Sì al bonus per le vecchie case con camino
Anche la vecchia casa di campagna può trovare una nuova vita grazie al superbonus del 110%, sebbene non sia dotata di un moderno impianto di riscaldamento.
L’agenzia delle Entrate ha più volte puntualizzato che, per tutti gli interventi dell’ecobonus ordinario (oggi al 50 o 65%, un tempo al 55%), ad eccezione della installazione dei pannelli solari, i lavori sono agevolabili solo se eseguiti su edifici già dotati di impianto di riscaldamento, presente anche negli ambienti oggetto dell’intervento (circolare 36/E/2007, punto 2; guida «Le agevolazioni fiscali per il risparmio energetico», pagina 25).
Che cosa si intende, però, per impianto di riscaldamento? Secondo l’Enea bisogna rifarsi alla definizione di cui al punto l-tricies del comma 1 dell’articolo 2 del Dlgs 192/2005 (Faq Ecobonus 9.D). In base a questa norma, l’impianto termico è un impianto tecnologico destinato ai servizi di climatizzazione invernale o estiva degli ambienti, con o senza produzione di acqua calda sanitaria, indipendentemente dal vettore energetico utilizzato, comprendente eventuali sistemi di produzione, distribuzione e utilizzazione del calore, nonché gli organi di regolarizzazione e controllo; non sono considerati impianti termici apparecchi quali stufe, caminetti, apparecchi per il riscaldamento localizzato a energia radiante; tali apparecchi, se fissi, sono tuttavia assimilati agli impianti termici quando la somma delle potenze nominali del focolare degli apparecchi al servizio della singola unità immobiliare è maggiore o uguale a 5 kW.
Le vecchie case molto spesso non hanno veri e propri impianti di riscaldamento, ma frequentemente sono dotate di caminetti, termocamini e stufe a legna o a pellet (se più moderne). Ebbene, se questi apparecchi sono fissi e complessivamente le potenze nominali del focolare sono almeno di 5 kW, allora devono essere considerati impianto di riscaldamento e anche la vecchia casa può accedere al superbonus del 110% di cui all’articolo 119 del Dl 34/2020.
Tre aspetti bisogna però considerare. Innanzitutto, gli apparecchi devono essere fissi, quindi non concorrono al limite minimo di 5 kW stufette con le rotelle o altre dispositivi elettrici facilmente spostabili, mentre possono considerarsi fissi gli apparecchi, come i camini, collegati stabilmente a una canna fumaria.
Secondo, come ricorda l’Enea, il prerequisito per accedere alle detrazioni è sempre il conseguimento di un risparmio energetico e questo è difficile da raggiungere nella dismissione di impianti a biomassa (come la legna da ardere), in quanto questa è considerata fonte fossile solo al 30% (Faq Ecobonus 9.D e 10.D): in sostanza, l’Ape con gli impianti a biomassa dà normalmente luogo a una classe energetica più alta, ad esempio, di quella risultante con una caldaia standard. Per il 110%, però, è addirittura necessario un salto di due classi energetiche dell’edificio (articolo 119, comma 3, del Dl 34/2020) da prima a dopo gli interventi, per cui la sola installazione di un moderno impianto di riscaldamento, magari con pompa di calore, potrebbe non essere sufficiente e sarà perciò necessario mettere in conto quantomeno anche il cappotto termico.
Terzo problema, l’Ape: in presenza di camini e stufe a legna, il calcolo da parte dei tecnici potrebbe non essere così semplice, perché solo gli apparecchi più recenti sono dotati di etichetta del produttore con l’indicazione della potenza nominale del focolaio, mentre per stufe e camini di qualche decade fa sarà necessario ricorrere a calcoli standard e simulazioni.