LA GEOPOLITICA DEL CALCIO, DALLA FAVELA AL SUMMIT
Si gioca come si vive, nel sud del mondo. Una partita di calcio può essere interpretata come una “guerra modificata”; lo raccontano le parole, dal Dopoguerra a oggi: cannoniere, bomber, panzer, trincea, assalto, bomba, missile. Eppure quello sudamericano è qualcosa di più. Pier Paolo Pasolini diceva che il calcio è un «linguaggio», quello europeo è prosa, quello sudamericano è poesia. Diego Maradona è un giocatore di sintesi, capace di ridurre, anzi, amplificare il calcio a un “fatto sociale totale”. È politica, economia, educazione, religione, simbologia, rituale, mitologia. Un registro vivo delle potenzialità di ogni società.
Impossibile immaginare una identificazione più esaustiva di quella esistente tra Maradona e la sua Argentina, e per estensione, la sua America Latina, l’inspiegabile volatilità dell’economia, la follia di Paese ricchi che cadono indefault in default ripetuti, si rialzano e ricadono. Un uomo, un Paese, un Continente che sanno di essere grandi e fragili.
Tra le magie di Diego, quella acclamata dai poveri di tutto il mondo, èla è la mano de Dios, il gol agli inglesi, certo. La geopolitica del pallone è però l’altra metà della sfera, quella di chi ha saputo condizionare l’opinione di 500 milioni di latinoamericani, non sempre nella direzione giusta. Vero. Diego non è stato un testimonial, è stato un “mediatore culturale”. Parlava con Fidel Castro, discuteva con Hugo Chavez, ma anche con i politici italiani, rientrava nella sua Buenos Aires, sì, nelle villas miserias, le baraccopoli della metropoli, ma era ospite nei salotti migliori di quella che rimane la città sudamericana più colta, quella che ha saputo esprimere narratori sublimi come Jorge Luis Borges, Julio Cortazar, Ernesto Sabato, Mempo Giardinelli.
Un bel libro di Desmond Morris, Le tribù del calcio spiega bene l’antropodi logia di questo sport, le radici del tifo. E quindi la capacità di condizionamento della politica, confrontando i comportamenti, i riti, le mitologie del football con quelle tribali. Da una parte i protagonisti, che nella loro lunga evoluzione, si sarebbero trasformati da «cacciatori» a «calciatori». Dall’altra il pubblico, i gruppi sociali che convergono nella passione calcistica, ponendo particolare attenzione ai fenomeni legati al tifo organizzato in gruppi strutturati, i cui membri si riconoscono fra loro attraverso la comunicazione simbolica e, in una sorta di rito, sanciscono e rafforzano l’identità dei tifosi. Il passaggio successivo, nelle società mediatiche, è quello tra tifoso ed elettore.
Il calcio, attraverso la sua espressione massima – il Campionato del mondo – mostra eventi “geo-politicizzati”: si pensi all’Argentina dei Generali, la Coppa del Mondo del 1978, il tentativo di normalizzare agli occhi del mondo un Paese vessato da un regime militare. Il gesto di Mario Kempes che, sul palco della premiazione, ignora i vertici del regime, si volta al momento della consegna della medaglia in segno di protesta contro il generale argentino Videla.
Il ruolo geo-politico di un calciatore, Maradona venne riconosciuto dal New York Times, nel novembre 2005, quando al vertice di Mar del Plata, si incontrarono 33 capi di stato latinoamericani meno uno, Fidel Castro, non invitato. Ebbene il summit si concluse con il pieno fallimento del progetto di unione neoliberale del continente americano, l’Alca (Area di libero commercio delle Americhe), su cui George W. Bush aveva scommesso per il rilancio della politica commerciale tra Nord e Sud America, centrato su uno schema che aveva mostrato l’inadeguatezza del modello iper liberista e delWashington del Washington consensus.
Le ragioni di Diego non sono riscontrabili nei manuali di scienza politica, questo è certo. Ma ha saputo esprimere la dimensione di gioia collettiva, nei suoi momenti migliori, e la dimensione del dolore che, seppure intimamente personale, è localizzata nel corpo degli ideali sociali del gruppo o comunità di appartenenza. L’Argentina, l’America Latina.
Le derive, le corruttele, le droghe di Maradona, sfumano in un magma lattiginoso derubricato a fatti irrilevanti. Emerge invece, intonsa, la sua capacità di detonare la dimensione affettiva dei sudamericani. La passione.
QUEL VERTICE PANAMERICANO DEL 2005 VOLUTO DA BUSH E FATTO FALLIRE (ANCHE) DA MARADONA