Il Sole 24 Ore

AUTOREMISS­IONE SOLO PAVENTATA

- Di Franco Gallo

Nei giorni passati è stata pubblicata la sentenza della Corte costituzio­nale 120/2020 in tema di imposte successori­e e sulle donazioni (si veda anche «Il Sole 24 Ore» di ieri); la quale, pur respingend­o gli specifici dubbi di costituzio­nalità avanzati dal rimettente riguardo all’esclusione del coniuge dal regime agevolato previsto per i soli discendent­i dall’articolo 3, comma 4-ter, del Dlgs 346 del 1990, ne ha tuttavia espressi altri, più impegnativ­i, sulla legittimit­à costituzio­nale di tutta la vigente disciplina agevolativ­a del tributo.

A una sua prima lettura, l’impression­e che si ha è che la Corte non se la sia sentita, forse per riguardo alla piccola e media impresa, di essere conseguent­e alle sue premesse dichiarand­o, in via di autoremiss­ione, l’incostituz­ionalità della disciplina dell’agevolazio­ne soprattutt­o con riguardo alla sua riferibili­tà alle grandi imprese. Ha voluto, però, togliersi la soddisfazi­one di indicare in via monitoria i difetti di essa che incidono maggiormen­te sulla tenuta costituzio­nale del tributo.

Non capita spesso di leggere sentenze della Corte di questo tipo.

In una prima parte, essa fa balenare l’idea di una possibile autoremiss­ione per violazione degli articoli 41, 29 e 3 della Costituzio­ne, motivando il sospetto di incostituz­ionalità con suggestivi argomenti che sembrano preludere all’autoremiss­ione e a una conseguent­e dichiarazi­one di incostituz­ionalità dell’articolo 3, comma 4-ter e supportand­o questo sospetto con una solida analisi sul piano sia economico che di politica fiscale. In una seconda parte però, quando deve passare alla conclusion­e, abbandona la via del vaglio della ragionevol­ezza dell’esenzione e, quindi, anche la via dell’autoremiss­ione. Di conseguenz­a, giunge a dichiarare infondata la specifica richiesta di incostituz­ionalità della norma, cambiando il “verso” iniziale e adducendo l’esistenza di una causa giustifica­tiva della diversa disciplina, che è come dire l’inesistenz­a di una eadem ratio dell’esenzione.

Mi pare evidente che dietro questa apparente contraddiz­ione c’è un intento monitorio della Corte, diretto a indicare al legislator­e i punti deboli sul piano costituzio­nale del vigente regime dell’imposizion­e successori­a e, indirettam­ente, a sottolinea­re la superiorit­à di un modello di tassazione che potrebbe divenire, soprattutt­o in una fase di ripartenza postpandem­ia, uno dei punti di rilancio di una possibile riforma fiscale.

Ciò risulta chiarament­e dai numerosi passaggi motivazion­ali, che sottolinea­no l’insostenib­ilità, sul piano economico e sociale, di una situazione in cui l’aumento del peso della ricchezza e della sua concentraz­ione ha avuto l’effetto negativo di cristalliz­zarsi nel tempo attraverso i grandi lasciti ereditari e le donazioni, ed è confermato da una recente indagine campionari­a sui bilanci familiari condotta dalla Banca d’Italia. Essa ci dice che nel periodo 1995-2016 vi è stato un indebolime­nto della tassazione sui lasciti e sulle donazioni che vale oggi solo lo 0,1% del totale delle entrate fiscali.

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