IL SALARIO MINIMO NON È UNA BACCHETTA MAGICA
La maggior parte della popolazione mondiale è tutelata da un salario minimo, tuttavia con livelli molto diversi. Se si considera il salario minimo mensile – con gli attuali tassi di cambio e con riferimento al periodo 2013-2019 – le differenze sono enormi: si va da un minimo di 1,70 dollari in Paesi molto poveri, fino a un massimo di più di 2mila dollari in Australia e Lussemburgo.
L’Italia, dal canto suo, non adotta un salario minimo e al confronto con gli altri Paesi europei sembra essere un’eccezione. Tuttavia, anche i Paesi nordici (Danimarca, Svezia e Norvegia) – considerati i più avanzati dal punto di vista della lotta alle diseguaglianze e nella generosità delle politiche sociali – non hanno un salario minimo, come l’Italia e anche la maggior parte delle nazioni africane.
C’è molta eterogeneità nel modo in cui il salario minimo è implementato nei vari Paesi europei. Inoltre, anche osservando Paesi dello stesso gruppo, si possono trovare differenze in relazione a diversi aspetti: nella determinazione del salario minimo, nel livello del salario base preso a riferimento nella contrattazione, nel livello del salario minimo in base all’età dei lavoratori, nel modo in cui il salario minimo è rivisto e aggiornato. Dunque, quando si ragiona di salario minimo è opportuno tenere presente come esso sia uno strumento complicato, che si presta a essere implementato in modi diversi, e che produce effetti diversi su diseguaglianze e livello di occupazione.
Sulla base di ciò che conosciamo, potremmo domandarci quale dovrebbe essere il livello di salario minimo in Italia? Quali potrebbero essere gli effetti dell’introduzione del salario minimo sulle diseguaglianze e sull’occupazione? Chi beneficerebbe e chi invece risentirebbe dall’introduzione del salario minimo? Quale potrebbe essere la regolamentazione migliore per l’introduzione del salario minimo?
Non vi è un consenso unanime tra gli economisti sull’impatto del salario minimo sull’occupazione e sulla disoccupazione. Valutando il punto di vista di alcuni tra i più prestigiosi economisti nell’ambito della Initiative on Global Market (Igm) della Chicago Booth School of Business, le opinioni espresse – da 41 economisti tra cui vincitori del premio Nobel – sono molto diverse.
Questo dibattito e la controversia sugli effetti del salario minimo sono davvero interessanti per la politica economica.
Gli studi empirici indicano l’esistenza di un impatto sistematicamente positivo sull’occupazione nel settore della ristorazione. L’idea è che in questo settore sia più facile scaricare l’impatto di un aumento del salario minimo sui prezzi, con un minor impatto sui posti di lavoro. Invece, si registra tipicamente un impatto negativo sull’occupazione per le imprese esportatrici, che affrontato una maggiore competizione sui mercati internazionali. Parimenti, un impatto particolarmente negativo caratterizza gli effetti del salario minimo sull’occupazione dei giovani, degli immigrati e delle donne – in particolar modo se con basso livello di istruzione – la cui produttività è solitamente inferiore rispetto ai lavoratori con maggiore esperienza di lavoro. Sappiamo, inoltre, che l’impatto è maggiore, e positivo, durante le fasi espansive, mentre è negativo nelle fasi recessive. Infine, l’impatto (positivo) del salario minimo sull’occupazione è particolarmente forte quando le imprese hanno più potere sul mercato del lavoro, ovvero quando hanno a che fare con lavoratori poco mobili o impossibilitati a trovare lavoro in altre imprese. In questi casi, il potere di monopsonio, determinato dalla presenza di un’unica impresa nel mercato del lavoro, consente all’impresa di abbassare il salario senza perdere i lavoratori.
Ma la letteratura empirica mostra anche come in certe circostanze si verifichi un aumento dell’occupazione mentre in altre una riduzione. Studi empirici mostrano risultati ambigui nel valutare l’impatto del salario minimo su disuguaglianza dei redditi e povertà. Il primo problema è che il salario minimo riduce principalmente la diseguaglianza salariale, ma non necessariamente la povertà. Infatti quest’ultima dipende anche dalla disoccupazione, dal reddito delle famiglie povere e di quelle a basso reddito. Il salario minimo incide soprattutto sui lavoratori con salario basso, che tuttavia non sono necessariamente membri di famiglie povere o a basso reddito.
Ma quali strumenti sono allora necessari per combattere povertà e diseguaglianze? Lo strumento di politica economica principalmente utilizzato dai governi è quello della tassazione e dei trasferimenti. Un’ampia letteratura economica mostra che un sistema ottimale di tassazione e di trasferimenti contempla l’introduzione di un reddito minimo garantito ( minimum income) e di trasferimenti ( in-work benefit) legati alla condizione lavorativa e alla composizione della famiglia (numero di percettori di reddito, di figli ecc.).
A questo punto occorre chiedersi se il salario minimo sia utile in presenza di un sistema di tassazione e trasferimenti che offre benefici a coloro che ne necessitano veramente. Non è possibile, tuttavia, rispondere a questa domanda senza fare dei distinguo. Se la tassazione e i trasferimenti possono essere usati per sostenere le fasce della popolazione più bisognose, questo tipo di intervento si dimostra più efficiente del salario minimo. Se invece il sostegno al reddito dei lavoratori viene utilizzato dai datori per erogare salari più bassi, allora il salario minimo diventa lo strumento più efficace. Nonostante ciò – anche in presenza di un potere di monopsonio delle imprese – la soluzione migliore rimane tassare le imprese e offrire sussidi più generosi a chi ne ha bisogno. Un’altra fattispecie si presenta quando si possiedono informazioni limitate sulla situazione di ciascuna famiglia che non permettono di indirizzare gli strumenti fiscali in modo efficiente. Inoltre, il salario minimo rimarrebbe una soluzione nel caso di bassa ottemperanza verso il sistema fiscale a causa dell’evasione o nel caso di costi amministrativi più alti per l’erogazione di sussidi e per la riscossione delle tasse rispetto a quelli legati all’implementazione del salario minimo.
In conclusione, esistono altri strumenti di politica sociale che spesso sono più efficienti del salario minimo per aiutare gli individui a basso reddito. Se si vuole introdurre il salario minimo, è importante che esso non sia implementato in modo esclusivo, ma sia coordinato con altre misure redistributive e con una regolamentazione del mercato del lavoro.
(Traduzione di Federico Franzoni)