L’obiettivo vero dell’Olanda è mettere in crisi l’asse tra Francia e Germania
Forse è meglio uscire dal campo di calcio nel quale è finito lo scontro tra Italia e Olanda al Consiglio europeo che deve decidere sul Recovery Fund, il progetto più importante lanciato dall’Europa negli ultimi vent’anni. I tre giorni di vertice si sono avvitati attorno alla contrapposizione tra cicale e formiche, tra frugalità e inaffidabilità.
L’intransigenza di Mark Rutte è molto più di un voto di sfiducia alle credenziali riformiste dell’Italia, che colpevolmente si è presentata al Consiglio Ue senza un piano di spesa/investimenti. Il premier olandese ha preso di mira in realtà l’asse franco-tedesco, artefice di un piano di salvataggio dell’Europa che è molto di più perché apre a cambiamenti strutturali nel processo di integrazione attraverso un’emissione congiunta di debito sotto l’ombrello della Commissione; un aumento delle risorse proprie per finanziarne il rimborso come digital tax, carbon tax o tassa sulla plastica non riciclabile; e un trasferimento di risorse dai Paesi del Nord a quelli del Sud.
Il Recovery Fund, è bene ricordarlo, è frutto di un lavoro coordinato tra Francia e Germania. Siamo ancora lontani dall’idea di bilancio dell’Eurozona, una nuova capacità fiscale che avrebbe implicato l’emissione di eurobond come l’aveva immaginata Emmanuel Macron nel discorso alla Sorbona del settembre 2017. Siamo però vicini a un’idea d’Europa di responsabilità condivise, compresi alcuni rischi, e di solidarietà nei confronti dei Paesi più colpiti dalle conseguenze della pandemia nel loro tessuto economico e sociale.
Angela Merkel, in debito con Macron, ha finalmente preso in mano l’iniziativa affermando i princìpi di solidarietà e interesse comune nella salvaguardia del mercato unico e della moneta unica. E proponendo uno schema di finanziamento condiviso che non avesse bisogno di una modifica dei trattati.
L’intransigenza di Rutte e la sua volontà di avere il diritto di veto a ogni costo sui piani di spesa nazionali è rivolta soprattutto a questa idea di Europa più integrata e comunitaria, che in un caso drammaticamente eccezionale trasferisce le risorse tra Paesi. Non gli bastano, o fa finta che non gli bastino, la garanzie rafforzate di controllo della spesa che immaginiamo possa desiderare la stessa Germania, la quale dopotutto sopporterà il maggior carico di questo trasferimento.
A lui e ai suoi alleati bastano invece un mercato unico più efficiente e aperto. Un’Europa dove le alleanze a geometria variabile sono la migliore via percorribile per creare gruppi di interesse attorno a singoli dossier, a maggior ragione adesso che ha perso per strada il suo partner più affine, il Regno Unito.
L’Italia è stata presa tra due fuochi presentandosi al vertice come se partecipasse a una conferenza di Paesi donatori. L’appoggio di Francia e Germania e l’asse con la Spagna potrebbero non bastarle perché sulla sua strada ha trovato un negoziatore implacabile – l’Olanda ha una forte tradizione di cultura politica e diplomatica che noi tendiamo a sottostimare – che si è aggrappato all’unanimità e all’eccessiva generosità degli aiuti a fondo perduto per rimettere in discussione l’intero impianto del Recovery Fund. Dove le sovvenzioni non sono elemosina, ma risorse indispensabili per attenuare l’impatto devastante che la crisi Covid sta avendo e avrà sull’indebitamento di alcuni Paesi e sulla tenuta stessa dell’intero progetto europeo.