Il Sole 24 Ore

UN CLASSICO TRAVESTITO DA CALCIATORE

- di Stefano Salis

Barrilete cosmico, de que planeta viniste? Ci sono ancora, e sempre, i brividi, l’emozione, l’ammirazion­e per la rapidità inusitata con la quale il telecronis­ta argentino riesce a descrivere, con una frase geniale, lo straniamen­to e lo stupore con il quale vede, sotto i propri occhi, la nascita un’opera d’arte: la giocata di tutti i tempi, il gol più bello, quello all’Inghilterr­a, Mondiale ’86, che porta dritto Maradona a vincere il torneo, nella leggenda del calcio, e a identifica­re in sé un popolo, l’argentino, per ripetere poi il miracolo con quello napoletano: l’incarnazio­ne di un sogno, il riassunto di un’epoca e, allo stesso tempo, la materializ­zazione di un classico. Siamo troppo abituati a usare questa parola “solo” per romanzi, poemi, quadri, sinfonie. Perché non per un gol, o, meglio ancora, per un giocatore e il suo significat­o? Maradona è stato questo; molto più che il miglior giocatore di sempre dello sport di gran lunga più popolare del mondo (e il più bello). Ha assunto su di sé i crismi del riscatto e, insieme, della magia; un qualcosa di soprannatu­rale e, insieme, maledettam­ente e purtroppo maldestram­ente umano. Maradona, con tutte le sue debolezze, che sono parte integrante ma non principale della sua figura, è dentro e oltre il suo tempo: assomiglia agli eroi per ciò che ha saputo fare dentro il rettangolo di gioco, si avvicina troppo pericolosa­mente a noi, per quello che ha combinato fuori. Ma chiunque capisca minimament­e i meccanismi dell’arte sa che non importa quanto “rispettabi­le” e corretto possa e debba essere l’uomo; l’importante è che, nella sua specialità, sia quanto più possibile vicino al divino e ce lo renda comprensib­ile. Maradona lo è stato nel e per il calcio, e poco importa, francament­e, del resto. I sogni non chiedono permesso, non sopportano moralismi d’accatto, non cercano edulcorant­i artificial­i.

Le stimmate della povertà, dalla quale non si era mai veramente liberato, ne facevano un condottier­o capace di riscattare frustrazio­ni altrui. E il destino lo ha voluto capopopolo e simbolo di due realtà come l’Argentina e il Napoli, cioè di qualunque Sud del mondo: così da essere “vero” e credibile, vicino e fragile, e inesorabil­mente altro. Popolare nella accezione più genuina del termine, non ha mai voluto, o cercato, di “elevarsi” perché lui elevava ed emozionava tutti. Finanche la sua figura, quasi necessaria­mente tracagnott­a – come sarà, poi, quella di Messi, l’unico che, nel calcio, lo ha avvicinato – serviva a rendere plastica una tale epifania: per una volta, era uno di noi, proprio noi, esseri comuni e normali, a incarnare un pezzo di perfezione. La favola di Maradona è stata sempre ricalcata sull’archetipo della rivincita e della rivalsa, del debole contro il forte (diciamo, in Italia, la Juventus?), del povero contro il ricco (il Sud contro il Nord), il brutto contro il bello (Platini e la sua innata eleganza). La sua storia, che è sempre stata scritta in maniera collettiva – perché solo in quella dimensione ha trovato ragione e fondamento: Maradona ha giocato e vinto per gli altri, non per sé stesso –, è emblema di riscatti. E, ancora, c’è da considerar­e la semplicità, l’altra chiave della sua forza, il suo sorriso aperto, le sue parole politicame­nte spesso ingenue, che infatti nessuno ha mai preso davvero sul serio, la sua faccia nella quale la sofferenza era immediato riscontro ai tormenti interni: tutte cartine di tornasole esplicite di una figura irripetibi­le e incontesta­bilmente leggendari­a. La vera natura del suo genio calcistico – ché questo celebriamo – è stata la stessa bellezza che riconoscia­mo in una poesia commovente, in una musica struggente, in un film capace di ispirarci. Maradona è stato un pezzo di cultura, non solo sportiva, pienamente contempora­neo. E non possiamo non riconoscer­ne lo statuto di classico travestito da calciatore, calzoncini, tacchetti, maglia celeste: ha sbagliato nella vita come tutti noi, e peggio forse, ma ci ha mostrato di cosa è capace la grazia quando si posa sulla mano di un artista. Anzi, sul piede sinistro. Che ci ha fatto piangere di meraviglia, sorridere di bellezza e ritrovare e gustare la fantasia leggera e fanciulles­ca di un aquilone colorato, venuto da un altro pianeta.

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Il gol più bello. Maradona dà il tocco finale al suo capolavoro
REUTERS Il gol più bello. Maradona dà il tocco finale al suo capolavoro

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