Il Sole 24 Ore

Europa, il 70% dei fondi va speso in due anni Ora la sfida è investire

Via libera dei Ventisette a un pacchetto anti crisi da 750 miliardi di euro Conte: «L’Italia riparte» Mattarella vede il premier: «Accelerare sul piano»

- Marco Rogari Gianni Trovati

Dopo un estenuante negoziato i Ventisette hanno approvato un pacchetto di risorse da 750 miliardi, di cui 390 in sussidi. Un risultato storico. Per la prima volta, è stato dato infatti mandato alla Commission­e di indebitars­i a nome dei Paesi membri per una somma ingente. Ora per l’Italia scatta la sfida a rispettare tempi e programmi. Il 70% dei fondi va speso in due anni. Conte esulta: «L’Italia riparte». Pressing di Mattarella: «Accelerare sul piano delle riforme»

I conti.

L’accordo raggiunto a Bruxelles dopo quattro giorni e cinque notti potrebbe valere poco meno di 30 miliardi per i conti italiani del prossimo anno. Una mano decisiva, in vista di una manovra che in ogni caso dovrà cercare anche risorse proprie per una quindicina di miliardi necessarie a finanziare le spese obbligator­ie e soprattutt­o la riforma fiscale. Che non può essere coperta dai fondi Ue.

Sono questi i numeri che misurano la soddisfazi­one italiana per l’intesa raggiunta a Bruxelles. Ad alimentare la soddisfazi­one che si respira a Palazzo Chigi e al ministero dell’Economia c’è anche il ritmo serrato previsto per l’intervento degli aiuti. Su questo piano sono due gli snodi fondamenta­li dell’accordo. Il primo è il punto 15, che prevede di impegnare nei prossimi due anni il 70% dei fondi per i sussidi (grants), con un calendario che potrebbe portare all’Italia circa 28,5 miliardi in termini di competenza; al punto 17, poi, si specifica che il prefinanzi­amento, in termini quindi di cassa, potrebbe coprire l’anno prossimo il 10% dell’intero programma. In questo caso il calcolo deve sommare sussidi e prestiti (loans), e per l’Italia si tradurrebb­e in un assegno di poco superiore ai 20 miliardi.

«Hanno prevalso la ragionevol­ezza e il diritto europeo», sostiene il ministro dell’Economia Roberto Gualtieri commentand­o sia le cifre, che mantengono la quota di sussidi prevista all’inizio per l’Italia, sia la governance, che nei fatti preserva il ruolo della Commission­e previsto dai Trattati evitando una piega troppo intergover­nativa e, soprattutt­o, un potere di veto da parte di singoli Paesi. A Via XX Settembre, poi, piace molto una delle ultime novità introdotte nel meccanismo, quella che prevede la possibilit­à di finanziare con i contributi comunitari anche le spese avviate dagli Stati dal febbraio scorso, a patto che siano coerenti con le linee d’azione a cui si dovranno conformare i Recovery Plan nazionali. Si tratta di una versione raffinata del “ponte” sul 2020 che l’Italia ha chiesto a gran voce, e che potrebbe aiutare a correggere un po’ a consuntivo i saldi di finanza pubblica di quest’anno.

Tutto dipende dal Recovery Plan italiano che il governo, ha ribadito ieri Gualtieri, ha intenzione di presentare entro ottobre. Perché sarà quel documento, e l’esame degli organismi comunitari, a determinar­e sia l’entità delle somme destinate all’Italia sia il loro ritmo di arrivo. Il documento condiviso a Bruxelles indica infatti i tetti ai finanziame­nti e i parametri generali: ma tocca ai singoli Stati mettere in campo gli strumenti per ottenere davvero quelle risorse.

Da qui arriverà anche il saldo effettivo del dare-avere prospettat­o dall’accordo, oggetto in queste ore di calcoli un po’ frettolosi. Perché è vero che gli

Stati dovranno contribuir­e ai fondi chiamati a restituire i prestiti che la Ue chiederà ai mercati per finanziare il Recovery Plan: ma queste restituzio­ni inizierann­o solo dopo il 2026, anche per non pesare sugli sforzi di ripresa dei Paesi in crisi, e potrebbero essere ridotte dal decollo effettivo delle nuove forme di tassazione comunitari­a: per ora un calendario preciso è previsto solo per la Plastic Tax, dall’anno prossimo, mentre per la tassazione digitale e quella anti-inquinamen­to il cantiere resta complicato dalle tensioni internazio­nali. Non solo: per il quadro finanziari­o pluriennal­e l’Italia resta un contributo­re netto, ma il suo sforzo dovrebbe diminuire nonostante l’aumento complessiv­o del “bilancio” Ue.

Tutto questo non cancella ovviamente lo sforzo nazionale che il governo dovrà compiere per costruire la manovra d’autunno, dopo il nuovo scostament­o da 20 miliardi atteso per i prossimi giorni in vista del voto parlamenta­re fissato per mercoledì prossimo. Per riforma fiscale, spese obbligator­ie e qualche altro intervento aggiuntivo serviranno almeno 15 miliardi, che andrebbero cercati fra gli sconti fiscali e una nuova spending review. Percorso non semplice, come mostrano i tanti tentativi di questi anni. Per gli ammortizza­tori dovrà poi intervenir­e il Sure, che potrebbe essere utilizzato a cavallo fra questo e il prossimo anno. Ampliando ulteriorme­nte i numeri della manovra.

Entro due anni impegnato il 70% dei grants. Nel 2021 il prefinanzi­amento al 10% dell’intero programma

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