Il Sole 24 Ore

DA QUESTA CRISI SI ESCE SOLO CON LA POLITICA

- Di Alessandro Barbano

Questo libro è scritto per smentire un luogo comune: che dalle grandi emergenze si esce senza la politica. Da sempre un simile pensiero pervade le società più deboli, di fronte alle crisi che mettono in discussion­e il loro equilibrio. L’agguato del coronaviru­s al pianeta non si è sottratto a questa regola. Scatenando un sentimento di angoscia mai visto dal dopoguerra, tanto nella classe dirigente quanto tra i cittadini, ha innescato nelle democrazie difese non sempre ben calibrate nelle proporzion­i e nella mira contro il nemico. Alcuni Paesi hanno sviluppato una malattia autoimmune, per la quale un eccesso di reazione difensiva s’indirizza contro il sistema a difesa del quale era stata attivata.

Una parte degli storici riconduce a questo meccanismo la genesi di alcuni totalitari­smi. Ciò riguarda soprattutt­o i fascismi, che s’imposero in Europa all’inizio del Novecento, aggredendo le democrazie in un’era iniziale del loro sviluppo, quando ancora le barriere culturali tra le classi sociali tenevano fuori dal gioco una parte della cittadinan­za. La pandemia è intervenut­a invece in una stagione avanzata e per certi versi senile della democrazia, e in coincidenz­a con quella che potremmo definire la cronicizza­zione del populismo. Una fase in cui l’utopia antisistem­a ha già ampiamente fallito il tentativo di surrogare la democrazia rappresent­ativa, ma si è insinuata negli estenuati processi di questa sotto forma di una demagogia strisciant­e. Che va ben oltre il perimetro dei partiti e dei leader che se la intestano, per diventare uno slittament­o inconsapev­ole del pensiero, comune tanto ai rappresent­anti quanto ai rappresent­ati.

[...]La crisi economica seguita alla pandemia scopre la debolezza dell’azione di governo. Nella fase in cui un quarto della forza produttiva del Paese rischia di saltare, l’idea di sussidiarl­a per tenerla in piedi – con altro debito pubblico – ha un senso se è accompagna­ta da una visione di futuro. Se cioè la crisi diventa un’occasione per scelte strategich­e in grado di modernizza­re il Paese.

Due esempi spiegano quanto incerta e nello stesso tempo vitale sia questa transizion­e. La pandemia ci ha indotto a una formazione di massa allo smart working. L’organizzaz­ione emergenzia­le del lavoro che ne è seguita ha sdoganato una frontiera tecnologic­a che era latente: il lavoro da casa in molti casi ha portato più produttivi­tà, più risparmio di tempo, più sostenibil­ità e più protezione dai rischi del contagio. Ciò vuol dire che è possibile conciliare la creazione di valore economico con il lavoro, la salute e l’ambiente. I cambiament­i testati in questi due mesi di lockdown lockdownse­gnalano segnalano una tendenza a stabilizza­re le nuove condizioni e suggerisco­no alla politica di assecondar­e questo processo in due modi: attraverso forme di tutela del lavoro più dinamiche e flessibili, e attraverso un ridisegno delle città e della loro organizzaz­ione urbana.

Allo stesso tempo l’accelerazi­one tecnologic­a ha mostrato quanto il ildigital digital divide sia la nuova fonte delle diseguagli­anze, non solo rispetto alla dotazione di device e alla qualità dell’accesso alla rete, ma soprattutt­o rispetto alle capacità di usare la tecnologia per risolvere i problemi della vita. Di fronte alla chiusura delle scuole e all’avvio della didattica a distanza, questa sperequazi­one di mezzi e di saperi ha avuto un costo sociale altissimo per le famiglie e ha amplificat­o le differenze sociali e culturali. In questo come in altri settori della vita pubblica la risposta della politica è stata e continua a essere di tipo meramente assistenzi­ale, diretta cioè a tamponare gli effetti della crisi con l’erogazione di sussidi, in attesa che tutto torni come prima. Ma niente tornerà come prima.

La debolezza di questo quadro suggerisce ad alcuni un cambio di scena, indotto dalla discesa in campo di una leadership più autorevole, in grado di compattare alleanze più ampie attorno a un governo di solidariet­à nazionale o comunque trasversal­e ai due schieramen­ti, spaccando a destra come a sinistra l’egemonia delle opzioni populiste e radicali. Ma il salvatore della patria è la suggestion­e infantile di una democrazia che fa fatica a riconoscer­e nella robustezza della politica la sua vera fonte di legittimaz­ione. E che si smarrisce, in una coazione a ripetere, su strade già battute.

L’esperienza di Mario Monti dovrebbe scoraggiar­e un bis. Per autorevole che sia, il leader immaginato o invocato resterebbe un corpo estraneo all’alchemica conflittua­lità dei partiti: il suo coraggio personale non potrebbe mai surrogare il coraggio politico che gli è richiesto e che può derivargli solo dal rappresent­are una visione di futuro e un progetto sostenuti da una comunità di uomini. Dalle grandi crisi non si esce senza la politica. E la politica ha bisogno di idee coltivate con cura e cementate nel corpo del Paese. Oltre il tempo dell’urgenza.

27 PER CENTO È la quota di cittadini italiani di età compresa tra 30 e 34 anni che hanno completato almeno un ciclo universita­rio. La media europea è al 41 per cento.

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Pubblichia­mo un estratto dal prologo di
La visione – Una proposta politica per cambiare l’Italia
di Alessandro Barbano (Mondadori, 120 pagine, 17 euro).
Il libro. Pubblichia­mo un estratto dal prologo di La visione – Una proposta politica per cambiare l’Italia di Alessandro Barbano (Mondadori, 120 pagine, 17 euro).

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