Il recesso del socio non consuma le riserve in sospensione
La Dre Lombardia: la riserva può rimanere a patrimonio netto La differenza da recesso è costo deducibile ai fini Irpef ma non Irap
La riserva di rivalutazione in sospensione d’imposta non viene necessariamente “consumata” in caso di recesso del socio e può rimanere a patrimonio netto; la differenza da recesso, calcolata senza considerare tale riserva, costituisce un costo deducibile per la società (e, per trasparenza, per i soci superstiti) ai fini Irpef ma non ai fini Irap. È di sicuro interesse questa risposta a interpello (protocollo n. 9041518/2020) resa nei giorni scorsi dalla Dre Lombardia, in particolare ora che, per effetto dell’articolo 110 del Dl 104/2020, moltissimi sodalizi stanno pensando a rivalutare le immobilizzazioni presenti in bilancio.
Il caso rappresentato è comune: in una Sas in contabilità ordinaria, dotata di un patrimonio netto costituito da una modesta dote di capitale, scarsi utili non distribuiti e una rilevante riserva in sospensione d’imposta risultante dalla passata rivalutazione di beni immobili, un socio intende esercitare il diritto di recesso e la valutazione della sua quota al valore corrente è notevolmente superiore alla sua quota di capitale e di utili non distribuiti. Il dubbio che si pone, quindi, è se tale situazione imponga alla società di “intaccare” la riserva di rivalutazione o meno, ben sapendo che, nella prima ipotesi, essa assumerebbe rilevanza fiscale sui soci, venendosi a verificare una ipotesi di distribuzione ai sensi del comma 3 dell’articolo 13 della legge 342/2000. Se questa fosse stata la risposta delle Entrate ne sarebbero conseguiti problemi di non facile soluzione, atteso che la liquidazione di un solo socio (quello receduto) avrebbe inciso negativamente sulla fiscalità anche di quelli superstiti.
A seguito della risposta della Dre si comprende che la riserva in sospensione d’imposta non è da considerare tra le «riserve di utili e di capitale» da assumere come distribuite nell’ambito della liquidazione della quota, a meno che, riteniamo, non sia la società stessa a volerlo eliminandola contabilmente. Mantenendo la riserva in sospensione d’imposta integralmente in bilancio, la «differenza da recesso» viene calcolata considerando la restante parte del patrimonio netto (in proporzione alla quota di patrimonio detenuta dal socio recedente), e l’importo non “coperto” patrimonialmente diviene costo deducibile nell’esercizio in cui viene esercitato il recesso (non ai fini Irap). Il socio rende imponibile il differenziale tra il corrispettivo del recesso e il costo fiscalmente riconosciuto della partecipazione, quale reddito di partecipazione (quadro RH) o, in presenza del requisito temporale, quale reddito a tassazione separata (quadro RM). Per la società, l’eventuale imponibile di periodo (al netto della differenza da recesso) verrà tassato per trasparenza in capo ai soci che sono tali alla chiusura dell’esercizio, sui quali si renderà imponibile anche la riserva in sospensione se e quando verrà distribuita. La «differenza da recesso» non è rilevante in caso di recesso da società di capitali, anche qualora imputata a conto economico (risposta Dre Emilia-Romagna prot. 11489/2007, sul Sole 24 Ore del 30 agosto 2007). Il principio di neutralità affermato dalla Dre Lombardia, tuttavia, dovrebbe valere anche per queste società.