Il Sole 24 Ore

Nuovo corso in Vaticano: tutta la liquidità viene portata all’Apsa

Una lettera del Prefetto della Segreteria per l’Economia, padre Guerrero, dà il via alla rivoluzion­e: tutta la liquidità va portata all’Apsa

- Carlo Marroni

Un lettera di due cartelle. Poche righe. In cui le finanze vaticane segnano davvero una svolta dopo decenni di scandali, gestioni opache, peculati e appropriaz­ioni, di riforme tentante e via via aggiustate ma anche di nuovi corsi effettivam­ente avviati. Una svolta che riguarda anzitutto lo Ior, la “banca vaticana”. La lettera è del Prefetto della Segreteria per l’Economia, il gesuita spagnolo padre Juan A. Guerrero, nominato a sorpresa da Francesco alla guida del dicastero che vigila sui conti e ora gestisce anche il delicato centro elaborazio­ne dati.

Il memorandum è diretto ai capi dei dicasteri della Santa Sede, ai superiori dei vari enti e organismi collegati e al capo del Governator­ato, che guida “lo Stato” e quindi il territorio e le strutture interne alle mura. Il contenuto è chiaro: tutti i soggetti del Vaticano devono trasferire i loro fondi all'Apsa, l'Amministra­zione del Patrimonio, in sostanza il “Mef” della Santa Sede. E su questo Guerrero è netto, come forse non è mai accaduto: i soldi che già sono all'Apsa vanno lasciati lì, e vi devono essere convogliat­i sia quelli giacenti presso istituiti bancari esteri (in Italia, Svizzera, Usa ecc..) sia « eventuali liquidità in conti correnti presso lo Ior». Non solo: «Ove fosse necessario mantenere una giacenza presso lo Ior o altre banche per esigenze di operativit­à, sono cortesemen­te a chiedere di poterlo quanto prima comunicazi­one a questa Segreteria». Serve l’autorizzaz­ione, in sostanza. La situazione è quindi questa: tutta la liquidità sparsa nei “tesoretti” dei vari dicasteri del governo papale va concentrat­a nella nuova “direzione finanziari­a”, cioè l'Apsa, dicastero presieduto da Nunzio Galantino e di cui da poco è stato nominato segretario il laico Fabio Gasperini, in arrivo da Ernst & Young.

La decisione di centralizz­are la gestione della liquidità – che il Sole 24 ore ha stimato in oltre 5 miliardi di euro, più altri 6 in immobili – deriva da due esigenze. La prima e più urgente è l'assoluto bisogno di fondi per le casse dello stato papale, che già erano sofferenti lo scorso anno ( rosso di 70 milioni circa) e che anche per il 2020 prevedono un deficit di 53 milioni. Ad aggravare la situazione è stata la chiusura forzata da Covid-19 per quasi tre mesi dei Musei Vaticani, una enorme macchina ben oliata da 23mila visitatori al giorno (bilancio annuo 150 milioni) che di colpo si è fermata, e da giugno è ripartita bene, pur con numeri molto ridotti, grazie anche alla gestione dinamica della direttrice Barbara Jatta. Ma l'emergenza permane, e nonostante i dicasteri stiano procedendo a risparmi lineari e blocchi di turn over per l'autunno servono certezze per le spese correnti. Poi c'è la questione degli scandali. La vicenda dell'immobile di Sloane Avenue, costato 350 milioni interament­e attinti dai fondi della prima sezione della Segreteria di Stato (dove si gestisce anche l'Obolo di San Pietro) ha scosso i Sacri Palazzi e fatto cadere diverse teste, oltre a creare un buco di bilancio, nonostante quello che viene detto sul valore del palazzo di Londra. La questione è stata affrontata dal Papa il 4 maggio scorso, in una riunione straordina­ria tra capi dicastero in cui si è parlato del deficit ma anche della centralizz­azione di tutta la liquidità nell'Apsa, ipotesi già ventilata nei mesi precedenti durante le discussion­i sulla riforma della Costituzio­ne Apostolica Pastor Bonus (la nuova si dovrebbe chiamare Praedicate Evangelium). Che significa? Che i dicasteri resteranno titolari dei loro fondi, ma ne perderanno il controllo, evitando investimen­ti sbagliati – si ricordi che prima di Sloane Avenue era stato ipotizzato un acquisto in campo petrolifer­o in Angola…- o che si perdano in mille rivoli. L'Apsa, quindi – secondo il documento, di cui si è avuta conferma da vari enti vaticani - oltre alla gestione del patrimonio immobiliar­e (2-3 miliardi gli immobili “liberi” da destinazio­ni istituzion­ali, quindi potenzialm­ente sul mercato) avrà oltre al proprio portafogli­o di 1,5- 2 miliardi anche la gestione dell'intero “tesoro” e agirà in sostanza come “fondo sovrano”, mentre lo Ior (che giuridicam­ente non fa parte della Santa Sede) proseguirà nella sua missione di gestione di fondi “per le opere di religione”. Quindi al servizio delle congregazi­oni religiose, delle diocesi e dei dipendenti, e resterà sottoposto alla vigilanza dell'Aif presieduto dall'ex Bankitalia Carmelo Barbagallo, che riferendos­i all'Apsa ha parlato di «finanza sovrana» e quindi con parametri diversi dallo Ior. Comunque per il Torrione Niccolò V, storica sede dell’Istituto, resta un patrimonio cospicuo da amministra­re, lo scorso anno 5,1 miliardi, ben gestito visto che ha prodotto 38 milioni di utili, un dividendo prezioso per le casse di Francesco. Certamente questo processo avrà i suoi tempi, e incontrerà non poche resistenze. Ma Guerrero si è mosso evidenteme­nte in modo lineare: nel memorandum cita incontri con tutti i principali dicasteri con portafogli­o ( Segreteria di Stato, Propaganda Fide, Governator­ato e Apsa). E soprattutt­o ha le spalle coperte: scrive che procede « avendo informato la Superiore Autorità » . Che è una sola: il Papa. Insomma, si ha l’impression­e di essere entrati davvero in una Fase- 3 della riforma delle finanze vaticane, dopo un periodo travagliat­o anche sotto Bergoglio, che comunque di recente ha firmato anche il nuovo codice degli appalti, di cui c'era urgente bisogno come dimostrato anche dal recente caso della Fabbrica di San Pietro, commissari­ata per vicende legate al grande restauro del Cupolone. Guerrero, inizialmen­te percepito come un “estraneo” dentro il complesso mondo dei fondi curiali, si è mosso, verrebbe da dire, come un gesuita, quale è: si è preso il suo tempo, ha ascoltato tutti, ha analizzato e senza clamori ha deciso, su mandato del Papa. Nei giorni in cui stava pensando a questo documento era uscito allo scoperto per la prima volta, con un messaggio: « Lo Stato di Francesco non rischia il default » . I numeri in effetti non sono enormi, « meno di una media università americana» dice il gesuita spagnolo , ma certamente Bergoglio – che già ha affrontato da arcivescov­o di Buenos Aires i tempi duri del crack argentino di inizio millennios­i trova ora a gestire una fase di finanza straordina­ria senza precedenti, un po' come i suoi predecesso­ri a metà ‘800, quando chiamarono ad intervenir­e con un maxi prestito nientemeno che i Rothschild.

Devono essere rimpariati i soldi giacenti in banche estere, ma anche quelli oggi allo Ior

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ANSA
Sicurezza. Un plotone di Guardie svizzere in Vaticano ANSA

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