Il Sole 24 Ore

Rimborso accise sull’energia: cortocircu­ito da scongiurar­e

È necessaria una norma per evitare ricorsi e ripetizion­i d’indebito

- Caterina Corrado Oliva

Nel girotondo degli Stati generali, tra le diverse voci e proposte, è giunta da Confindust­ria una richiesta molto specifica, in questo senso sorprenden­te rispetto al generalism­o di tutto il resto: lo Stato restituisc­a alle imprese i soldi ingiustame­nte pagati a titolo di addizional­e provincial­e all’accisa sull’energia elettrica. Il Governo ha “glissato”, sostenendo si tratti di una questione tecnica che sarà risolta dagli uffici finanziari.

L’incompatib­ilità con norme Ue

In realtà, la richiesta di intervento, su un tema tanto specifico, non è casuale: come ben sanno gli operatori del settore, il percorso da affrontare per ottenere la restituzio­ne di quanto indebitame­nte versato non è affatto agevole. Infatti la giurisprud­enza di Cassazione, se è chiara sulla spettanza del rimborso, individua una via tortuosa per ottenerlo.

Ma facciamo un passo indietro. Con alcune sentenze del 2019 e del 2020 – si veda per tutte la sentenza 15198 del 2019 - la Corte di cassazione ha definitiva­mente stabilito l'illegittim­ità delle addizional­i all’accisa sull’energia elettrica previste dall'articolo 6, Dl 511/1988, convertito in legge 20/1989 per contrasto con il diritto comunitari­o (articolo 1, par. 2, della direttiva 2008/ 118/ Ce).

Tale incompatib­ilità, per il vero, si era già resa evidente nel 2012, quando il legislator­e aveva integralme­nte abrogato tali imposte ( articolo 4, comma 10, Dl 16/ 2012) proprio per conformars­i alla disciplina comunitari­a, senza però disporre specificam­ente alcun rimborso per coloro che le avevano già versate.

Anzi, lo Stato si è sempre opposto alle richieste di rimborso inoltrate dagli operatori del settore, prova ne è il nutrito contenzios­o tributario di cui le recenti sentenze della Suprema corte costituisc­ono l’epilogo.

L’elaborazio­ne giurisprud­enziale, tuttavia, se da un lato ha acclarato definitiva­mente l’illegittim­ità del tributo, dall’altro ha complicato il quadro, stabilendo come la legittimaz­ione al rimborso spetti unicamente ai soggetti passivi dell’imposta, vale a dire ai fornitori di energia elettrica, che erano i soggetti deputati al versamento dell’imposta allo Stato, e non invece ai clienti.

Sennonché i fornitori non subivano in proprio l’onere economico del tributo ma lo traslavano ai propri clienti cui cedevano l’energia elettrica, esercitand­o il diritto di rivalsa loro concesso dalla normativa sulle accise ( articolo 56, Dlgs 504/ 1995).

Non solo: dopo aver esercitato la rivalsa nei confronti del cliente, il fornitore neppure è legittimat­o a richiedere il rimborso posto che, proprio per l’effetto della rivalsa, egli non ha subito alcuna diminuzion­e patrimonia­le e quindi, ove gli fosse riconosciu­to il rimborso, si arricchire­bbe indebitame­nte.

Rimborso « impossibil­e » per cliente e fornitore

Si è venuta così a creare una situazione paradossal­e, in base alla quale chi ha materialme­nte subito l’esborso economico – il cliente – non ha diritto a richiedere il rimborso allo Stato perché non è il soggetto passivo, mentre il titolare del diritto al rimborso – il fornitore – non può a sua volta chiederlo (e non ha neppure interesse a farlo) dal momento che ha traslato ai propri clienti il relativo onere economico.

La ripetizion­e d’indebito

L’impasse è superabile grazie all’azione di ripetizion­e dell’indebito che certamente il cliente può promuovere verso il proprio fornitore in sede civile: a quel punto, una volta condannato al risarcimen­to verso il cliente, il fornitore potrà rivolgersi direttamen­te allo Stato per ottenere il rimborso di quanto restituito.

Tale ( contorta) soluzione comporta però ingenti costi e i tempi lunghi dei giudizi civili ordinari.

Esistono poi soluzioni giuridiche intermedie che potrebbero essere utilizzate per ridurre al minimo i costi legali e i tempi di attesa ma ciò non toglie che sia preferibil­e un intervento legislativ­o ad hoc ( quello che già era mancato nel 2012), in grado di superare più efficaceme­nte gli ostacoli e i paradossi posti dall'attuale percorso individuat­o dalla giurisprud­enza di legittimit­à. Un percorso che finisce per favorire lo Stato stesso che risultereb­be alla fine il vero soggetto “indebitame­nte” arricchito dal pagamento di imposte dichiarate illegittim­e.

Il termine decennale

Tuttavia “il tempo stringe”, non solo per l’attuale quadro economico emergenzia­le ma anche perché il diritto al rimborso del cliente si prescrive in dieci anni dal pagamento dell’imposta: ciò significa che, ad oggi, nel caso di inattività del cliente, si potranno chiedere a rimborso solo le imposte pagate a partire da luglio 2010 e sino al termine del primo trimestre 2012 ( allorquand­o, come detto, l’addizional­e è stata abrogata).

Occorre dunque evitare il “cortocircu­ito” del rimborso dell'addizional­e sull’energia elettrica e “liberare” importanti risorse economiche a favore del Paese, che per di più non sarebbero “aiuti” ma importi dovuti.

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