xi Jinping.
Metaforico struzzo, Roma pratica un pavido neutralismo di facciata. Osservato nel contesto della rovente contesa tra Pechino e Washington per la primazia globale, esso appare una sconfessione dell'alleanza atlantica, o poco ci manca.
L’ultimo rapporto della Munich Security Conference riporta sondaggi impietosi. Su 100 intervistati, in caso di conflitto tra usa e Cina, 63 dichiarano di voler optare per la “neutralità”, 10 dichiarano di “non sapere”, 20 prendono le parti degli usa e 7 – il dato più alto tra i Paesi europei – vogliono schierarsi con la Cina.
Con l’emergenza-Coronavirus, la tendenza eurasiatista dell’Italia si è vieppiù accentuata, con una spiccata preferenza verso Pechino. I sondaggi di Swg, per esempio, segnalano che gli italiani preferiscono la Cina agli usa e apprezzano la politica estera italiana di matrice grillina.
Alessandro Di Battista, il massimalista grillino, gongola per la politica estera pro-Cina di Luigi Di Maio e si dice certo che la vicinanza a Pechino potrà darci un peso maggiore all'interno dell’Unione Europea: « La Cina vincerà la terza guerra mondiale senza sparare un colpo e l’Italia può mettere sul piatto delle contrattazioni europee tale relazione » . In realtà, le cose non stanno proprio così. I sondaggi dicono che lo slittamento verso Pechino procede di pari passo con il disamoramento per le istituzioni europee e la “nemicizzazione” di Francia e Germania. Gli italiani, insomma, hanno perso la testa per il nuovo semidio cinese e, oltre a Washington, stanno rimuovendo anche Bruxelles, Parigi e Berlino dal proprio pantheon.
Si colora ancora una volta di sostanza il celebre aforisma di Winston Churchill sull’inguaribile tendenza italiana a cambiare cavallo in corsa: « Bizzarro popolo gli italiani. Un giorno quarantacinque milioni di fascisti. Il giorno successivo quarantacinque milioni tra antifascisti e partigiani. Eppure questi novanta milioni di italiani non risultano dai censimenti » .
A parziale discolpa degli italiani
LA FASCINAZIONE PER PECHINO E LE DISTANZE DA UE E USA: LE SFIDE GLOBALI DELL’ITALIA
va detto che, se in Italia la propaganda cinese attecchisce molto più che altrove, è perché i vertici politici e istituzionali italiani si prestano a ripetere la narrazione di Pechino, validandola e inserendola nel circuito mediatico senza soluzione di continuità.
A uno a uno, distesi sul lettino psichiatrico di Contagio Rosso, vengono fuori i tic dei palazzi romani alle prese con una mappa geopolitica mondiale in vorticoso riordino. Ci sono previsioni strategiche azzardate ( che vedono la Cina trionfante e la Pax Americana declinante), ma anche complessi culturali ( l’odio del sé anti- occidentale) e antiche sudditanze ( la subalternità al Vaticano, oggi filocinese e anti- Usa).
C’è anche la convinzione di poter essere una tessera fondamentale nel mosaico di Xi. Allungata com’è al centro del Mediterraneo, contenuta dalla cortina delle Alpi a Nord, costretta a osservare l’orizzonte di un Est vicino e un Ovest lontano, l’Italia si illude di poter essere cerniera tra il vettore eurasiatico e quello afro- cinese. Il collasso delle architetture di potere baathiste nella regione mesopotamica ( Iraq) e del Levante ( Siria) ha dischiuso nuovi spazi e opportunità strategiche a Pechino e ai suoi partner autoritari, come l’Iran e la Russia. Assieme a essi, Pechino punta a fare del Mediterraneo un lago eurasiatico, assumendo un controllo crescente sugli snodi- chiave del commercio, da Malacca a Suez.
Agli occhi degli strateghi angloamericani, la nostra infatuazione per Xi non può essere tollerabile.
Xi sta infatti dando corpo all’incubo più nero del pensiero geopolitico di Halford Mackinder, “l'IsolaMondo”, saldando Eurasia e Africa. Inoltre, se a Roma qualcuno si illude che l’abbraccio con Pechino sia un moltiplicatore di potenza, i fatti dicono l’esatto opposto. Nei Balcani, in Maghreb e nel Corno d’Africa – tre aree tradizionalmente prioritarie per la nostra proiezione di influenza – la Cina si rivela un implacabile rivale, che sottrae terreno prezioso a Roma. Non ci resta che riappropriarci, al più presto, del nostro posto al fianco degli Usa e contribuire a un mercato integrato, progressivamente inclusivo, tra democrazie, a partire dal nucleo G7 come base per una convergenza politica, militare, di politica monetaria e di standard industriali e giuridici comuni.
Quella di Contagio Rosso non è solo una condanna impietosa del disagio adolescenziale di Roma per le responsabilità che derivano dall’essere parte dell’Occidente.
È anche la visione convinta di una globo- pax democratica, unico vero rimedio all’assertività della Cina e del suo club autoritario.