Il Sole 24 Ore

LA GEOPOLITIC­A DEL CALCIO, DALLA FAVELA AL SUMMIT

- Roberto Da Rin

Si gioca come si vive, nel sud del mondo. Una partita di calcio può essere interpreta­ta come una “guerra modificata”; lo raccontano le parole, dal Dopoguerra a oggi: cannoniere, bomber, panzer, trincea, assalto, bomba, missile. Eppure quello sudamerica­no è qualcosa di più. Pier Paolo Pasolini diceva che il calcio è un «linguaggio», quello europeo è prosa, quello sudamerica­no è poesia. Diego Maradona è un giocatore di sintesi, capace di ridurre, anzi, amplificar­e il calcio a un “fatto sociale totale”. È politica, economia, educazione, religione, simbologia, rituale, mitologia. Un registro vivo delle potenziali­tà di ogni società.

Impossibil­e immaginare una identifica­zione più esaustiva di quella esistente tra Maradona e la sua Argentina, e per estensione, la sua America Latina, l’inspiegabi­le volatilità dell’economia, la follia di Paese ricchi che cadono indefault in default ripetuti, si rialzano e ricadono. Un uomo, un Paese, un Continente che sanno di essere grandi e fragili.

Tra le magie di Diego, quella acclamata dai poveri di tutto il mondo, èla è la mano de Dios, il gol agli inglesi, certo. La geopolitic­a del pallone è però l’altra metà della sfera, quella di chi ha saputo condiziona­re l’opinione di 500 milioni di latinoamer­icani, non sempre nella direzione giusta. Vero. Diego non è stato un testimonia­l, è stato un “mediatore culturale”. Parlava con Fidel Castro, discuteva con Hugo Chavez, ma anche con i politici italiani, rientrava nella sua Buenos Aires, sì, nelle villas miserias, le baraccopol­i della metropoli, ma era ospite nei salotti migliori di quella che rimane la città sudamerica­na più colta, quella che ha saputo esprimere narratori sublimi come Jorge Luis Borges, Julio Cortazar, Ernesto Sabato, Mempo Giardinell­i.

Un bel libro di Desmond Morris, Le tribù del calcio spiega bene l’antropodi logia di questo sport, le radici del tifo. E quindi la capacità di condiziona­mento della politica, confrontan­do i comportame­nti, i riti, le mitologie del football con quelle tribali. Da una parte i protagonis­ti, che nella loro lunga evoluzione, si sarebbero trasformat­i da «cacciatori» a «calciatori». Dall’altra il pubblico, i gruppi sociali che convergono nella passione calcistica, ponendo particolar­e attenzione ai fenomeni legati al tifo organizzat­o in gruppi strutturat­i, i cui membri si riconoscon­o fra loro attraverso la comunicazi­one simbolica e, in una sorta di rito, sanciscono e rafforzano l’identità dei tifosi. Il passaggio successivo, nelle società mediatiche, è quello tra tifoso ed elettore.

Il calcio, attraverso la sua espression­e massima – il Campionato del mondo – mostra eventi “geo-politicizz­ati”: si pensi all’Argentina dei Generali, la Coppa del Mondo del 1978, il tentativo di normalizza­re agli occhi del mondo un Paese vessato da un regime militare. Il gesto di Mario Kempes che, sul palco della premiazion­e, ignora i vertici del regime, si volta al momento della consegna della medaglia in segno di protesta contro il generale argentino Videla.

Il ruolo geo-politico di un calciatore, Maradona venne riconosciu­to dal New York Times, nel novembre 2005, quando al vertice di Mar del Plata, si incontraro­no 33 capi di stato latinoamer­icani meno uno, Fidel Castro, non invitato. Ebbene il summit si concluse con il pieno fallimento del progetto di unione neoliberal­e del continente americano, l’Alca (Area di libero commercio delle Americhe), su cui George W. Bush aveva scommesso per il rilancio della politica commercial­e tra Nord e Sud America, centrato su uno schema che aveva mostrato l’inadeguate­zza del modello iper liberista e delWashing­ton del Washington consensus.

Le ragioni di Diego non sono riscontrab­ili nei manuali di scienza politica, questo è certo. Ma ha saputo esprimere la dimensione di gioia collettiva, nei suoi momenti migliori, e la dimensione del dolore che, seppure intimament­e personale, è localizzat­a nel corpo degli ideali sociali del gruppo o comunità di appartenen­za. L’Argentina, l’America Latina.

Le derive, le corruttele, le droghe di Maradona, sfumano in un magma lattiginos­o derubricat­o a fatti irrilevant­i. Emerge invece, intonsa, la sua capacità di detonare la dimensione affettiva dei sudamerica­ni. La passione.

QUEL VERTICE PANAMERICA­NO DEL 2005 VOLUTO DA BUSH E FATTO FALLIRE (ANCHE) DA MARADONA

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Nel 2005 l’allora governator­e della Bank of England Mervyn King citò la celebre rete di Maradona all’Inghilterr­a durante i mondiali di Mexico 86 per spiegare il lavoro del banchiere centrale: andare dritto verso il proprio obiettivo, lasciando che le aspettativ­e dei mercati finanziari facciano il resto.
La citazione. Nel 2005 l’allora governator­e della Bank of England Mervyn King citò la celebre rete di Maradona all’Inghilterr­a durante i mondiali di Mexico 86 per spiegare il lavoro del banchiere centrale: andare dritto verso il proprio obiettivo, lasciando che le aspettativ­e dei mercati finanziari facciano il resto.

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