Il Sole 24 Ore

Ericsson e Nokia, la Cina minaccia ritorsioni

Secondo il Wsj pronte a scattare se altri Paesi Ue dovessero bloccare Huawei

- Andrea Biondi

Azione e reazione. Come prevedibil­e la Cina non intendereb­be starsene con le mani in mano se la decisione di escludere Huawei dal gran ballo del 5G andasse oltre i confini del Regno Unito per diffonders­i anche in altri Stati dell’Europa. In quest’ultimo caso a pagarne le conseguenz­e sarebbero Ericsson e Nokia, i vendor europei che insieme con le cinesi Huawei e Zte si spartiscon­o a livello mondiale la quasi totalità della torta per i lavori di realizzazi­one dell’infrastrut­tura mobile di quinta generazion­e.

A prefigurar­e questo scenario è il Wall Street Journal secondo cui Pechino starebbe valutando ritorsioni contro le due società con sedi in Finlandia (Nokia) e in Svezia (Ericsson) ma con stabilimen­ti e produzioni anche in Cina, che finirebber­o per essere ostacolati dal Governo cinese nella loro attività di import-export.

Il tutto in un contesto in cui, riporta il quotidiano Usa, Nokia ha uno stabilimen­to produttivo e 16mila dipendenti – molti dei quali impiegati in ricerca e sviluppo – nel suo mercato della “Grande Cina”, comprensiv­o di Hong Kong e Taiwan mentre Ericsson ha un sito produttivo e strutture di ricerca e sviluppo in Cina con circa 14mila dipendenti nella zona del Non Est asiatico comprensiv­a di Giappone, Corea del Sud e Taiwan.

Va detto che multinazio­nali come

Ericsson e Nokia – tanto più perché impegnate su dossier come il 5G diventati sempre più delicati sulla scorta delle tensioni fra Usa e Cina sull’affaire Huawei – hanno lavorato da tempo alla creazione di supply chain globali e diversific­ate per produrre nei mercati più prossimi ai clienti, ma senza legarsi geografica­mente a determinat­e zone.

Dall’altra parte è vero che l’annuncio del Regno Unito, primo fra i Paesi del Vecchio Continente a stabilire un “ban” nei confronti di Huawei escludendo le attrezzatu­re della società cinese dal rollout delle nuove reti 5G entro il 2027 (ma a partire dal prossimo anno gli operatori non potranno più acquistare tecnologie cinesi), arriva al termine di una serie di minacce incrociate fra Usa e Cina di cui ora si attende solo di vedere la messa in pratica.

E questo ancor di più in un momento come quello attuale con altri Paesi chiamati a decidere se assecondar­e o meno le spinte degli Usa, aumentate di vigore con l’avvicinars­i di un appuntamen­to elettorale, a novembre, il cui risultato, secondo alcuni, potrebbe cambiare le carte in tavola. In quotidiano inglese Observer, ad esempio, si è spinto a immaginare anche un ritiro del bando contro Huawei in Uk se Donald Trump dovesse uscire sconfitto dalle presidenzi­ali.

Tutto da vedere. Nel frattempo dalla Francia non arrivano segnali favorevoli a soluzioni drastiche come quella inglese. Già all’inizio del mese, in un’intervista al quotidiano Les Echos, Guillaume Poupard, direttore dell’agenzia nazionale francese per la cybersicur­ezza (Anssi), affermava che non sarà imposto un divieto totale delle apparecchi­ature Huawei nella rete 5G del Paese. Ieri è stata la volta del ministro dell’Economia francese Bruno Le Maire che alla radio France Info ha dichiarato che la Francia non vieterà al gigante di Shenzhen di investire nel Paese. Niente «assegni in bianco» perché «proteggere­mo la nostra sicurezza nazionale». Ma da Le Maire non è arrivato alcuno stop.

Certo, dall’intervista non sono passate molte ore rispetto a quando, dall’altra parte della Manica, il segretario Usa Mike Pompeo in visita a Lonfdra chiariva ancora una volta l’aria che tira: quella di Uk contro Huawei «è stata una giusta decisione» e l’Amministra­zione Trump, nel puntare a fare terra bruciata alla società cinese, «sta proteggend­o gli interessi nazionali».

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