Senza anticipi deficit oltre il 13%
Già attivati 75 miliardi di disavanzo. La seconda fase può richiederne altrettanti
La battaglia su cifre, meccanismi, condizioni e controlli del Recovery Fund ha tolto subito dall’agenda del Consiglio Europeo quello che nelle settimane scorse era uno degli obiettivi dichiarati del governo italiano: ottenere un «ponte» 2020 molto più consistente di quello ipotizzato dalla Commissione Ue, per sfruttare subito risorse comunitarie in grado di alleggerire il conto di quest’anno. L’ipotesi non è mai entrata davvero nelle discussione fra i leader Ue. Così la strada dei conti pubblici per i prossimi mesi resta in salita: su un terreno fragile come certifica la battaglia sugli 8,4 miliardi di versamenti fiscali in scadenza oggi. Mentre i tagli ai grants, le sovvenzioni che nel menù di Bruxelles si accompagnano ai prestiti, complicano le prospettive di gestione di un debito destinato quest’anno ad arrivare non lontano dal 160% del Pil.
Ora il primo ostacolo, per la tenuta politica della maggioranza più che per quella numerica dei saldi di finanza pubblica, si conferma il Mes, che il premier Conte aveva fin qui derubricato come problema «prematuro» perché la decisione sarebbe stata legata al contesto più generale degli aiuti europei in arrivo. Dopo tre giorni di Consiglio europeo il contesto è chiaro. Ma non c’è solo il Mes.
Per contrastare la crisi fin qui governo e Parlamento hanno attivato deficit per 75 miliardi. Uno sforzo imponente, pari al 4,5% del Pil: ma siamo solo a metà della corsa. Perché il secondo tempo della battaglia alla recessione potrebbe costare esattamente la stessa cifra. In attesa del Recovery Fund, il deficit di quest’anno rischia di volare oltre quota 13%. Per incontrare un disavanzo del genere bisogna risalire al 1945, quando l’Italia appena uscita dalla guerra chiuse l’anno con uno squilibrio del 16%.
Oggi il rosso previsto dal programma ufficiale di finanza pubblica è del 10,4%, sulla base di un crollo del Pil dell’8 per cento. Ma è un dato che andrà aggiornato in fretta. La prima ragione è nel fatto che il governo si prepara a chiedere a breve nuovo disavanzo per un punto abbondante di Pil, fra i 18 e i 20 miliardi, per avviare la manovra d’estate (Sole 24 Ore di giovedì scorso). In questo scenario l’80% abbondante del nuovo disavanzo servirebbe a replicare e rafforzare misure già previste nei primi due provvedimenti economici anti-Covid: almeno 7 miliardi dovrebbero puntellare la cassa integrazione, accelerata dal decreto poi confluito nella conversione del “Rilancio” per coprire il buco agostano, oltre 2 miliardi sono attesi dai Comuni e altrettanti dalle Regioni (in parte sotto forma di anticipazioni da restituire nei prossimi anni), e una cifra consistente (si ipotizza intorno ai 5 miliardi ma i calcoli sono in corso) andrà messa a bilancio per allungare le rate dei pagamenti fiscali sospesi dai primi due decreti, spostando una parte dei pagamenti al prossimo anno. Per gli interventi nuovi, a partire dagli aiuti ai settori più colpiti dalla crisi come l’auto e il turismo, non resterebbe molto.
Lo scostamento, il terzo dall’arrivo del Covid, sarebbe l’occasione anche per ritoccare ancora al ribasso la stima del Pil, che si potrebbe attestare tra il -8,3% previsto dall’Istat e il -9,5% indicato da Bankitalia. Dando così un’altra spinta al deficit.
Con questi numeri, il gelo patito da Conte a Bruxelles aumenta l’urgenza di prendere una decisione sul Mes oltre che sul Sure, per sostenere spese anticrisi e ammortizzatori sociali che difficilmente potrebbero essere alimentate solo da altri titoli “sovrani” italiani. Al punto che non è escluso un cambio di agenda per attivare subito uno scostamento più grande con cui gestire anche una quota dei prestiti europei. Rispetto ai Btp, Mes e Sure offrono il vantaggio di azzerare la spesa per interessi. Ma si tratta in ogni caso di prestiti, per circa 3,4 punti di Pil, che come tali hanno bisogno di nuovi «scostamenti». La ricaduta al decimale sui saldi del 2020 dipenderà dalla tempistica dei fondi, che prevedono meccanismi rateali in parte destinati a sforare nel 2021, e dalla loro divisione fra nuove spese (maggioritarie) e il finanziamento di uscite già previste sostituendo fondi nazionali.
Il dettaglio, importante sul piano contabile, lo è un po’ meno su quello pratico. Perché nonostante il rimbalzo atteso per il Pil nemmeno il prossimo anno sarà prodigo di spazi fiscali, con un deficit già previsto al 5,7% e un debito da allontanare in fretta dalla zona del 160%. Prestiti permettendo.
Scostamento necessario per finanziare la manovra estiva ma anche per attivare i prestiti di Mes e Sure
I tagli alle sovvenzioni complicano la gestione del debito che quest’anno arriva in zona 160% del Pil