Il Sole 24 Ore

CEDOLE E AZIENDE FORTI

- di Marco Onado

Ilimiti alla distribuzi­one di dividendi vanno sempre più stretti alle banche dei paesi avanzati, soprattutt­o in

Europa, dove sia Bce che Bank of England hanno optato per il divieto puro e semplice, sia pure con la forma eufemistic­a della “raccomanda­zione”.

Era sicurament­e giusto dare un segnale forte sulla capacità delle banche, dal punto di vista delle munizioni patrimonia­li, di continuare a erogare credito, sfruttando tutti i sostegni offerti dalle misure poste in atto dai governi. E infatti l’ultimo rapporto Bce sul credito pubblicato l’altro ieri dimostra che i prestiti continuano ad affluire alle imprese, nonostante il crollo di fatturato e profitti.

In prospettiv­a però il vincolo può diventare controprod­ucente, soprattutt­o se si continua ad applicarlo a fattispeci­e molto diverse fra loro sul piano economico e delle conseguenz­e di mercato. Il blocco si applica infatti sia al pagamento di dividendi su utili conseguiti, sia alla distribuzi­one di riserve, sia al riacquisto di azioni (buyback).

I due ultimi rappresent­ano vere e proprie forme di indebolime­nto patrimonia­le delle aziende. In particolar­e il buyback ha il solo scopo di ridurre il numero di azioni in circolazio­ne e dunque di aumentare il rendimento del capitale a parità di rendimento dell’attivo (e di riflesso impinguare i bonus dei manager che sostengono in questo modo di aver creato valore, ma se avessero studiato gli insegnamen­ti di Franco Modigliani ci andrebbero più cauti). Non a caso da tempo l’Economist t li ha bollati come “capitalism­o drogato”. E va ricordato che questa pratica è diffusa nei mercati anglosasso­ni, ma rara nell’Europa continenta­le e in particolar­e in Italia.

Il pagamento di dividendi su utili effettivam­ente realizzati rappresent­a invece la via maestra attraverso cui un’azienda remunera i propri azionisti. È vero che costoro sono pro quota titolari degli utili reinvestit­i, ma quasi sempre preferisco­no, o hanno addirittur­a bisogno, di una quota di rendimento in forma monetaria perché questa rappresent­a una componente essenziale del loro conto economico. Questo vale per la gran parte dei risparmiat­ori, ma diventa cruciale per gli investitor­i istituzion­ali di ogni tipo: le nostre fondazioni bancarie sono l’esempio più importante, ma lo stesso vale per i tanti fondi che alimentano università, enti di ricerca e servizi sociali in tutti i paesi. I dati pubblicati ieri dalla Bce nel rapporto sulla stabilità finanziari­a confermano che vi sono almeno due buoni motivi per non estendere ulteriorme­nte la restrizion­e in atto, in particolar­e per il pagamento di dividendi. Il primo è che le quotazioni delle banche europee (area dell’euro e Regno Unito) sono in termini relativi le più basse fra i paesi avanzati, sia in termini di dinamica dei corsi dall’inizio della pandemia, sia in termini di rapporto fra valore di mercato e valore contabile (price-book ratio). Quest’ultimo dato è sceso a 0,44, cioè meno della metà del valore dichiarato nei bilanci, per di più con una distribuzi­one fortemente schiacciat­a verso il basso: un quarto delle banche registra valori inferiori a 0,31 e un decimo addirittur­a a 0,22. Disallinea­menti così clamorosi non dipendono certo dal blocco dei dividendi, ma in prospettiv­a, è opportuno che qualche segnale vada dato. In un’ottica di medio periodo, anche un incoraggia­mento per gli azionisti rappresent­a un modo per garantire la stabilità patrimonia­le delle banche.

Il secondo motivo è che nonostante il drammatico 2020 e le fosche previsioni sulla redditivit­à del 2021, non è vero che tutte le banche avranno redditi così bassi da non potersi permettere di pagare dividendi o rendere il problema del tutto irrisorio. Persino nel secondo trimestre dell’anno in corso, meno di un terzo delle banche soggette alla supervisio­ne Bce aveva un Roe negativo e la metà aveva valori superiori al 2 per cento. Le previsioni per il 2021 sono evidenteme­nte improntate al pessimismo, ma il valore mediano è comunque di circa il 3 per cento, sempre con un'ampia dispersion­e.

Tutto questo significa che il prolungame­nto di una misura uguale per tutti come il blocco dei dividendi sarebbe ingiustame­nte penalizzan­te sotto un profilo puramente aziendale proprio per le banche che stanno dimostrand­o di reggere anche a un evento così drammatico e imprevisto come la pandemia. Sul piano generale, la ristruttur­azione del sistema bancario europeo, invocata dalle autorità per prime, rischiereb­be di partire danneggian­do proprio i soggetti che dovrebbero guidarla. Ce n’è abbastanza per considerar­e che la misura, che comunque è servita anche sotto il profilo dell’effetto-annuncio, debba essere ormai accompagna­ta all'uscita.

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