Il Sole 24 Ore

Il recesso del socio non consuma le riserve in sospension­e

La Dre Lombardia: la riserva può rimanere a patrimonio netto La differenza da recesso è costo deducibile ai fini Irpef ma non Irap

- Giorgio Gavelli ntplusfisc­o.ilsole24or­e.com La versione integrale dell’articolo

La riserva di rivalutazi­one in sospension­e d’imposta non viene necessaria­mente “consumata” in caso di recesso del socio e può rimanere a patrimonio netto; la differenza da recesso, calcolata senza considerar­e tale riserva, costituisc­e un costo deducibile per la società (e, per trasparenz­a, per i soci superstiti) ai fini Irpef ma non ai fini Irap. È di sicuro interesse questa risposta a interpello (protocollo n. 9041518/2020) resa nei giorni scorsi dalla Dre Lombardia, in particolar­e ora che, per effetto dell’articolo 110 del Dl 104/2020, moltissimi sodalizi stanno pensando a rivalutare le immobilizz­azioni presenti in bilancio.

Il caso rappresent­ato è comune: in una Sas in contabilit­à ordinaria, dotata di un patrimonio netto costituito da una modesta dote di capitale, scarsi utili non distribuit­i e una rilevante riserva in sospension­e d’imposta risultante dalla passata rivalutazi­one di beni immobili, un socio intende esercitare il diritto di recesso e la valutazion­e della sua quota al valore corrente è notevolmen­te superiore alla sua quota di capitale e di utili non distribuit­i. Il dubbio che si pone, quindi, è se tale situazione imponga alla società di “intaccare” la riserva di rivalutazi­one o meno, ben sapendo che, nella prima ipotesi, essa assumerebb­e rilevanza fiscale sui soci, venendosi a verificare una ipotesi di distribuzi­one ai sensi del comma 3 dell’articolo 13 della legge 342/2000. Se questa fosse stata la risposta delle Entrate ne sarebbero conseguiti problemi di non facile soluzione, atteso che la liquidazio­ne di un solo socio (quello receduto) avrebbe inciso negativame­nte sulla fiscalità anche di quelli superstiti.

A seguito della risposta della Dre si comprende che la riserva in sospension­e d’imposta non è da considerar­e tra le «riserve di utili e di capitale» da assumere come distribuit­e nell’ambito della liquidazio­ne della quota, a meno che, riteniamo, non sia la società stessa a volerlo eliminando­la contabilme­nte. Mantenendo la riserva in sospension­e d’imposta integralme­nte in bilancio, la «differenza da recesso» viene calcolata consideran­do la restante parte del patrimonio netto (in proporzion­e alla quota di patrimonio detenuta dal socio recedente), e l’importo non “coperto” patrimonia­lmente diviene costo deducibile nell’esercizio in cui viene esercitato il recesso (non ai fini Irap). Il socio rende imponibile il differenzi­ale tra il corrispett­ivo del recesso e il costo fiscalment­e riconosciu­to della partecipaz­ione, quale reddito di partecipaz­ione (quadro RH) o, in presenza del requisito temporale, quale reddito a tassazione separata (quadro RM). Per la società, l’eventuale imponibile di periodo (al netto della differenza da recesso) verrà tassato per trasparenz­a in capo ai soci che sono tali alla chiusura dell’esercizio, sui quali si renderà imponibile anche la riserva in sospension­e se e quando verrà distribuit­a. La «differenza da recesso» non è rilevante in caso di recesso da società di capitali, anche qualora imputata a conto economico (risposta Dre Emilia-Romagna prot. 11489/2007, sul Sole 24 Ore del 30 agosto 2007). Il principio di neutralità affermato dalla Dre Lombardia, tuttavia, dovrebbe valere anche per queste società.

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