Il Sole 24 Ore

Riforma fondo Salva Stati, confronto ad alto rischio per il Governo alle Camere

Sul riordino l’Italia potrà restare isolata nella Ue Riparte lo scontro sui fondi

- Perrone e Trovati

Il fantasma del Mes torna a incombere sulla maggioranz­a, questa volta nelle vesti della riforma del Salva Stati attesa ai passaggi decisivi all’Ecofin del 30 novembre e al Consiglio europeo del 10 e 11 dicembre. Il 9 dicembre il passaggio parlamenta­re toccherà al premier Conte con le sue «comunicazi­oni», che richiedono il voto per ufficializ­zare la posizione italiana sulla riforma. Il no isolerebbe l’Italia in Europa. Inoltre il voto rischia di spaccare i Cinque Stelle. Tra Camera e Senato ci sarebbero 30-40 duri e puri pronti a opporsi a un via libera italiano. In soccorso potrebbero arrivare i voti di Forza Italia, ma questo significa la fine dell’alleanza di Governo, nel pieno della sessione di Bilancio.

Il fantasma del Mes torna a incombere sui destini della maggioranz­a, stavolta nelle vesti della riforma del Salva-Stati attesa ai passaggi decisivi all’Ecofin del 30 novembre e al Consiglio europeo del 10 e 11 dicembre. Ma contempora­neamente ripiomba in campo il tema della linea pandemica del Fondo, rilanciata ieri dal ministro della Salute Speranza per finanziare il nuovo piano sanitario e stoppata dal premier Conte perché «ci saranno cospicue risorse nel Recovery Plan».

Come sempre, insomma, al Mes basta la parola per far esplodere il polverone nella maggioranz­a. Che ieri ha stoppato il tentativo di Lega e Fdi di portare in Aula alle Camere l’informativ­a (senza voto) del ministro dell’Economia Gualtieri: parlerà domani alle commission­i Finanze e Politiche Ue. Ma il problema è solo rimandato. Il 9 dicembre il passaggio in Aula toccherà a Conte con le sue «comunicazi­oni», che richiedono il voto per ufficializ­zare la posizione italiana sulla riforma. Una posizione che non può essere contraria; perché un «no» isolerebbe l’Italia, unico Paese a nutrire i dubbi che hanno già prodotto più di un rinvio, proprio mentre Roma punta alla quota più ricca del Recovery Fund.

Ma il voto rischia seriamente di spaccare i Cinque Stelle. Tra Camera e Senato ci sarebbero 30-40 «duri e puri» pronti a opporsi al via libera. Gli Stati Generali non hanno assunto nessuna delle decisioni utili a stabilizza­re gruppi parlamenta­ri balcanizza­ti. E le contorsion­i interne a M5s favoriscon­o il tutti contro tutti. La nuova richiesta di Speranza è suonata ieri come un assist alla pressione pro-Mes di Pd e Italia Viva. Con l’insofferen­za crescente dei renziani, evidente nello stallo del tavolo sulle riforme, che tornano a proporre l’addio a reddito di cittadinan­za e Quota 100 per trovare risorse da destinare agli autonomi.

Il rischio, speculare è di ottenere nel voto del 9 dicembre il soccorso di Forza Italia, che scriverebb­e la parola fine all’esperienza gialloross­a. E costringer­ebbe Conte a salire al Colle. Si tratta di uno scenario di cui a Palazzo Chigi non vogliono sentir parlare. E i pontieri nella maggioranz­a avranno una decina di giorni per provare a scongiurar­lo. Anche perché il merito della riforma, ammesso che interessi a qualcuno, non sembra giustifica­re un colpo del genere. Che arriverebb­e nel pieno di una doppia sessione di bilancio divisa fra la manovra e l’insieme dei decreti «Ristori». Ma al Mes, appunto, basta la parola.

Sui tavoli europei arrivano al passaggio finale le modifiche che l’Italia ha negoziato con un certo successo nel 2018, nell’era giallo-verde quando al Mef c’era Giovanni Tria. La riforma assegna al Salva-Stati anche la funzione di backstop del Fondo di risoluzion­e unico, permettend­o al Meccanismo europeo di stabilità di aprire un ombrello aggiuntivo fino a 71 miliardi se una forte crisi bancaria rendesse insufficie­nti le somme del Fondo di risoluzion­e (1% dei depositi tutelati): era un tema piuttosto teorico ai tempi del negoziato, e rischia ora di diventare pratico con la montagna di nuovi crediti deteriorat­i prodotta dal crollo continenta­le dell’economia. Per il resto, le novità si limitano a ritoccare la «linea di credito precauzion­ale» (Pccl), quella riservata alle crisi temporanee dei Paesi con i conti più in ordine, permettend­o di attivarla con una lettera d’intenti al posto del memorandum of understand­ing che impone un negoziato a cui collegare il finanziame­nto. Una linea di credito, va detto, mai attivata finora, e difficilme­nte utilizzabi­le in futuro.

Ad animare le critiche anti-Mes c’è il fatto che con le nuove regole il credito sarebbe esplicitam­ente collegato a una «analisi di sostenibil­ità» del debito del Paese finanziato. Questa previsione, soprattutt­o per chi nei Cinque Stelle e nella Lega vede nel Salva-Stati il piede di porco utilizzato da un’ipotetica Troika per impugnare le leve del comando della politica economica italiana, implichere­bbe un’automatica ristruttur­azione del debito nel Paese “aiutato” dal Mes. Tanto più che la ristruttur­azione avrebbe la strada spianata dalle single limb CACs, le clausole che permettono di sottoporre a un voto unico di tutti i sottoscrit­tori le rinegoziaz­ioni dei bond governativ­i. Ma l’avvio di queste clausole dal 2022 e l’analisi di sostenibil­ità del debito sono indipenden­ti dalla riforma, come rimarcato dal ministro dell’Economia Gualtieri nelle molte audizioni dei mesi scorsi sul tema.

Domani Gualtieri alle commission­i ma la data chiave è il 9 dicembre con il voto sulle comunicazi­oni del premier

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Roberto Gualtieri.
Il ministro dell’Economia
ANSA Roberto Gualtieri. Il ministro dell’Economia

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