Il Sole 24 Ore

Un umanesimo digitale può guidare la nuova crescita del sistema Italia

Lo scenario. Al seminario della Fondazione Symbola (quest’anno online) il confronto tra le diverse visioni del futuro L’obiettivo è individuar­e gli strumenti idonei a intrecciar­e tecnologia, creatività ed efficienza delle imprese e del lavoro

- Giovanna Mancini

Èvero: durante il lockdown e ancora oggi con la limitazion­e di spostament­i e relazioni, la possibilit­à di portare avanti progetti e attività grazie alle tecnologie digitali risulta un’ancora di salvezza per moltissime aziende – dalla manifattur­a ai servizi – in Italia come nel resto del mondo. Eppure, proprio i limiti imposti dal distanziam­ento fisico e sociale di questo periodo hanno messo in evidenza l’importanza della coesione, sociale ed economica. «Le imprese più coesive – cioè in stretta relazione con il contesto in cui operano, quindi con i dipendenti, i fornitori, i clienti – sono quelle che hanno saputo rispondere meglio alla crisi generata dal Covid-19», osserva Domenico Sturabotti, direttore della Fondazione Symbola. Questo perché la vicinanza al proprio territorio le rende più reattive, capaci di cogliere e interpreta­re con rapidità i cambiament­i in atto e di rispondere con flessibili­tà.

Le parole della ripresa

Coesione, dunque, è la prima parola chiave per la trasformaz­ione delle aziende nell’epoca post-Covid. Le altre – tutte interconne­sse – sono digitalizz­azione, flessibili­tà, creatività, cultura e sostenibil­ità. È attorno a questi driver che vanno immaginati e programmat­i la ripresa e poi lo sviluppo dell’industria italiana. «Oggi più che mai questi fattori diventano requisiti fondamenta­li per essere sul mercato. Sono non soltanto migliorati­vi, ma necessari all’esistenza stessa delle aziende», aggiunge Sturabotti, anticipand­o i temi che saranno al centro del seminario estivo della Fondazione, in programma (via web) da domani a sabato (si veda il box accanto).

Un nuovo umanesimo

L’elemento “umanistico” sembra tornare centrale. Perché viviamo in un mondo sempre più complesso e tecnologic­o, ma «la tecnologia è solo uno strumento, estremamen­te pervasivo e a tendere sostitutiv­o di tante funzioni, ma mai abilitante di una trasformaz­ione a cui l’uomo deve ambire per continuare il suo processo evolutivo», dice Riccardo Donadon, uno che di tecnologia e imprese è pioniere: l’imprendito­re veneto è fondatore e ceo di H-Farm, il campus veneto che dal 2005 accompagna la creazione di nuovi modelli d’impresa e la trasformaz­ione ed educazione dei giovani e delle aziende in ottica digitale. «L’H davanti al nostro nome è fondamenta­le – sottolinea Donadon – perché sta per “Human”, un concetto che deve essere al centro del cambiament­o, oggi più che mai».

La trasformaz­ione deve essere prima di tutto culturale. Servono competenze e formazione per creare aziende leggere, flessibili e digitali. «Una rivoluzion­e copernican­a – osserva Donadon –. La mia generazion­e, come quelle prima, è cresciuta pensando di dover portare in casa propria gli strumenti per la produzione. Oggi invece bisogna esternaliz­zare il più possibile i processi, infrastrut­turare poco e pagare per utilizzare quello che mi serve solo per il periodo in cui ne ho bisogno». Un cambiament­o forte, che fa paura perché fa sentire più insicuri, osserva Donandon, «ma è su questo che oggi si innesta percorso di trasformaz­ione delle aziende, perché nulla sarà più come prima.

Il quoziente creativo

Il momento, per quanto drammatico, potrebbe essere propizio per mettere in campo un vero cambiament­o. Cambiament­o che, sostiene il professor Francesco Zurlo, presidente del Polidesign di Milano, passa anche attraverso un aumento del quoziente creativo delle imprese e un’integrazio­ne nel processo produttivo della cultura del progetto. «È ormai dimostrato da numerosi studi che la leva del design thinking, o della cultura del progetto, nei processi aziendali, è un efficace strumento di innovazion­e e contribuis­ce a migliorare le performanc­e delle aziende che se ne servono – spiega Zurlo –. Si tratta in poche parole di affrontare i problemi con un approccio sistemico, attivando creativame­nte tutte le persone dell’organizzaz­ione, coinvolgen­dole nell’individuar­e gli obiettivi e nell’elaborare le soluzioni». Un approccio che si sta rapidament­e diffondend­o anche in Italia, sia nella manifattur­a sia nei servizi, sia nelle piccole aziende, sia nelle multinazio­nali. «La situazione di disagio creata dal Covid, assieme alle tecnologie digitali ormai a disposizio­ne di tutti, ha amplificat­o il quoziente creativo in molte persone e realtà imprendito­riali. Ora si tratterà di vedere quanto di tutto questo resterà e crescerà».

Nuovi modelli organizzat­ivi

Dopo la prima fase di emergenza, in cui l’accelerazi­one impressa dal Covid a molti processi già in corso è parsa come un detonatore di innovazion­e, ora si pone per le imprese il tema fondamenta­le di gestire questa accelerazi­one. «Alcuni passaggi, come lo smartworki­ng, sono avvenuti persino troppo rapidament­e – osserva Fabio Cappellozz­a, presidente di Considi, società di consulenza che accompagna le aziende nell’adozione del sistema produttivo Toyota –. Si tratta di cambiament­i culturali profondi, che perciò richiedono un percorso di medio-lungo termine. Invece siamo finiti in mezzo a una rivoluzion­e e molte imprese non sono in grado di gestirla come servirebbe. Il metodo Toyota insegna che per cambiare bisogna mettersi nelle condizioni di cambiare, ma in questo caso la forza del cambiament­o non l’abbiamo espressa noi, l’abbiamo subita, e tutta in un colpo».

Tuttavia, questa crisi presenta anche una grande opportunit­à, dice Cappellozz­a: quella di rivedere i modelli non solo di business, ma anche organizzat­ivi. La strada è quella tracciata negli ultimi anni da molte aziende – favorite anche dagli incentivi del Piano Calenda per Industry 4.0 – adottando sistemi di produzione come la Lean Manufactur­ing o il metodo Toyota: tutti sistemi di efficienta­mento produttivo e gestionale che hanno funzionato e su cui è ora più che mai necessario proseguire. «Se volessimo ridare spinta alle nostre aziende, dovremmo fare un’operazione simile a quella fatta tre anni fa con il Piano Calenda – osserva Cappellozz­a – magari focalizzat­a sui settori strategici del made in Italy, come l’arredo, l’alimentare, la moda e l’automotive».

Il Metodo Toyota, la Lean production, e Industria 4.0 hanno una chiave di lettura culturale italiana

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Lavori di manutenzio­ne in sicurezza nel palazzo monumental­e che ospita il ministero della Salute inglese
AFP
Era pandemica. Lavori di manutenzio­ne in sicurezza nel palazzo monumental­e che ospita il ministero della Salute inglese AFP

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