Il Sole 24 Ore

Maradona, talento innato con la mano de Dios

- Bellinazzo, Da Rin e Salis—

Diego Armando Maradona è morto ieri nella sua casa di Tigres, a Buenos Aires, lontano dal quartiere di Villa Fiorito dov’era nato il 30 ottobre del 1960. Stava affrontand­o la convalesce­nza dopo l’intervento chirurgico alla testa di qualche settimana fa. Un arresto cardiocirc­olatorio non gli ha dato scampo.

Diego Armando Maradona è morto ieri nella sua casa di Tigres, nella periferia di Buenos Aires, lontano, troppo lontano, daVilla Fiorito, il quartiere malfamato dov’era nato il 30 ottobre del 1960. Maradona affrontava la convalesce­nza dopo il delicato intervento chirurgico alla testa di qualche settimana fa. Un arresto cardiocirc­olatorio però non gli ha dato scampo.

La notizia filtrata sui media argentini è rimbalzata istantanea­mente sui siti e le television­i di tutto il mondo, scatenando prima incredulit­à e poi un cordoglio senza confini. Perché Diego Armando Maradona non è stato solo il più grande calciatore di ogni epoca, ma con la sua vita sempre fuori dai binari dell’ordinariet­à, i suoi alti e bassi, le sue dipendenze, i malanni che lo avevano messo in pericolo di vita più di una volta, demolendon­e a poco a poco il fisico e la psiche, è diventato un’icona planetaria. El Diez, la Mano de Dios, il Pibe de Oro, quei soprannomi che ne hanno elevato la mitologia, sfociando talvolta in una sorta di venerazion­e, sono diventati essi stessi dei marchi globali, i brand di un leader sempre controcorr­ente, mai banale, che ha denunciato prima di tutti la corruzione che annidava nella Fifa, che si è schierato con i poveri e derelitti del pianeta, perché al popolo dei senza diritti e dei senza voce ha sentito di appartener­e fino all’ultimo, e quelli di un uomo che per questo non ha mai accettato compromess­i e ha pagato a caro prezzo le conseguenz­e dei suoi sbagli.

Un uomo che ha amato e si è fatto amare da due popoli, affini e pure così diversi. Perché Diego Armando Maradona non è stato solo il calciatore che con le sue straordina­rie prodezze ha regalato all’Argentina la Coppa del Mondo del 1986 e l’anno seguente a Napoli il primo scudetto della sua sessantenn­ale storia. Maradona, propiziand­o quelle incredibil­i vittorie, ha riscattato nel contempo il disonore di un’intera nazione umiliata e ferita dal Regno Unito nella guerra delle Falkland-Malvinas, e le vergogne di una città martoriata da colera, terremoto e decenni di pessime amministra­zioni. Ecco, se non si capisce questa dimensione politica, quasi rivoluzion­aria di Maradona, non si può comprender­e la spirituali­tà del calcio e quella di uno dei suoi massimi profeti. Né il perché i suoi innumerevo­li tifosi, che lo hanno apprezzato codi me fuoriclass­e e come compagno di viaggio, ne hanno tollerato i difetti e perdonato le colpe.

Il corpo di Maradona si è trasformat­o in mille corpi, tanti che le più variegate bibliograf­ie e cinematogr­afie faranno fatica a catturare. Ci sono stati tanti, troppi Maradona dentro quel corpo tatuato con il volto di Fidel Castro e quello di Ernesto “Che” “Che” Guevara. C’è stato il corpo di quel ragazzino di sette, otto anni, mezzo indio e già mezzo scugnizzo partenopeo, che inchiodand­o gli occhi in una telecamera confessava di avere due sogni: « Il primo è giocare un Mondiale, il secondo è vincerlo». Il corpo funambolic­o che orchestrav­a e dipingeva sprazzi di azioni calcistich­e impensabil­i ai più sui prati spelacchia­ti d’Argentina, e poi nei campi d’erba vera, da Barcellona a Napoli, crescendo, e dimostrand­osi via via più refrattari­o alle regole della gravità e a quelle del buoncostum­e. Il corpo che librava come un colibrì, che accelerava e cascava, quasi senza gemere, neppure quando in Spagna gli fratturaro­no una gamba per bloccarlo. Il corpo riccioluto di un giovane Masaniello che palleggiav­a in un San Paolo gremito (lo stadio di Napoli, palcosceni­co delle sue gesta, che molti adesso vorrebbero gli fosse intitolato), acquistato da una squadra squattrina­ta con l’intervento di politici e generosiss­ime banche pubbliche, per compiere qualcosa che assomiglia­va al miracolo. Un corpo, circondato spesso da persone sbagliate, approfitta­tori intenti a esibirlo o a spremerlo, un corpo paterno, dedito alle frenesia, avvelenato da droghe e alcool, bandito, fuggitivo, sempre più gonfio, incontroll­abile, claudicant­e, fragile. Il corpo che ieri ha ceduto improvvisa­mente dopo sessant’anni di palleggi e dribbling alle leggi della natura. Quelle che nemmeno un genio del calcio e un ribelle possono permetters­i il lusso di sfidare troppo a lungo.

IL PIBE DE ORO HA SEMPRE SENTITO DI APPARTENER­E AL POPOLO DEI SENZA VOCE

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Grazie Diego. Con lui il Napoli ha vinto 2 scudetti
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Le tre dimensioni del campione.
Diego Armando Maradona non è stato solo un campione ( foto sopra), ma anche un simbolo di Napoli ( a sinistra) e, a suo modo e in senso lato, figura politica ( a destra, con Fidel Castro) .
ANSA Le tre dimensioni del campione. Diego Armando Maradona non è stato solo un campione ( foto sopra), ma anche un simbolo di Napoli ( a sinistra) e, a suo modo e in senso lato, figura politica ( a destra, con Fidel Castro) .

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