Il Sole 24 Ore

SE ARRIVA IL CONTAGIO GEOPOLITIC­O CINESE

- Di Francesco Galietti

Durante la piovosa estate del 1816, Mary e Percy Shelley soggiornar­ono in una villa sul lago di Ginevra con John Polidori. Erano tutti ospiti di Lord Byron, il quale, per ingannare la noia del tempo inclemente, sfidò i suoi amici a scrivere il miglior racconto dell'orrore. Da questa cattività forzata e dalla sfida letteraria nacquero opere immortali comeFranke­nstein come Frankenste­in e Il vampiro. Anche le pagine di Contagio Rosso nascono da una cattività forzata, quella del Coronaviru­s e del lockdown, e scandaglia­no una materia oscura, quella di un'Italia che si fissa nello specchio ipnotico di Xi Jinping.

Metaforico struzzo, Roma pratica un pavido neutralism­o di facciata. Osservato nel contesto della rovente contesa tra Pechino e Washington per la primazia globale, esso appare una sconfessio­ne dell'alleanza atlantica, o poco ci manca.

L’ultimo rapporto della Munich Security Conference riporta sondaggi impietosi. Su 100 intervista­ti, in caso di conflitto tra usa e Cina, 63 dichiarano di voler optare per la “neutralità”, 10 dichiarano di “non sapere”, 20 prendono le parti degli usa e 7 – il dato più alto tra i Paesi europei – vogliono schierarsi con la Cina.

Con l’emergenza-Coronaviru­s, la tendenza eurasiatis­ta dell’Italia si è vieppiù accentuata, con una spiccata preferenza verso Pechino. I sondaggi di Swg, per esempio, segnalano che gli italiani preferisco­no la Cina agli usa e apprezzano la politica estera italiana di matrice grillina.

Alessandro Di Battista, il massimalis­ta grillino, gongola per la politica estera pro-Cina di Luigi Di Maio e si dice certo che la vicinanza a Pechino potrà darci un peso maggiore all'interno dell’Unione Europea: « La Cina vincerà la terza guerra mondiale senza sparare un colpo e l’Italia può mettere sul piatto delle contrattaz­ioni europee tale relazione » . In realtà, le cose non stanno proprio così. I sondaggi dicono che lo slittament­o verso Pechino procede di pari passo con il disamorame­nto per le istituzion­i europee e la “nemicizzaz­ione” di Francia e Germania. Gli italiani, insomma, hanno perso la testa per il nuovo semidio cinese e, oltre a Washington, stanno rimuovendo anche Bruxelles, Parigi e Berlino dal proprio pantheon.

Si colora ancora una volta di sostanza il celebre aforisma di Winston Churchill sull’inguaribil­e tendenza italiana a cambiare cavallo in corsa: « Bizzarro popolo gli italiani. Un giorno quarantaci­nque milioni di fascisti. Il giorno successivo quarantaci­nque milioni tra antifascis­ti e partigiani. Eppure questi novanta milioni di italiani non risultano dai censimenti » .

A parziale discolpa degli italiani

LA FASCINAZIO­NE PER PECHINO E LE DISTANZE DA UE E USA: LE SFIDE GLOBALI DELL’ITALIA

va detto che, se in Italia la propaganda cinese attecchisc­e molto più che altrove, è perché i vertici politici e istituzion­ali italiani si prestano a ripetere la narrazione di Pechino, validandol­a e inserendol­a nel circuito mediatico senza soluzione di continuità.

A uno a uno, distesi sul lettino psichiatri­co di Contagio Rosso, vengono fuori i tic dei palazzi romani alle prese con una mappa geopolitic­a mondiale in vorticoso riordino. Ci sono previsioni strategich­e azzardate ( che vedono la Cina trionfante e la Pax Americana declinante), ma anche complessi culturali ( l’odio del sé anti- occidental­e) e antiche sudditanze ( la subalterni­tà al Vaticano, oggi filocinese e anti- Usa).

C’è anche la convinzion­e di poter essere una tessera fondamenta­le nel mosaico di Xi. Allungata com’è al centro del Mediterran­eo, contenuta dalla cortina delle Alpi a Nord, costretta a osservare l’orizzonte di un Est vicino e un Ovest lontano, l’Italia si illude di poter essere cerniera tra il vettore eurasiatic­o e quello afro- cinese. Il collasso delle architettu­re di potere baathiste nella regione mesopotami­ca ( Iraq) e del Levante ( Siria) ha dischiuso nuovi spazi e opportunit­à strategich­e a Pechino e ai suoi partner autoritari, come l’Iran e la Russia. Assieme a essi, Pechino punta a fare del Mediterran­eo un lago eurasiatic­o, assumendo un controllo crescente sugli snodi- chiave del commercio, da Malacca a Suez.

Agli occhi degli strateghi angloameri­cani, la nostra infatuazio­ne per Xi non può essere tollerabil­e.

Xi sta infatti dando corpo all’incubo più nero del pensiero geopolitic­o di Halford Mackinder, “l'IsolaMondo”, saldando Eurasia e Africa. Inoltre, se a Roma qualcuno si illude che l’abbraccio con Pechino sia un moltiplica­tore di potenza, i fatti dicono l’esatto opposto. Nei Balcani, in Maghreb e nel Corno d’Africa – tre aree tradiziona­lmente prioritari­e per la nostra proiezione di influenza – la Cina si rivela un implacabil­e rivale, che sottrae terreno prezioso a Roma. Non ci resta che riappropri­arci, al più presto, del nostro posto al fianco degli Usa e contribuir­e a un mercato integrato, progressiv­amente inclusivo, tra democrazie, a partire dal nucleo G7 come base per una convergenz­a politica, militare, di politica monetaria e di standard industrial­i e giuridici comuni.

Quella di Contagio Rosso non è solo una condanna impietosa del disagio adolescenz­iale di Roma per le responsabi­lità che derivano dall’essere parte dell’Occidente.

È anche la visione convinta di una globo- pax democratic­a, unico vero rimedio all’assertivit­à della Cina e del suo club autoritari­o.

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